Il
Laureato
L'Istituto
Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli ha conferito il 10 luglio
scorso la Laurea honoris causa in Antropologia Culturale a Carlo
(meglio noto come Carlin ndr) Petrini
Presidente
dell'Associazione internazionale Slow Food.
La notizia ci perviene dal Governatore di SLOW FOOD FRIULI
Giulio
COLOMBA
che da molti anni opera a stretto contatto di gomito ed in
perfetta identità di vedute con CARLIN PETRINI
con risultati tangibili a
livello internazionale.
Erano presenti all'evento numerose autorità
tra cui il Presidente
della Regione Piemonte Enzo Ghigo
l'Assessore all'Agricoltura dell'Emilia
Romagna Guido Tampieri
l'Assessore all'Agricoltura della Provincia di
Napoli Vincenzo Aita
l'Assessore al Bilancio della provincia di Cuneo
Giuseppe Rosciano
il Sindaco di Orvieto Stefano Cimicchi
Presidente
delle Cittaslow (città del buon vivere)
il Sindaco di Bra (città natale
di Petrini e dell'Associazione da lui fondata) Francesco Guida.
Tra il pubblico
ad accompagnarlo
anche tanti amici che hanno condiviso
dall'inizio o per un più breve tratto
il cammino percorso da Slow Food a
partire dal 1986
anno della fondazione: tra questi Paolo Cantarella
Gad
Lerner
un'autorevole rappresentanza del gotha della produzione vinicola
artigiani eccellenti e produttori agricoli che hanno creduto nel progetto
dei Presìdi Slow Food.
Il prof. Marino Niola
incaricato della Laudatio
ha ricordato che Slow
Food nasceva nel momento in cui si stilava l'atto di morte
dell'agricoltura italiana
"grazie all'intuizione e alla genialità di
Petrini
costituendo un baluardo per la conservazione della parte migliore
della scienza del popolo".
Carlo
Petrini ha letto una Lectio Brevis dai forti toni politici
molto legata a
temi d'attualità quali l'introduzione degli OGM in Europa
il ruolo del
WTO e le istanze che la Commissione internazionale sul Futuro del Cibo
di
cui fa parte
presenterà al prossimo vertice di Cancun.
"La nuova agricoltura esiste e va sostenuta come sistema locale di
produzione
un sistema che garantisce rispetto per l'ambiente e per le
identità culturali dei popoli. L'agricoltura deve tornare patrimonio dei
contadini: non va confusa con il ruralismo reazionario o con la nostalgia
pastorale. E' qualcosa che è già un'alternativa efficace ai sistemi di
produzione massivi
di cui in Europa emerge ormai con evidenza il
fallimento. Con modestia
con lentezza
noi di Slow Food ci stiamo
lavorando…."
Petrini ha riscosso un'ovazione convinta e forse poco accademica dal
numeroso pubblico
e l'adesione immediata al Movimento Slow Food da parte
di diversi professori ordinari dell'Istituto Suor Orsola Benincasa.
Il rapporto privilegiato tra Slow Food e la Campania si rafforzerà con
l'organizzazione
proprio a Napoli
del Congresso mondiale di Slow Food
in programma dal 4 al 9 novembre prossimo
evento che vedrà riuniti
delegati provenienti da 42 nazioni diverse
Identità e socialità delle nuove comunità rurali
di Carlin Petrini
"Le scelte che la comunità internazionale è chiamata a
fare sul fronte del cibo e della sicurezza alimentare sono
in questo
inizio di secolo
quanto mai complesse e controverse. Sul tappeto –
ha esordito CARLIN PETRINI-si confrontano colossali interessi
economici che propongono modelli di sviluppo tra loro incompatibili e lo
scontro coinvolge la politica agricola di Stati sovrani e il destino di
milioni di uomini e donne.
L'anno che stiamo trascorrendo con l'appuntamento di settembre a Cancun
dell'Organizzazione Mondiale del Commercio
evidenzia gli interessi
contrapposti della politica statunitense rispetto alle scelte europee in
merito all'utilizzo degli Organismi Geneticamente Modificati in campo
agricolo.
