di Claudio Fabbro
PREMESSA
Gusti
profumi
sapori
odori sentori
bouquet
retrogusto
sono termini sono rimodellatisi ed affinatisi nel
tempo
probabilmente sconosciuti agli antichi che al vino guardavano come
bevanda da conservare dalle alterazioni e difetti e pertanto da affidare a
quei contenitori che allora" passava il convento" e che ora sarebbero
in
parte
improponibili.
- Se andiamo molto a ritroso sembra che le prime vitacee ("Vitis
vinifera sylvestris") fecero la loro comparsa circa 140 milioni di
anni a.C .
- 2 milioni d'anni fa
gruppi di esseri umani ("Homo sapiens")
emigrarono dall'Africa orientale verso il Medio Oriente: qui
probabilmente avvenne il primo incontro con la Vite selvatica.
- 11.000 anni a.C
. : nonostante l'ultima glaciazione
la vite
selvatica sopravvisse.
- 7.000 a.C.
: l'uomo addomesticò la " Vitis vinifera" : in
Georgia
infatti
sono stati trovati semi risalenti a quell'epoca
- 5.000
: varie tribù agricole lasciarono la Transcaucasia(
Georgia ed Armenia) per l'Iran( allora Mesopotamia) e poi verso Creta
(ovest) ed Egitto(sud) ; da qui verso il Nord Africa( Fenici) e poi
Spagna e Grecia.
- Da qui altra diramazione verso i Balcani e verso il SudItalia
le
Isole
la Magna Grecia (Enotria.. o terra del vino).
Per salire poi lungo la nostra penisola alla Francia e Germania.
- Questi gruppi che già coltivavano la vite
giunti in Etruria
trovarono la vite già addomesticata.
- A Chio e Lesbo venivano prodotti " ottimi" vini da uve fatte
seccar al sole .
- I più antichi resti di vite addomesticata dunque sono proprio quelli
provenienti da siti neolitici della Transcaucasia.
- Il Monte Ararat
tra Armenia e Azerbaigian
è vicino ai più antichi
insediamenti neolitici che abbiano conservato testimonianze antiche di
vite eurasiatica domestica.
L'archeologia ci ha dato modo di conoscere
l'evoluzione degli usi e costumi
i metodi di vinificazione e mescita
attraverso i manufatti ritrovati.
Attualmente l'archeologia molecolare è una scienza che
studia la composizione di resti organici
attraverso l'esame del DNA e
chimiche: ad infrarossi
fluorescenza a raggi x
cromatografia
e test
specifici per rilevar tracce di acido tartarico
tannini e resina
di "terebinto"
anticamente usata come additivo.
Probabilmente quando gli antichi s'accorsero( vedendo
che gli uccelli ne erano ghiotti) che l'uva era commestibile
ne fecero
raccolta e scorta
in sacche di pelle di animali o
contenitori di legno scavato.
Nel trasporto iniziava naturalmente la fermentazione
grazie ai lieviti : così assaporarono i primi mosti
dolci
aromatici
ma di difficile conservazione per incipienti ossidazioni e soprattutto
acetificazioni!!
Nacque allora nell'uomo del Paleolitico l'esigenza di
condizionare e trasportare e conservare il succo.
- Sembra che nel 10.000 a.C. in Asia orientale e Giappone
venissero prodotti i primi contenitori in ceramica (
ciotole con imboccatura aperta; da bersi subito causa incipiente
acetificazione).
- Nel 6.500-5.500 a.C. in Cappadocia compaiono i primi calici
in legno intarsiati.
- Risale al II° secolo a.C. (Armenia)
il calice d'argento decorato.
- Nel 5.000 a.C. comparve la prima damigiana : al suo interno
vino fruttato ( ora si direbbe " Baujolais noveau o " Novello" ) : era
l'ORCIO
ritrovato a Godin Tepe
Bass Mesopotamia .
- Del IV secolo a.C. sono le ANFORE di modello grecoinsulare o
grecoitaliche a sovrapporsi alle forme etrusche( inizio della "
romanizzazione").
