ADDIO AL MAESTRO
Il
mondo del giornalismo e dell'enogastronomia
in lutto per la perdita di Luigi Veronelli
di Claudio Fabbro
La recente scomparsa dell'enogastromo e
giornalista Luigi Veronelli (Gino per gli amici) ha destato profonda
commozione nel mondo della vite e del vino ma non solo.
Possiamo dire che per chiunque abbia a cuore la civiltà contadina
la
natura
l'agroartigianale
la genuinità di qualsiasi prodotto al netto
della globalizzazione ed industrializzazione più invasiva la perdita di un
paladino instancabile delle fatiche degli "Ultimi" è stata -anche se da
tempo preventivata- una forte mazzata.
Ci
siamo ritrovati a Manzano
Villa Conti Romano
in occasione della recente
Festa (asta dei vini a seguire..) della BCC (8.9.2004)
evento di grande
richiamo anche perché arricchita con un convegno e relatori importanti
quali il governatore ILLY
il presidente mondiale di SLOW FOOD
PETRINI
di AGRAPROMO
COLOMBA ed altri ancora.
Anche in quell'occasione non rinunciò a menar fendenti contro gli
"attentatori" della genuinità
riservando qualche sberla anche agli osti
che amano ricaricare oltre misura "il prezzo sorgente".
Scomodo
simpatico per molti e da evitare per altrettanti
non si può dire
che mancasse di coerenza. Anche perché il suo dire e fare
dalla
fine degli anni '50 (periodo della sua prima apparizione in FRIULI
un pò
all'abbazia di Rosazzo
un pò a Rocca Bernarda) è sempre stato lineare
senza ripensamenti.
Personalmente dopo aver letto molti dei suoi scritti
caratterizzati
da uno stile inconfondibile e singolare- ricordo di aver scambiato
qualche opinione con Lui nel 1993 al RISIT D'AUR-PREMIO NONINO e di averlo
ritrovato poi in analoghe occasioni
convivi
tavole rotonde.
Mi rimane quale prezioso testamento- l'originale di una sua nota
del 1993
da me molto apprezzata; mi riempì d'orgoglio il solo pensiero
che Lui avesse letto qualche mio articolo ed avesse trovato il tempo per
scrivermi le sue positive opinioni al riguardo
con tutte le cose che
aveva da fare. Ma i Grandi
si sa
sono imprevedibili !
Vediamo cosa hanno scritto di Lui persone che-rispetto a me-lo
hanno frequentato più intensamente.
|
|
Veronelli con Livio e
Marco Felluga |
"Luigi Veronelli
uno dei grandi della cultura
enogastronomica
è morto l'altra sera a Bergamo all'età di 78 anni. Amava
definirsi "anarcoenologo e teorico della contadinità". La famiglia ha
pregato «gli amici di portare l'ultimo saluto mercoledì 1 dicembre al
Cimitero Monumentale di Bergamo»
a partire dalle 9.30. La cerimonia
civile sarà accompagnata dalla banda degli Ottoni a Scoppio
complesso
anarchico milanese che Veronelli apprezzava moltissimo".
Così esordisce Maurizio Stancanelli (lo
stile è suo
anche se solo siglato M.S. ..) in un suo articolo in IL
GAZZETTINO dell'1 dicembre 2004 dal titolo "VERONELLI
L'ANARCHIA E IL
BUON VIVERE"
Nato a Milano nel 1926 prosegue Stancanelli - Veronelli ha speso
oltre cinquant'anni della sua vita in battaglie
intuizioni
stimoli
idee
a favore dell'agricoltura e di una cognizione del gusto che tenesse
assieme la sensibilità sociale. In gioventù fu assistente del filosofo
Giovanni Emanuele Bariè (con cui pubblica la rivista "Il Pensiero") e
collaboratore di Lelio Basso (edita "I problemi del socialismo"). Fu
inoltre amico di Luigi Carnacina (con cui pubblicò testi importanti come
"La grande cucina"
"Mangiare e bere all'italiana"
"La cucina rustica
regionale")
di Gianni Brera (con cui fu autore di "La Pacciada")
di
Giangiacomo Feltrinelli (a cui fece pubblicare
imperdibili
"Mangiare da
Re" di Nino Bergese e il suo "Alla ricerca dei cibi perduti"
ripubblicato
da DeriveApprodi nel 2004)
di Mario Soldati. Condannato a sei mesi di
carcere per istigazione alla rivolta dei vignaioli piemontesi (oppressi da
burocrazia e contrastati dai grandi monopoli) e a tre per la pubblicazione
di De Sade (l'edizione di "Storielle
Racconti e Raccontini"
1957
fu
l'ultimo rogo della censura italiana). Negli anni Sessanta e Settanta fu
autore di trasmissioni televisive (ricordiamo
per esempio
"A tavola alle
sette"
con Ave Ninchi) sulla cultura dei vini e dei cibi
di grande
efficacia ed eleganza. E nei primi anni '80 creò "L'Etichetta"
il
periodico più lussuoso e graficamente impegnato d'Italia
"vera e propria
guida alla vita materiale".