Il terzo polo
quello dei cosiddetti terzo e quarto mondo
è terreno di
conquista
blandito da multinazionali senza scrupoli che non esitano a
porsi come risposta al problema della fame nel mondo. Questa soluzione
tecnica verso i problemi della fame e del sottosviluppo è falsa perché non
tiene contro degli aspetti economici
sociali e politici nonché
dell'organizzazione degli scambi. L'introduzione del riso transgenico nel
continente asiatico ha fortemente industrializzato l'agricoltura; ha
ridotto la gamma delle varietà di riso impoverendo milioni di contadini
che non possono riseminare con i semi del proprio raccolto. Si è favorito
in tal modo
l'esodo dalle campagne con l'inurbamento selvaggio che crea
nuovi problemi di sottoalimentazione.
Il tentativo di addossare la responsabilità del sottosviluppo e della fame
all'Europa è il segnale di un'offensiva senza precedenti. Tutto ciò
avviene nel momento in cui il Vecchio Continente incomincia a prendere
atto del declino irreversibile dell'agricoltura industriale
dove l'uso
smodato della chimica e dei pesticidi è oggetto di critiche da parte di un
crescente numero di agronomi
chimici
biologi e fitopatologi.
Appare evidente a quale vertice di assurdità scientifica ed economica si
sia posizionata l'agricoltura del nostro tempo. L'agricoltura industriale
e ancor più le coltivazioni transgeniche necessitano dell'uso massiccio di
risorse idriche. La stima che in Francia il 50% dei nitrati venga dilavato
dalle acque
contaminando falde acquifere con gravi danni per la salute
degli animali e degli uomini
non è un'ipotesi di qualche associazione
ambientalista
ma l'analisi scientifica de l'Institut National de
Recherche Agronomique.
Cosicché l'acqua
il cui uso è cresciuto del 350% a livello mondiale dal
1950 ad oggi
con il 73% impegnato in agricoltura
sta diventando la
risorsa più preziosa del nostro presente e del nostro avvenire. Tutto ciò
ci fa riflettere su quanto afferma Piero Bevilacqua: "La pratica agricola
è al centro di questo insostenibile paradosso: è la maggiore consumatrice
delle risorse idriche mondiali
ed è la principale fonte di avvelenamento
delle medesime".
Dinanzi a queste dinamiche sempre più ingovernabili la cosiddetta comunità
internazionale ha prodotto nuove istituzioni per assicurare la legalità
del libero scambio. Organizzazione Mondiale del Commercio
Codex
Alimentarius sono le istituzioni che regolano il commercio e la sicurezza
alimentare. Nato nel 1962 il Codex Alimentarius stabilisce le norme
sanitarie "allo scopo di proteggere la salute dei consumatori e di
assicurare la legalità delle pratiche adottate nel commercio dei prodotti
alimentari". L'Unione Europea e gli Stati Uniti rappresentano il 60% dei
delegati
per un 15% di popolazione mondiale. Inutile dire come la lobby
dell'industria agro-alimentare svolga un ruolo primario all'interno di
questa istrituzione. Basti ricordare che nel 1997 il Codex Alimentarius
aveva posto all'ordine del giorno
una proposta degli Stati Uniti per
impedire la circolazione internazionale di prodotti elaborati a base di
latte crudo. Le basi stesse dell'Organizzazione Mondiale del Commercio
sono fortemente inique e antidemocratiche. Il dogma del libero scambio è
antitetico ad uno sviluppo sostenibile
basato sull'assunzione che
l'intero pianeta e le future generazioni possano consumare le risorse ai
livelli dei paesi più ricchi senza indurre un collasso ecologico.
Confondendo lo sviluppo con la crescita si confonde la qualità della vita
con l'accumulazione materiale e la rincorsa spasmodica verso un maggior
profitto che non necessariamente genera un miglioramento qualitativo.