- Nel VI secolo a.C. in Etruria
ciotole ("Patera mesonfalica")
per bere e versare il vino.
DEL GUSTO
Nei secoli a.C. disporre di vino dolce
in assenza
di
zucchero e cioccolata
doveva essere un privilegio.
Allora il palato veniva soddisfatto con frutta matura e
miele (nelle famiglie ricche
ovviamente..).
Ma il problema era non farlo andare in aceto e
trasportarlo
anche quale merce di scambio.
Come sigillare le anfore ?
Venivano aggiunti allora aromi
spezie
miele e resine varie ( da quercia o
"terebinto" ).
Prima di berlo il vino veniva " tagliato"
anche con acqua di mare
mai puro (eccetto che dai Celtici).
Vien da se che di gusti ed aromi vari in quei tempi non v'era coscienza nè
possibilità
poichè prioritaria era la conservazione.
La tecnologia di trasformazioneapprossimativa le alte
temperature etc. portavano comprensibilmente ad un prodotto "
mediterraneo"
magari con note presumibilmente di pietra focaia
cotto
ossidato
maderizzato
punte di aldeide acetica/ acidità volatile e
dintorni.
Ammesso e concesso che già allora esistesse la
Malvasia certo non poteva esprimere quelle note organolettiche "istriane"
o "Adriatiche" attuali
di piacevole ricordo di pepe/ sale e profumi
varietali.
Ma allora
come ora
oltre alle peculiarità del vitigno era (e
cosi sarà nel tempo..) proprio il mezzo di affinamento ad imprimere al
vino le primarie caratteristiche.
Con il crollo dell'Impero
Romano l'Inghilterra abbandonò la coltura della vite
sfavorita dl clima
scoprendo l'import dalla Francia.
Poi si orientò di più sul Portogallo (PORTO
MADERA.)
gradendo gli Inglesi la tecnica dell'aggiunta di alcole per
renderlo dolce e stabile.
Ciò avveniva ed avviene anche a Jerez (Sherry) ed in
Sicilia (Marsala).
Vero è che le maggiori innovazioni si devono alla
Francia ( bottiglie in vetro
tappi
sistemi di coltivazione ecc.).
Nel 1668 il monaco DOM PERIGNON
cantiniere in
Hautvillers
inventò lo CHAMPAGNE (ricorsi storici
poichè anche i Romani
amavano i "fermentati").
Con la decadenza medioevale anche la viticoltura
italiano segnò il passo.
La Repubblica di Venezia spadroneggiava nel
Mediterraneo ( monopolio vini del Sud
esportati al Nord..).
Nel 1709
a seguito gelate
la viticoltura
continentale subisce altro grave trauma.
Nel 1716 il Granducato di Toscana non si arrese
e con Cosimo III° emanò il primo disciplinare di produzione del CHIANTI !
( Il disciplinare del COLLIO
primo in Friuli V.G.
venne riconosciuto
con D.P.R. 25 maggio 1968 !) .
Risale alla seconda metà del ' 700 l'iniziativa del Conte Fabio Asquini
di Fagagna
tesa a valorizzare il locale PICOLIT proponendolo
in
bottigliette sagomate " ad hoc" da una vetreria di Murano
alle corti
nobili d'Austria
Germania
Ungheria
Russia ed al Vaticano.
Alla fine dell'00 risalgono le prime
devastazioni causa la FILLOSSERA (1868 in Francia
1880 in
Friuli con punte nel Carso
1888).
L'afide "distruttore delle radici" azzerò un' intera
economia e la ricostituzione
partita nell' Impero ex A.U. ( quindi nel
cosiddetto FRIULI AUSTRIACO post 1866 con la Scuola di
Klosterneuburg bei Wien
che posizionò nel 1891 in Gorizia il
memorabile IV Congresso viticolo austriaco
centrato in primis sul " caso
Fillossera") iniziò solo dopo la seconda Guerra mondiale.