Se oggi i vini
la cucina e i giacimenti gastronomici italiani stanno
avendo uno straordinario successo nel mondo
buona parte del merito è di
quest'uomo che
con perseveranza
determinazione
rigore e cultura ha
saputo individuare e indicare giuste linee di progresso e
con pregnante
tensione etica
fare strada
trainare. La teoria dei cru
l'elevazione dei
grandi vini
la limitazione delle rese per ettaro per favorire la qualità
e non la quantità
il recupero dei vitigni autoctoni
la vinificazione in
luogo
la classificazione dei vini con puntuali esami organolettici
la
teoria della distillazione secondo monovitigno
sono solo alcune delle
intuizioni
delle lotte e delle vittorie condotte in cinquant'anni. È
stato l'unico maestro dei migliori wine-writers
italiani e non. Ha
inventato un linguaggio
un lessico
ormai entrati nell'uso corrente:
"Bocca piena e calda"
"Vino da meditazione"
"Vino da favola"
"Di zerga
beva"
"Rossi dialettici".
A quasi 79 anni aveva nel cassetto un romanzo giallo e una miniera di idee
per continuare a sostenere il divenire della qualità (vedi per esempio le
recenti battaglie a favore delle Denominazioni Comunali dei giacimenti
gastronomici
dell'autocertificazione
del prezzo sorgente e dell'olio
d'oliva
condotte con la collaborazione di molti centri sociali occupati
autogestiti e il progetto Terra e libertà/Critical wine.
Da parecchi anni scriveva su "Corriere della Sera"
"Carta"
"Libertaria" e su "Veronelli EV"
rivista da lui diretta. I suoi libri più
recenti: "Le parole della terra" (assieme a Pablo Echaurren)
"Viaggio in
Italia per le città del vino"; "Vietato Vietare"; "Breviario libertino";
"Il San Domenico di Imola"; la ristampa di "La Pacciada" e le "Guide ai
Vini e ai Ristoranti". Per le edizioni DeriveApprodi aveva scritto le
prefazioni a tre libri dallo spirito libertino di autore anonimo: "La
cucina impudica"
"La cuoca di Buenaventura Durruti"
"La cuoca rossa"
e
assieme al collettivo tl/cw il volume "Terra e libertà/Critical wine.
Sensibilità planetarie -conclude Stancanelli- e rivoluzione dei
consumi".
«Il Friuli deve tanto a Gino» -
scrive A.Valcic nello stesso numero del
quotidiano sotto il titolo "ADDIO A VERONELLI
UN LUTTO FRIULANO"
"Con queste parole Giannola Nonino vuole
concludere il suo ricordo di Luigi Veronelli
lo scrittore
il giornalista
"di mangiare e di bere"
frase con cui aveva risposto al suo primo
direttore
Italo Pietra del "Giorno"
il quale gli aveva chiesto di che
cosa volesse scrivere.
Veronelli amava queste terre e i suoi vini. Alla fine degli anni '60 era
andato dalla contessa Perusini alla scoperta del Picolit
ma anche
all'abbazia di Rosazzo per il Pignolo e lo Schioppettino. «Qui l'aveva
accolto don Nadalutti - racconta Giannola Nonino - aprendo uno spioncino
dell'antica dimora e dichiarando che l'ingresso era vietato alle donne e
ai giornalisti».
Non fu così
grazie anche all'amicizia nata con Walter Filipputti e i
nostri vitigni conobbero la ribalta nazionale grazie ai suoi servizi. Fu
ancora il Picolit a segnare un nuovo legame con il Friuli quando dalle sue
vinacce nacque quel distillato e poi il premioRisit d'aur che lo vide sin
dall'inizio protagonista. Alla cerimonia di presentazione si presentò in
giacca e cravatta: «Quando mi vesto così - disse ai Nonino - vuol dire che
sono molto diffidente». Negli anni successivi non accadde più.