Interpellata una cuoca della Langa astigiana sul perché si ostinasse a
tenere chiuso il locale per il servizio serale e nei giorni festivi
visto
il consenso unanime dei clienti per la sua cucina
lei rispondeva che non
ambiva a divenire la più ricca del cimitero.
Uno sviluppo sostenibile può essere uno sviluppo senza crescita e ciò non
implica la fine delle scienze economiche. Come sostiene Herman Daly
dell'Università del Maryland: "Queste scelte rappresentano l'economia
raffinata e complessa del mantenimento
del miglioramento qualitativo
della condivisione
della frugalità e dell'adattamento ai limiti
naturali". È un'economia del "meglio"
non del più grande.
Su questo terreno il mondo agricolo può rappresentare un esempio di
profonda trasformazione
abbandonando l'agricoltura industriale per
sposare in modo definitivo l'agricoltura contadina. Questa agricoltura
rende coerente lo statuto di contadino
con la rendita e con la qualità
dei prodotti nel rispetto delle risorse naturali. L'agricoltura contadina
non va quindi confusa con un ruralismo reazionario e con la nostalgia
pastorale; essa è l'attività più praticata al mondo
merita considerazione
e rispetto.
Bisogna quindi sostenere con forza il diritto dei popoli a provvedere alla
propria alimentazione e a scegliere liberamente e democraticamente il tipo
di agricoltura che preferiscono. L'agricoltura contadina diviene
fondamentale per riaffermare la lotta agli OGM
la biodiversità
la
sovranità alimentare
il mantenimento dei contadini
l'occupazione del
territorio
la protezione dell'ambiente
la lotta contro le multinazionali
dell'agrochimica e dell'agroalimentare.
Fino a quando assisteremo inermi alla pirateria genetica?
all'espropriazione delle sementi? all'arrembaggio delle nostre industrie
alimentari nei paesi in cui i costi sono ridotti e le normative meno
attente alla protezione sociale?
Questa pratica crea squilibri nelle agricolture locali e riversa altro
cibo a basso costo sulle nostre economie sazie di beni alimentari massivi
e di bassa qualità. Per contro nei paesi del Sud del mondo si registra una
parte crescente di popolazione che soffre la fame e la malnutrizione. Per
questo motivo il documento sul Futuro del Cibo redatto da un gruppo di
scienziati di varie nazioni
e che verrà sottoposto all'attenzione delle
delegazioni governative presenti a Cancun
sottolinea con determinazione
non solo la sovranità alimentare dei singoli stati
ma anche il vincolo di
questi ultimi a non favorire esportazioni di prodotti alimentari se nei
loro confini sussiste il flagello della fame e della sottonutrizione.
La complessità di queste tematiche e il dispiegarsi di forze antagoniste
ben determinate
sostenute da ingenti capitali
rendono queste battaglie
difficili a condursi
anche se la protesta si esplicita in imponenti
manifestazioni. Ma tutto ciò non è sufficiente a mutare i rapporti di
forza e a sensibilizzare milioni di contadini
spesso ignari del loro
destino
soggetti ad un bombardamento mediatico che tende a depauperare la
loro storia e la loro identità.
Dire agricoltura contadina e sovranità alimentare significa ricostruire il
tessuto delle comunità rurali e produttive basate su patti sodali forti in
grado di realizzare su piccola scala una nuova economia agricola
rispettosa dell'ambiente
per dare dignità e qualificazione ai contadini e
alle loro famiglie. L'esperienza dei Presidi che Slow Food va realizzando
anche nel Sud del mondo dopo i successi ottenuti in Italia
mi conforta su
questa prospettiva.
Ci dissero che eravamo dei sognatori e che il nostro settore di intervento
era marginale e irrilevante rispetto ai grandi trend dell'agricoltura
europea. Oggi quelle intuizioni si sono realizzate e marciano non solo con
le nostre gambe
ma anche attraverso nuove aggregazioni del mondo rurale.