Ciò conferma perchè quella friulana deve considerarsi
una delle viticolture più "giovani" d' Italia.
Va comunque riconosciuto che nel periodo non si pensò
solo a leccarsi le ferite.
Il 15 febbraio 1868 a Villa Russiz di Capriva il
Conte Teodoro de La Tour
sposando la proprietaria nobile Elvine Ritter
de Zahoni
introdusse i primi vitigni francesi tuttora asse portante
dell'economia friulana : i Pinots
Sauvignon
Cabernets e soprattutto
Merlot
che dopo il 1880 PECILE e DI BRAZZÀ diffonderanno in tutto
il Friuli.
Contemporaneamente dal "continente" arrivavano
vitigni a base aromatica: Riesling
Moscati
Sylvaner ecc.
Nelle grandi proprietà la conservazione avveniva spesso in grandi
vasche di cemento costruite in loco e rivestite internamente di
piastrelle ( nel tempo seguiranno il nero "FLINKOT" e poi
certamente più
idonee
le vetrificazioni con resine epossidiche
tuttora
adottate.
Ma torniamo un attimo alle botti di legno.
Se nel 238 d.C. Massimino il Trace ne fece buon
uso per costruire un ponte di barche sull' Isonzo significa che materia
prima ed idee in tal senso esistevano già allora.
Trattavasi probabilmente di quercia
locale
forse castagno
non da escludersi il ciliegio
(che troverà nel tempo migliori fortune con grappe
distillati ed
"aceti balsamici".
Ma sicuramente il bacino mitteleuropeo si riforniva più
frequentemente di Rovere in Slavonia
ora Croazia; trattasi
tuttora di contenitore ottimo
con dimensioni da 6 7 a 30 40 ettolitri
in
grado di limare i vini senza imprimere ad essi le proprie caratteristiche
aromatiche.
Rotondo di sezione (ma in Slovenia
Austria
Ungheria
più spesso ovale) non è mai entrato in crisi
nonostante la moda della
BARRIQUE di cui diremo.
IL GUSTO DEGLI IBRIDI
Fino agli anni ' 50
oltre all'influenza dei
citati contenitori
il consumatore nostrano aveva poca scelta : o bersi
vini dal gusto " FOXI" ( selvatico volpino)
caratteristica degli IBRIDI
PRODUTTORI DIRETTI "Fillossera resistenti
cioè Clinton. Bacò
Seibel
Isabella …..cioè quella che famigliarmente chiamiamo Fragola….) oppure
ricorrere a VINI DA TAGLIO pugliesi ( a qui il TAYUT…) che soccorrevano
con alcole ed aromi mediterranei
i nostri poveri autoctoni.
La vera e propria rinascita del VIGNETO FRIULI risale
ai primi anni ' 60.
Nonostante la vetroresina ( contenitore non ideale per cessione di
note plastichestirene e intorni..) fu l'avvento dell'acciaio
inossidabile
del termocondizionamento in fermentazione e affinamento
la selezione clonale della vite etc. a garantire primi vini
qualitativamente pregevoli
fruttati e serbevoli.
Vini da bottiglia .. e non " da battaglia"…
per farla breve!
LA BARRIQUE
Alla fine degli anni ' 70 fece capolino la
barrique
tanto cara ai bordolesi ed in Borgogna ma attentamente studiata
in Toscana anche dal "Maestro" dei grandi rossi
enologo Giacomo TACHIS
delle cantine ANTINORI.
Fu Tachis ad apprezzare per primo i vini da "
autoctoni" di Ronchi di Cialla
che dal 1977 vennero sublimati in
piccoli contenitori.
Fu bene anche perchè varietà destinate all'oblio o alla
morte burocratica ( Verduzzo friulano
Picolit
Schioppettino
Ribolla
Refosco) ripresero conoscenza e dignità (PREMIO RISIT D'AUR ' 77 alla
Famiglia Rapuzzi che ci aveva creduto).