«Aveva dovuto ritirarsi dalla giuria letteraria - aggiunge la Nonino -
perché non riusciva più a leggere i testi. Lo scorso agosto lo incontrai a
Milano e proprio il 10 novembre scorso mi è giunta una sua lettera. Era
reduce da un'operazione in ospedale. Mi scriveva che era uscito per
miracolo
ma che ora si sentiva molto bene. Poi più nessuna risposta alle
telefonate: il suo tempo era giunto».
"Stava male da tempo
Veronelli
anzi
il Maestro Veronelli
come non
sopportava d'essere chiamato. Ma nemmeno per un istante l'ottimismo e la
voglia di pensare al futuro gli sono venuti meno. Nemmeno quando una
decina di giorni fa
alla presentazione delle sue guide a Roma
all'ultimo
momento ha dovuto dare forfait. «Ho rischiato di non essere qui con voi»
aveva scritto agli amici più cari. L'appuntamento era rinviato di pochi
giorni.
Adesso -si legge ancora in IL GAZZETTINO di
pari data a firma Giovanni Chiades
titolo IL PIACERE DELLA LIBERTÀ E IL
GUSTO DI DONARSI
SOPRATTUTTO AI GIOVANI-
il coro è unanime e persino i nemici si associano al cordoglio e al
rimpianto
riconoscendogli il merito di avere cambiato un mondo
elevandolo da fenomeno folcloristico ad un ruolo di primo piano nella
nostra economia e nella nostra società. Veronelli ha inventato il mestiere
del giornalista enogastronomo
e più delle parole sarà la storia a
riconoscergli questi e tanti altri meriti.
Da tempo
peraltro
i suoi occhi non vedevano più. Eppure era come se
l'energia fosse aumentata
a dispetto dell'età e del male
tanto che era
continuamente su e giù per l'Italia
con i collaboratori più vicini
a
cominciare da Marc Tibaldi
Arturo Rota e - nel Veneto - Maurizio
Stancanelli.
Ma le qualità che più di ogni altra gli anni avevano amplificato
in
Veronelli erano due. La prima: il senso di libertà
che Gino identificava
in una sorta di anarchia che l'aveva avvicinato anche ai Centri sociali
e
che comunque gli consentiva
sempre
di esprimere liberamente il proprio
pensiero. Scrisse pochi mesi fa: «Quando mi chiedono una definizione
sintetica
dell'anarchia
rispondo: "credere che Dio è l'altro". (...)
L'altro per me - e in questo assunto avrei il consenso solo di alcuni
anarchici - è la donna
l'uomo
gli animali (i cani hanno accompagnato con
esistenze più brevi della mia
tutto il mio percorso umano)
la terra
l'acqua
i vegetali (i frutti in primis)
via via sino ai granelli di
sabbia».
La seconda qualità
direttamente legata alla precedente: il senso di
umanità vero
profondo
che lo portava ad essere rivolto verso gli altri
e soprattutto i giovani
con amore e disinteresse. Certo
s'indignava
Veronelli di fronte alle cose che giudicava sbagliate
soprattutto
quand'era il Potere a manipolare
a indirizzare
a mistificare. Ma sapeva
e ha saputo fino all'ultimo mettere in pratica il valore del dono
prestando la sua esperienza e il suo entusiasmo a chi ne aveva bisogno.
Gino c'era sempre. E –conclude Chiades- continuerà ad esserci".
" Era un filosofo -così si legge in SLOW FOOD on-line in data
02.12.2004 (l'articolo non è formato ma lo stile pare essere quello
di Carlin Petrini) - un cultore raffinato non soltanto del nostro
mondo fatto di cibi e vini
ma anche della buona letteratura
di cui per
altro è riuscito a essere vivo protagonista. Con i suoi scritti è stato
l'inventore di un nuovo e diverso modo di parlare di gastronomia
che per
portata può essere paragonato alle superbe operazioni condotte da Brera e
Arpino in tema di sport. Il rivolgersi ai vignaioli come ai "miei
produttori"
espressioni celebri come "camminare le vigne"
sono l'emblema
di uno stile che ancora oggi non trova nessuno in grado di emularlo o di
raggiungerne le vette. è anche stato maestro di comunicazione televisiva
con "A tavola alle 7" insieme ad Ave Ninchi che dovrebbe ancora insegnare
ai tanti tele-spadellatori odierni: "Un ragazzotto m'affrontò ai tempi
raittivù: la smettessi di maltrattare Ave Ninchi. Aveed io gli dissi
dialogavamo al modo dei frati delle quarant'ore (uno teneva la parte del
buon Dio
l'altro del diavolo; la gente plaudiva il primo e minacciava il
secondo)".