Gli economisti della Bocconi studiano i nostri Presidi
le regioni
d'Europa riscoprono con questo genere di sviluppo agricolo la possibilità
di fare filiera a sostegno dei territori.
Con questo tipo di sviluppo la proposta di coltivare OGM c'entra come i
cavoli a merenda. La stessa coesistenza di due generi di coltivazioni così
diverse diventa improponibile nella misura in cui gli OGM svolgono
un'opera infestante verso i campi viciniori. I nostri territori sono
troppo piccoli per garantire la coesistenza del biologico e dell'OGM.
Bene ha fatto la regione Piemonte a distruggere i campi abusivi di mais
transgenico e il buon senso richiederebbe alle altre regioni di fare
controlli similari
poiché la politica del fatto compiuto è la più
criminale nei confronti di contadini ignari.
Forse solo negli Stati Uniti sarà possibile la politica della coesistenza
poiché la fertile California si sta convertendo al biologico con enormi
appezzamenti ortofrutticoli e con i vigneti di pregio delle valli di Napa
Sonoma e Mendocino. Al contempo al di là delle Montagne Rocciose e della
catena degli Appalachi le distese di mais sono ormai tutte transgeniche.
La contaminazione tra questi due territori così diversi e distanti non
esiste.
Ma tornando al concetto di comunità rurale e produttiva
un ruolo
importante è assegnato alla scienza e alla capacità di quest'ultima nel
raffrontarsi con le culture contadine. Per ottemperare a questo scopo
occorre riformare l'organizzazione della ricerca e la formazione degli
scienziati. La ricerca è sempre più complessa
ma sempre più
settorializzata. Non esiste un luogo di confronto dei gruppi di ricerca
si privilegia una dimensione frammentaria rispetto a una pluridisciplinare.
Elaborare un modello di agricoltura
dare forza alle comunità rurali e
produttive esige un confronto serio e completo tra l'agronomia
la
zootecnia
la sociologia
l'economia
l'antropologia e l'etnologia.
Nell'humus di questa pluridisciplinarietà risorgerà la più bistrattata
delle scienze umane: la gastronomia. Relegata dal mondo accademico in un
ambito folcloristico
essa assisteva inerme allo sviluppo delle scienze
nutrizionistiche
all'affermazione delle tecnologie alimentari e
all'invadenza dei legulei ministeriali e paraministeriali codificatori di
denominazioni e sottodenominazioni
artefici di regolamenti
leggi e
prebende.
Nel gioioso recinto di una gourmandise autocompiacente si affinavano le
capacità sensoriali e le conoscenze organolettiche dei cibi e delle
bevande di una nuova generazione di gourmet
ma al contempo dilagava sui
media un livello di cialtroneria senza precedenti. La televisione in
particolare continua a propinarci programmi totalmente avulsi da quei
saperi contadini che ci hanno consegnato straordinari patrimoni
gastronomici. Il grande cuoco ridotto a macchietta
il talk show che
esibisce prodotti tipici con commenti ignoranti
le valutazioni delle
guide scorporate in centesimi a beneficio di telespettatori un po'
onanisti. Tutto ciò è ridicolo dinnanzi alla situazione drammatica della
perdita sistematica di specie vegetali e di razze animali.
La nuova Università di Scienze Gastronomiche con sede a Pollenzo e Colorno
darà maggiore dignità al comparto favorendo un processo formativo per
migliaia di giovani provenienti da ogni parte del mondo
sarà al servizio
della nuova ruralità e della produzione del cibo.
Se è vero che la tendenza della singola comunità è di rinchiudersi in se
stessa riaffermando la propria identità
è altrettanto vero che il cibo è
mediatore tra culture diverse. "Esattamente come il linguaggio
" sostiene
Massimo Montanari
"la cucina contiene ed esprime la cultura di chi la
pratica
è depositaria delle tradizioni e dell'identità di gruppo.
Costituisce pertanto uno straordinario veicolo di autorappresentazione e
di comunicazione. Più ancora della parola
il cibo si presta a mediare fra
culture diverse
aprendo i sistemi di cucina ad ogni sorta di invenzioni
incroci e contaminazioni."