Va tuttavia detto che da allora più spesso la botticella da 225 litri è
stata adottata anche da cantine professionalmente meno preparate
per un
fatto di moda che ha portato molti consumatori ad amare sentori invasivi
di caffè
tostato e vaniglia spesso mortificanti gli aromi varietali.
Così ponendosi
mentalmente
in un girone
dantesco globalizzato che
partendo da CHARDONNAY e CABERNET SAUVIGNON ha
invaso mezzo mondo.
Molto spesso anche con tipologie enologiche costruite
con metodi inaccettabili da noi
al fine di ottenere aromi da barrique
"taroccati" per inserimento
nella massa
di abbondanti dosi di trucioli
("chips ")
tipico della " scuola" australiana
neozelandese
cilena e
californiana.
Negli anni ' 90 si è ripensato più seriamente a
riconvertire le vigne da forme di allevamento espanse ("Casarsa") più
stretti "Guyot" di scuola francese.
Ecco allora comparire basi fortemente strutturate
alcoliche di suo
degne di competere alla pari con il " piccolo legno".
Impegnativo alquanto
se è vero
come è vero
che alla
fine degli anni ' 90 gli è stato spesso e correttamente preferito il
TONNEAU
botte di rovere francese ma di circa 5 ettolitri
meno
aggressiva.
Da 4 5 anni hanno ripreso quota le
medio grandi botti di rovere di Slavonia ma il Friuli dei grandi vini
bianchi ha trovato e trova maggior conforto nell'acciaio inossidabile.
Ciò vale per uvaggi ma anche per monovitigno.
A proposito di mode.
Il crollo degli aromatici (Riesling
Traminer
Moscato etc.)
poco
richiesti all'osteria e difficilmente abbinabili
ha convogliato anni
' 90 il consumatore verso tipologie universali ma
recentemente
anche
autoctone ( lo stesso Tocai è stato rivalutato dopo anni di vassallaggio
al Pinot grigio..).
Da un paio d'anni altra inversione di tendenza:
ricoperta della fruttuosità
del vino un p&ògrave più fresco
non decisamente
invecchiato o strutturato
più facilmente abbinabile.
Non è da escludersi che anche gli elevati costi (
più al bicchiere in enoteca e ristorante che " sorgenti"..) abbiamo
contribuito soprattutto nei giovani ad orientarsi verso produzioni più
corrette sotto il profilo qualità/prezzo.
Resta tuttavia l'amara constatazione che troppo spesso
si vorrebbe dal produttore cambiamenti repentini
ben dimenticando che la
vigna non è un orto modificabile annualmente.
CONCLUSIONI
Dall' excursus storico relativo all'evoluzione del
patrimonio viticolo ai tempi nostri emerge come l'approssimativa
conoscenza della tecnica enologica e la contemporanea e comprensibile
assenza di tecnologie paragonabili a quelle moderne abbiano inciso
profondamente sulla formazione dei profumi e dei sapori dei mosti e dei
vini.
Non è stato pertanto il consumatore ad imporre
in passato
al vignaiolo
ed al cantiniere la strategia per ottenere questa o altra sensazione
organolettica.
Prioritario era
infatti
conservare
condizionare e
trasportare . Ecco allora che le sostanze utilizzate per l'uno o i
contenitori di volta in volta individuati per gli altri sono sempre stati
responsabili di cessioni aromatiche più o meno gradevoli ma comunque
accettati.
Dopo il secolo buio a cavallo del XIX e XX secolo in
cui l'alternativa degli IBRIDI PRODUTTORI DIRETTI ha comunque consentito
di disporre di un prodotto enologico dignitoso
ancorchè di modesta
qualità ed accomunato da note FOXI
VOLPINE o SELVATICHE che dir si voglia
negli anni ' 60 inizia a farsi strada la moderna tecnica enologica
l'igiene
la selezione clonale
la tecnologia del freddo e la coscienza
che solo in condizioni di coltivazione
raccolta
vinificazione e
conduzione corretta della fermentazione
affinamento e fasi seguenti
dalla bottiglia al bicchiere
possono garantire l'ottenimento e la
persistenza di gusti " puliti"
varietali
importanti.