Il soggetto era assolutamente "ingovernabile": forti convinzioni
una
determinazione incredibile che negli ultimi anni
con l'età matura
aveva
assunto un atteggiamento nei confronti del potere di risoluta
autorevolezza. Un modo di porsi che non era solo determinato dallo spirito
anarchico
ma sempre da un profondo senso di giustizia
dalla sicurezza
rispetto al valore delle sue campagne
vere e proprie battaglie di
civiltà.
Tutti quelli che si occupano di enogastronomia oggi in Italia gli devono
in qualche modo qualcosa
ma forse ancora pochi hanno colto l'importanza e
il significato del suo continuo richiamo alla terra e ai suoi lavoratori
un parlare di gastronomia e eccellenze che non ha mai dimenticato la
dignità di chi produce
il compartirne le ansie. Una lotta continua
per
cinquant'anni
che racchiude il significato di ciò che dovrebbe essere
gastronomia oggi.
Io che l'ho seguito per tanto tempo
che mi sono formato grazie ai suoi
scritti
posso dire che il Veronelli a cui guardo con maggiore rispetto è
proprio quello di questi ultimi anni
quando si è avvicinato ai ragazzi
dei centri sociali per il progetto Terra e Libertà/Critical Wine. Avrebbe
tranquillamente potuto giocare il ruolo del padre nobile che se la gode
tranquillo di fronte all'establishment gastronomico e invece no
si è
avvicinato
ha sostenuto con la forza delle idee quella parte di giovani
che
per altre vie
hanno saputo cogliere gli aspetti meno immediati e più
problematici legati al cibo.
In questi giorni sono certo che tutti si soffermeranno sui suoi meriti
storici
ma io vorrei richiamare l'attenzione sull'importanza di queste
ultime sue battaglie
vorrei che le si studiasse con grande attenzione. Lo
sforzo d'analisi contenuto in "Vino
terra e libertà sensibilità
planetarie
agricoltura contadina e rivoluzione dei consumi"
la sua
ultima pubblicazione
è impressionante e molto meritorio. La lettura delle
dinamiche sociali attraverso un ritorno alla terra
carico tanto di
progettualità quanto di valenza culturale e politica
è una risposta
estremamente moderna nel momento in cui si parla di nuova ruralità
dignità contadina nel mondo
sostenibilità ambientale
globalizzazione.
Questo suo amore profondo per la terra è stato mirabilmente esplicitato ne
"Le parole della Terra"
scritto a quattro mani con Pablo Echaurren. Un
libretto che mi è venuto in mano mentre ero intento a organizzare e
progettare Terra Madre e che mi ha fatto notare quanto - pur con le dovute
e naturali differenze di vedute - avessimo in comune per passioni e
"moventi".
è la più grande eredità che ci lascia
il richiamo ai problemi
dell'agricoltura e dei contadini: la sfida per il futuro
anche
rivoluzionaria
di coniugare gastronomia
gusto
alimentazione
con
l'attenzione per la produzione
per la natura
per il riconoscimento
culturale ed economico di chi ci lavora con dedizione e difficoltà. Le
battaglie sull'olio
sulla certificazione dell'origine dei prodotti
sul
prezzo giusto. Mi piace ricordare le sue parole: "I contadini chi li
conosce? In un'Italia operaistico-borghese i contadini dico quelli veri
autonomi sono gli "unici". Sopravvissuti d'un grande genocidio non hanno
tradito e non s'arrendono... Faticante sinonimo di contadino.
La fatica è la sua misura quotidiana. Pure resiste
non s'arrende
non ha
tradito… Per me che vengo di città e porto addosso gli affari e gli
intrallazzi
è gran gioia incontrarli
vederne l'opera e sentirne i
racconti
così che mi vengono da usar la penna e anche le mani
perché
sappi
è onesto solo chi sta sulla terra e chi ne vive".
CF/GO/10.12.04
|