Identità e scambio stanno alla base di qualsiasi dinamica della vita delle
comunità; più lo scambio è vivo
più l'identità non è un fenomeno stabile
e inamovibile. Molte volte il cibo si identifica fortemente con le realtà
nazionali. La baguette
i formaggi e il vino sono simboli di francesità;
così come il fish and chips fa subito pensare all'Inghilterra e la pasta e
il pomodoro a Napoli. Ciò detto
occorre riaffermare che le identità non
esistono al di fuori dello scambio e che tutelare la "biodiversità
culturale" non significa chiudere ciascuna identità in un guscio
bensì
metterle in rete.
Questo concetto dinamico dell'identità fa giustizia rispetto a tutti
coloro che vedono nel nostro lavoro di recupero delle tradizioni e della
nozione di territorio un'operazione antiquata
quasi di sapore
archeologico. Al contrario
la riscoperta delle tradizioni e il rapporto
tra culture locali e mercato globale
rapporto apparentemente conflittuale
che tuttavia non esclude ampi spazi di convivenza
è quanto di più moderno
si possa realizzare.
Riaffermando con forza questi concetti dell'identità
dello scambio
della
difesa della biodiversità rappresentata dal patrimonio storico delle
nostre comunità
il nostro lavoro di salvaguardia dei prodotti tipici e
tradizionali ha trovato ascolto e interesse. Avevamo colto nel segno
questi prodotti sono parte del nostro Dna. L'omologazione
l'appiattimento
del gusto e la produzione industriale massiva non ci avevano fatto perdere
la memoria di questi saperi e di questi sapori.
Da qui a far divenire queste produzioni veri soggetti economici il passo è
stato breve e
ancorché questa battaglia non sia ancora del tutto vinta
le premesse sono più che positive e questo è riscontrabile non soltanto
nell'impegno delle comunità a sostenere questi prodotti
ma anche nei
primi segni di ritorno verso il mondo agricolo da parte dei giovani. Forti
di questi risultati
al Salone del Gusto dello scorso anno abbiamo voluto
estendere l'esperienza dei Presìdi a livello internazionale.
È questo un approdo logico e consequenziale per un movimento
internazionale come il nostro. Da quattro anni abbiamo istituito un Premio
per la Difesa della Biodiversità con un parterre di 700 giurati in
rappresentanza di 86 paesi. I premiati
in massima parte contadini
pescatori
allevatori
vengono da esperienze molto simili a quelle dei
nostri Presìdi. Spesso soli
senza alcun aiuto istituzionale
hanno
preservato specie vegetali e razze animali minacciate di estinzione; hanno
raccolto
difeso e diffuso un grande patrimonio di sementi; ci hanno
tramandato conoscenze e metodologie di lavoro preziose per l'artigianato
alimentare.
Dalle montagne andine alle zone desertiche del Maghreb
dalla foresta
amazzonica alle grandi pianure siberiane
il lavoro umile di questa bella
umanità ci ha convinti del valore immenso del patrimonio di cui sono
depositarie le loro comunità.
Proprio intervenendo nel Sud del mondo si evidenzia la complessità delle
tematiche economiche e sociali che bisogna affrontare in Paesi dove la
prima e la seconda colonizzazione hanno fatto tabula rasa di pratiche
agronomiche e di prodotti della terra. Laddove la conquista coloniale ha
trovato civiltà forti
pur non favorendo una politica dello scambio
ha
adottato molti cibi e molte materie prime che sono entrate nella vita
quotidiana dei popoli colonizzatori. Basti pensare al curry
che è
divenuto un ingrediente diffuso nella cucina britannica
o alla famosa
salsa Worchester che è di origine indiana".