Indipendenti
per quanto possibile
da note invasive del contenitore.
Fabbro ha rinviato
per una più completa comprensione del suo
intervento
alla seguente bibliografia:
.: VITI E VINI DEL FRIULI
Ducato dei
Vini Friulani
Udine 1977
FABBRO C. ALLE RADICI DEL VIGNETO FRIULI
Associazione Nazionale Città del Vino
Siena 1998
FABBRO C.: IL VIGNETO FRIULI
DALL'ARRIVO DEI ROMANI
ALLA " PARTENZA" DEL TOCAI Ducato dei Vini Friulani
Udine 2005
AA.VV.: IL VINO
IMPARIAMO A CONOSCERLO
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali
Regioni
Enoteca
Italiana
Siena 2003
BOZZOLON M.: IL VINO NELL' ANTICHITÀ: SAPORI E
SENTORI CHE NON MUOIONO MAI
Il SommelierAnno XXIV n. 4/ 2005
Al fine di illustrare il ruolo del Conte Fabio Asquini di
Fagagna nella valorizzazione del territorio e del vitigno autoctono
Picolit
Fabbro fa richiamato la preziosa documentazione raccolta
da
BERGAMINI G.
NOVAJRA P . in : "PICOLIT
ORO DEL FRIULI"
IN "VINO E
TERRITORIO"
FRIULI VENEZIA GIULIA 2000.
"PICOLIT"
ORO DEL FRIULI (1)
Da sempre il Friuli è terra di vini. Lo testimoniano le
chiare parole dello scrittore "Erodiano" sull'abilità dei coloni latini
nel coltivare la fertile campagna di Aquileia e quelle dello storico "Strabone"
che riferisce degli intensi traffici di carri carichi di vino generoso qui
prodotto o trasportato oltralpe. "Pane
vino e ravanelli sono la cena dei
poveri" si legge su una lucerna aquileiese del "Primo secolo dopo Cristo".
"Clodoveo"
re dei Franchi
vinse i Visigoti grazie a
un barile di vino consegnategli a Saint Remy: "finchè avessero bevuto di
quel vino
i cavalieri sarebbero stati invincibili". Dunque vino divino:
ed è probabile che quello friulano avesse le stesse virtù
se i
Longobardi
entrati in Friuli nel 568
di qui iniziarono la loro conquista
d'Italia. Per tutto il Medioevo il vino costituì un prodotto di uso
quotidiano; ne perpetuano il ricordo scritti ed opere d'arte
tra cui una
tavoletta trecentesca
che
raffigurando le opere di carità del Patriarca
"Bertrando" non dimentica di illustrare una mescita di vino. D'altronde
come residenza estiva i Patriarchi erano usi privilegiare le dolci colline
friulane coperte di ricchi vigneti. Anche la "Serenissima Repubblica di
Venezia" rese omaggio alla vocazione squisitamente enoica della "Patria
del Friuli": non a caso la "Piazza Contarena"
la più nobile e importante
diUdine
venne chiamata "Plazze dal vin".
Nel Settecento il generale sviluppo dell'agricoltura in
Friuli ebbe positivi riflessi anche sulla coltivazione della vite
che
venne stesa e regolamenta. La "Patria del Friuli" venne identificata come
terra di vini per eccellenza e raffigurata come una bella donna con la
testa turrita
seduta su cornucopie
circondata da tralci di vite ricchi
di grappoli d'uva. La simpatia di cui godevano i vini friulani è bene
espressa da "Carlo Goldoni" che ricorda con queste parole il soggiorno
presso i Conti "Lantieri" di Gorizia".
