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Rilancio dei vecchi vitigni
L'Università studia il Dna del Vigneto Friuli

«I vitigni autoctoni del Friuli-Venezia Giulia costituiscono una ricchezza un valore aggiunto potenziale alla promozione del territorio delle sue attrattive delle peculiarità agroalimentari ma anche delle tradizioni e della storia di questa terra». Le parole di Emilio Del Gobbo sintetizzano i contenuti del convegno organizzato a Gorizia dal Ducato dei vini friulani assieme all'Università di Udine con il concorso della Regione per mettere in risalto questa particolarità della viticoltura del Friuli-Venezia Giulia. Una viticoltura che ha fatto passi da gigante e che in Italia per la qualità è considerata al terzo posto dopo soltanto Toscana e Piemonte. E questo grazie anche – secondo quanto hanno sottolineato Enrico Peterlunger dell'ateneo friulano e Attilio Scienza dell'Università di Milano – alla naturale ricchezza di microclimi nei quali hanno potuto svilupparsi tutte queste varietà di vite. Sulle tematiche in esame si è soffermato tra gli altri nell'ambito del dibattito anche il dottor Claudio Fabbro.
La novità enunciata dal professor Peterlunger dopo la presentazione di Emilio I per ricordare che il convegno erano l'ultimo atto del trentennale del Ducato è il lavoro svolto dall'Università di Udine per monitorare e scandagliare il Dna dei vitigni autoctoni friulani. Questo in raccordo con centri di ricerca di eccellenza di tutto il mondo – della Svizzera di Avignone della California – grazie a una rete di apparecchiature altamente sofisticate e all'impiego dei marcatori molecolari. Da diversi anni l'Università del Friuli raccoglie grazie a un finanziamento comunitario i genotipi dei vitigni autoctoni ovvero la traccia molecolare del Dna. E alcuni di questi vitigni sono già coltivati sperimentalmente nell'azienda Servadei a Sant'Osvaldo studiandone gli aspetti morfologici e ampelografici. Peterlunger ha colto l'occasione per rivolgere un appello ai viticoltori affinchè non sradichino vecchi ceppi senza segnalarli.
Ma quali sono gli scopi del lavoro dell'Università? Soprattutto quello di individuare una decina forse meno di vitigni autoctoni che sia vantaggioso coltivare e propagare sul territorio soprattutto in funzione della commercializzazione sui mercati di tutto il mondo con obiettivi di alta qualità e d'immagine. Come ha spiegato il preside di Agraria Pierluigi Bonfanti l'ateneo udinese è attento alle potenzialità della viticoltura e per questo ha avviato il corso di laurea in enologia che si tiene a Cormons. Poi Peterlunger ha precisato che un posto di privilegio tra i vitigni in grado di offrire garanzie di tenuta fitosanitaria valorizzazione del territorio e soddisfazione di mercato c'è il Tocai friulano che deve essere salvaguardato nella querelle con l'Ungheria: proprio ieri la Regione ha presentato l'annunciato ricorso al Tar del Lazio affinchè venga sottoposta l'annosa questione del nome conteso dall'Ungheria alla Corte di giustizia europea.
Poi da tenere in considerazione ha precisato l'esperto con un percorso di filiera già assestato vi sono il Picolit il Verduzzo friulano e la Ribolla gialla. Gli altri vitigni sui quali puntare sono sicuramente il Pignolo lo Schioppettino (o Ribolla nera) il Tazzelenghe i Refoschi (peduncolo rosso e altre cinque varietà) e l'Ucelut. Le determinazioni dell'Università di Udine sono avallate dagli studi eseguiti in questi anni e confortano in parte le strade intraprese dai nostri viticoltori".

(Il Messaggero Veneto-Agricoltura- 17.12.2002)