"Viceversa nel continente nero –ha proseguito CARLIN PETRINI-
l'atteggiamento dei colonizzatori è stato di totale distacco verso le
materie prime e i piatti del gruppo considerato inferiore
dei
colonizzati. Il piatto più diffuso dell'Africa sub-sahariana è il fufu
una massa acida che ricorda il puré di patate ed ha come ingredienti
cereali
verdura e frutti: esso è stato completamente ignorato
perché
ritenuto volgare alimento delle popolazioni indigene.
Come sostiene Jack Goody nel suo lucido saggio sul cibo africano nella
cultura bianca e nella cultura nera: "Il procedimento di scambio avveniva
a senso unico fra i rappresentanti dei poteri metropolitani
ciascuno dei
quali aderiva alle proprie forme nazionali
vino e roquefort nei territori
francofoni
birra e cheddar nei territori anglofoni. I francesi giunsero
al punto di far venire i propri fornai a vendere baguettes e anche dei
cuochi per aprire dei ristoranti".
Ma il danno più grave avvenne con la seconda colonizzazione e
l'imposizione di diete e abitudini alimentari totalmente estranee al
territorio. Con queste diete furono imposte tutta una serie di materie
prime di nuova importazione
rendendo le comunità fortemente dipendenti
dai costi di questi prodotti
disperdendo un patrimonio di conoscenze
tramandato dalle generazioni precedenti. L'incidenza di queste
importazioni sugli esili bilanci dei nuovi stati post-coloniali è stata
dirompente e ha generato nuove sacche di miseria.
È di questi giorni la presa di posizione delle organizzazioni contadine
del Senegal contro quella che chiamano "tirannia del riso importato". Le
abitudini alimentari imposte dai colonizzatori hanno portato al consumo su
larga scala del riso
cosicché il Senegal vede la sua bilancia commerciale
sempre più gravata dal peso delle importazioni di riso e cereali. Se ogni
senegalese sostituisse il riso con il miglio una volta la settimana
il
Senegal risparmierebbe 4 miliardi di franchi l'anno. Se ogni senegalese
sostituisse il riso importato con il riso locale una volta la settimana
il Senegal risparmierebbe 13 miliardi di franchi l'anno. Ma il danno più
grave
dicono le organizzazioni contadine
è stato quello di mettere in
crisi i modelli agricoli a dimensione familiare
fondamento di stabilità
della famiglia stessa
garanzia di continuità produttiva e di presidio del
territorio. L'esodo rurale e l'emigrazione verso i paesi occidentali sono
segnali più evidenti del problema della sopravvivenza di queste
popolazioni.
Come vedete
le implicazioni di una politica agricola di tipo industriale
ci coinvolgono direttamente; se i tanto auspicati interventi
dell'Occidente in questi paesi sono di questa natura
la fuga dalle
comunità di origine sarà inarrestabile. Ancora una volta la libertà dei
popoli nella scelta delle pratiche agricole
l'equità del commercio
la
sovranità alimentare sono gli unici valori per una politica di sviluppo.
La strada da percorrere è lunga e non ci sono scorciatoie per queste
popolazioni rurali dimenticate da Dio e dai Santi.
Chi mai potrà convincere le multinazionali del cioccolato che il prezzo
che esse pagano per la materia prima è ridicolo rispetto ai loro budget
pubblicitari? Esse sono depositarie dei saperi che trasformano le fave
fermentate di cacao in tavolette di cioccolato dalle diverse qualità
organolettiche. Un prodotto degno di entrare nelle più belle boutiques di
cioccolato
dove i maestri cioccolatieri personalizzano il prodotto
finito.
Se fossimo presi per incantamento da queste oasi del piacere
termocondizionato
o mentre ad occhi chiusi ci facciamo un'overdose di
Nutella
per essere trasportati in una piantagione dell'Africa occidentale
dove
secondo un rapporto dell'Istituto Internazionale di Agricoltura
Tropicale reso noto alla fine dello scorso luglio
300.000 minorenni sono
vittime di trafficanti crudeli e senza scrupoli
in condizioni di lavoro
che mettono a serio rischio le loro vite
ci accorgeremmo di quanta
avarizia c'è nel mondo del cacao? In queste zone
.