"I vini erano eccellenti; vi era un certo vino rosso
che si chiamava "fa figlioli"
e che dava motivo di belle lepidezze. Il
giorno di San Carlo
per la festa di Sua Maestà Imperiale
si presentò a
ciascun convitato una "coppa" di foggia del tutto singolare: era un
"apparato" di vetro d'altezza di piede
composta da varie palle che
andavano digradando
e che erano separate da tubicini
e finivano con una
apertura allungata che comodamente portava alla bocca
e di lì si faceva
uscire il liquido; si riempiva il fondo della "machine" che si chiamava
gloglo; avvicinandone la sommità alla bocca
e alzando il gomito
il vino
passava per i tubi e le palle
facendo un suono armonioso; e tutti i
convitati bevendo allo stesso tempo
procuravano un "accordo" del tutto
nuovo e piacevolissimo".
IL "PICOLIT"
Grappolo : piccolo
alato
acinellato
talvolta con un'ala come il
grappolo. Acino piccolo
trasparente. Buccia pruinosa. Normalmente ogni
grappolo porta 15 30 piccoli acini. Vinaccioli grandi globosi
in numero
di due o tre.
Cenni storici : il "Picolit" è una gemma viticola ed enologica per
il Friuli. È l'unico vitigno friulano descritto nell'ampelografia del "Gallesio"
: era in antico coltivato e tenuto in grandissima considerazione
tanto
che lo stesso "Goldoni" ebbe a dire: "il "Picolit" del Tokai germano"
(intendendo per "Tokaj" quello di Ungheria fatto con il "Furmint" ).
Certamente fu merito del Conte"Fabio Asquini"
nella seconda metà del 1700
l'aver posto in giusta luce il valore del vitigno
coltivato su larga
scala a Fagagna
tanto da poterlo esportare presso la Corte di Francia
l'Imperatore d'Austria
lo Zar di Russia
la Corte Papale
ecc. Oggi
la
coltivazione del "Picolit" è concentrata sulle colline eoceniche del
Cividalese e la ragione della sua ridotta coltivazione va ricercata
nell'aborto fiorale
suo malanno fisiologico.
Vino: di finezza straordinaria
è di colore giallo
paglierino carico
delicatamente profumato (con i profumi di fiori di
campo
di mandorla
pesco
acacia e castagno)
amabile
con infinita gamma
di gusti
tra cui emerge un aggraziato mandorlato.
Accostamenti gastronomici: difficile l'accostamento di
questo grandissimo vino. Come un brillante
come un quadro d'autore
come
una preziosa perla
preferisce la solitudine. È un grande vino da
"meditazione" sorprendentemente buono su alcuni formaggi piccanti. Va
servito fresco ma non freddo.
Sulle origini del vitigno "Picolit" si sa ben poco.
Antonio Zanon mostra di credere che si tratti di una provenienza africana
trasferita in Francia
dove il suo vino venne chiamato popolarmente "piquepoulle"
da cui sarebbe derivato la versione friulano di "piculìt". Antonio
Bartolini
contemporaneo di "Fabio Asquini e lui stesso coltivatore di "Picolit"
a Buttrio
scrive che questo vino si fa con le viti trapiantate
dall'Ungheria
dalla colline di "Tokai". Per "Gaetano Perusini"
etnografo
e produttore di "Picolit"
è invece sicura l'origine friulana del vitigno.
Lo scrive anche il "Gallesio"
all'inizio
dell'Ottocento in un celebre trattato sugli alberi fruttiferi italiani:
"Il Friuli è il paese del "Piccolito". Tutto fa credere che non vi sia
stato trasportato in quel luogo per caso
e che gli abitanti avranno messo
in coltura la dolcezza e la fragranza dell'uva che produce".
FABIO ASQUINI (1726 1818)
È difficile classificare l'attività di "Fabio Asquini"
multiforme e poliedrica
tale da renderlo un nobile illuminato
personaggio di grande spicco anche tra i membri della sua famiglia
molti
dei quali nel Settecento divennero per varie ragioni famosi. Diventato
capofamiglia appena all'età di 18 anni
volse la sua principale attività
alla modernizzazione dell'agricoltura
che tentò in tutti i modi nella sua
tenuta sperimentale di Fagagna detta(Nuova Olanda). In essa si dedicò
all'escavazione e allo sfuttamento della torba (presente in abbondanza
nelle torbiere dell'area collinare) che utilizzò per la produzione di
laterizi dando vita al principale impianto per la produzione di calcina e
laterizi del territorio friulano.