I dati riportati sul numero di marzo della nostra rivista Slow Ark
evidenziano come nella lunga catena d'intermediari
esportatori
e
trasformatori
i contadini del cacao sono soltanto il primo e il più
fragile anello. Il prezzo è stabilito dalla borsa di Londra
che segue
logiche di politica economica talvolta estranee ai produttori e ai loro
paesi. L'80% del mercato del cioccolato è controllato da sei
multinazionali. Se i produttori di cacao fossero 100
70 sarebbero
africani
20 asiatici e 10 latino-americani. 90 coltiverebbero meno di
cinque ettari
10 sarebbero proprietari di grandi piantagioni. Ma il dato
che più mi sconcerta
e che evidenzia quanto sia grande l'estraneità dei
contadini rispetto a questo prodotto
è che su 100 produttori ben 75 non
avrebbero mai assaggiato una tavoletta di cioccolato.
È vero che viviamo in un mondo complesso e la complessità riserva molte
sorprese
ma se non coltiviamo la dignità di scandalizzarci e non
guardiamo in faccia queste storture
ben poco potremo capire dalla realtà
che ci circonda. Ma è proprio la complessità che ci invoglia a non
abbandonare il campo; dubito che esistano grandi strategie politiche ed
economiche in grado di dipanare una situazione così complessa. Per questo
motivo il contributo di un piccolo movimento come Slow Food
nel porre al
centro della questione agricola il contadino e la sua comunità rurale
è
un modesto tassello di una nuova politica.
La comunità rurale con i suoi riti
le sue feste
i suoi rapporti sociali
le sue pratiche agronomiche
le sue credenze
non è soltanto un soggetto
di analisi antropologica
ma può incidere sulla politica
sull'economia e
sulle scienze con risultati straordinari e inaspettati.
Napoli
che ospiterà dal 6 al 9 novembre il Congresso Mondiale di Slow
Food
con i delegati che converranno da 46 paesi
sarà la sede dove queste
tematiche saranno approfondite e discusse. In questa terra che fu crocevia
dell'enologia europea
dove antiche civiltà agropastorali ci hanno
consegnato formaggi come il Conciato Romano (forse il più antico formaggio
italiano)
dove i gamberetti e le alici portano i nomi di antichi attrezzi
dei pescatori come la nassa e la menaica
dove il limone "sfusato"
amalfitano
ecotipo derivato dalla cultivar "femminiello comune"
si trova
raffigurato negli affreschi delle case pompeiane
dove le viti del comune
di Taurasi fruttificano dopo 150 anni di vita
ebbene
proprio da questa
terra può partire un messaggio di speranza.
A Napoli prenderà corpo questa nostra idea d'incontro delle diverse
comunità rurali del pianeta; sbaglia chi pensa che il mondo contadino sia
attraversato da figure folcloristiche
dominato da ritmi lenti poco
produttivi
caratterizzato da gruppi destinati a vivere ai margini della
storia
ancorati a tradizioni orali nel mondo delle news
figli di
un'economia di sussistenza. È questa una visione etnocentrica basata sul
tempo e sul denaro
o meglio: sul tempo che è denaro.
Noi che abbiamo assunto la lentezza come medicamento omeopatico
diffidiamo
come afferma Franco Cassano
degli economisti "teorici
dell'homo currens
medici sapienti che non si stancano mai di ripetere che
per la nostra salute è necessario correre in ogni momento della giornata e
in ogni momento della vita. La nostra salute dipende da quanto corriamo e
le nostre città sono piene di patetiche figure felici di correre anche nel
tempo libero.
Questa religione affannata e paonazza
questa preghiera mattutina o del
crepuscolo recitato
sudando all'ombra dei grattacieli
serve a riempire
tutti i pori della nostra mente e ad impedire che un altro modello di vita
si affacci alla nostra porta. Perché questo universo dovrebbe piacere a
tutti?
Crediamo veramente che un gioco possa essere amato allo stesso modo da
coloro che perdono ogni volta che giocano e da coloro che ne escano sempre
vincitori? È perfettamente normale che i perdenti non accettino di
stringere la mano a coloro che hanno imposto il gioco nel quale vincono
sempre".
Nel momento in cui ci impegniamo a confrontarci con altre comunità
secondo me occorre guardare criticamente il lato oscuro e aggressivo della
nostra cultura e così facendo rifiutare l'etnocentrismo. Il rispetto
reciproco
il confronto delle diverse esperienze
lo scambio di conoscenze
tra diverse popolazioni di contadini
pescatori
allevatori
artigiani del
buon cibo
cuoche e osti
sono certo che serviranno ad arricchire il
patrimonio culturale di quella che Edgard Morin
socio emerito di Slow
Food
definisce la nostra "comunità di destino terrestre".
Ed ora
cari professori e cari studenti di questo illustre Istituto
amiche e amici che avete voluto condividere con me questo felice momento
della mia vita
se i miei ragionamenti e le mie idee vi sono sembrate
ragionevoli e realizzabili
non esitate a sostenere le buone cause di Slow
Food e rafforzate le schiere di quest'associazione; se nel vostro giudizio
ritrovate una vena di utopia sappiete che non sono affatto dispiaciuto
anzi chiedo agli uni e agli altri ancora un attimo di attenzione.
Come si suol dire abbiamo fatto trenta
facciamo pure trentuno e vista
l'ora prepariamoci al convivio. Come sapete
le utopie quando sono poesia
e sanno far sorridere fanno bene alla salute. Orbene
avendo sinora
parlato di comunità
dovete sapere che il buono e saggio Gargantua
figlio
di Gargamagna e Gargamella
edificò un'abbazia in quel di Telème e vi
insediò una comunità di uomini e donne la cui vita era regolata non da
leggi
statuti o regole
ma secondo la loro volontà e il loro libero
arbitrio. Si alzavano da letto quando credevano
bevevano
mangiavano
lavoravano
dormivano quando ne avevano desiderio: nessuno li svegliava
nessuno li costringeva né a bere né a mangiare
né a fare altra cosa. Così
aveva stabilito Gargantua".
"Nella loro regola –ha concluso PETRINI- non c'era che
questa clausola: fai ciò che vuoi. Per rendere chiaro chi non poteva far
parte della comunità
così era scritto sulla porta maggiore di Telème:
Qui non entrate
ipocriti e bigotti
vecchie bertucce
tangheri
marpioni
bachechi
collitorti
mangiamoccoli
qui non entrate
puttanieri in zoccoli
straccioni incappucciati
schiodacristi
bindoli
gabbasanti
spigolistri
picchiapetti
scrocconi
cattabrighe e stronfioni:
le vostre ragne andate altrove a tendere
non vi son merli qui per voi da prendere.
Desolerebbe i miei campi
la vostra iniquità;
turberebbe i miei canti
la vostra falsità.
Qui non entrate
famelici curiali
che i buoni parrocchiani
mettete alla catena come cani:
dottorelli
scrivani
togati faccendieri
succhiasangue del popolo
officiali
storcileggi
cursori
consiglieri;
qui non entrate
causidici incalliti
mozzarecchi
strascinafaccende:
son sul patibolo le vostre prebende
là i vostri ragli saranno esauditi.
Qui si sta in leticia
qui non c'è malizia
qui non vi sono eccessi
onde imbastir processi.
Qui non entrate
pitocchi e avari
usurai
leccapiatti
mangiagatti
taccagni
lesinai
intenti solo ad ammucchiar denari
mai contenti di quelli già fatti;
curvi e ricurvi sulle vostre ciotole
colme e ricolme a ricontar i mille
e mille e mille e a far i rotoli e le pile.
Sano il corpo
lieto il cuore
qui regna amicizia
lode ed onore
Meglio di riso che di pianto scrivere
poiché è dell'uomo e di lui solo il ridere.
VIVETE LIETI" . |