Con abile capacità mercantile riuscì a collocare i suoi
prodotti presso i principali committenti edili della città di Udine
che
allora erano "l'Ospedale civile
il Capitolo del Duomo
il Monte di Pietà
e il Seminario". Impiantò anche una "figulina" per la produzione di
"Vasellame di terra a usi bassi e ordinari"
maioliche e stufe
per cui
dopo varie trattative riuscì ad assicurarsi nel 1785 l'opera del torinese
Giuseppe Antonio Rollet già celebre per la sua attività a Urbino.
Tra i nuovi prodotti agricoli si dedicò allo studio e
alla sperimentazione della coltivazione delle patate
del granoturco
del
gelso
alle bonifiche delle aree paludose e alla coltura della vite
pregiata per cui divenne soprattutto celebre per "l'invenzione" del "Picolit".
Un suo corrispondente
in un a relazione all'Accademia di Padova del 3
marzo 1800
lo definisce "Promotore e benemerito della semplice
medicina....per aver indagato distesamente le facoltà medicinali del
santonico". La sua curiosità e i risultati delle sue ricerche vennero
progressivamente proposti nelle sedute della "Società d'Agricoltura
Pratica di Udine" nata nel 1762 e rimasta in vita fino al 1797
come
"Sezione dell'Accademia Udinese"
di cui egli fu "Segretario perpetuo"
ma
solo fino al 1780. Essa nacque
non senza resistenze
su proposta di
Antonio Zanon e fu fermamente sostenuta dallo stesso Fabio Asquini con
intenti pratici di carattere formativo e sperimentale
applicando
forse
senza saperlo quello spirito concreto dell' "Illuminismo" che in quel torno
di tempo spirava nelle parti più moderne della cultura italiana. Il
modello era l'analoga "Accademia Svizzera di Berna" : in Italia essa fu
seconda solo all' "Accademia dei Georgofili di Firenze. Ci sono rimaste 173
lettere di Antonio Zanon a Fabio Asquini
scritte con cadenza pressochè
settimanale dal 1762 al 1769
che offrono uno straordinario spaccato della
società friulana del tempo.
DELL' "INVENZIONE" DEL "PICOLIT"
La capacità imprenditoriale di "Fabio Asquini" gli fece
comprendere come potesse essere apprezzato da una schiera di eletti e
raffinati intenditori un vino di grande pregio
dolce e pertanto esente
dalla pericolosa concorrenza francese. La sua prima vendita
di 14
bottiglie
risale al 1758. Negli anni Sessanta le vendite superarono i
millecento litri annui. È probabile che l'"Asquini" si sia ispirato al "Tokaji
d'Ungheria"
ben noto in tutto l'Impero Asburgico e allora penalizzato
dagli avvenimenti connessi con la guerra dei "Sette Anni" (1756 1763).
Il "Picolit" è un prodotto completamente nuovo che si
afferma esattamente nel momento di crisi delle forniture tradizionali.
Fabio Asquini non riuscì a eliminare le contraffazioni
contro cui
inutilmente lottò. Tuttavia vari "Picolit"
comunque e da chiunque
prodotti
si vendevano dovunque a caro prezzo e ciò favorì di molto l'Asquini
che stabilì per il suo prodotto un prezzo 37 volte superiore a quello del
vino comune. I nobili italiani
in servizio presso le varie Corti europee
ben volentieri servivano "Picolit" alle loro mense e così diventavano
non
del tutto incosapevolmente
una sorta di agenti commerciali allestero.
DEL "COLTIVARE" E DEL "FARE" IL "PICOLIT"
Dagli accurati elenchi
registri e documenti di Fabio
Asquini e della sua corrispondenza con Antonio Zanon
suo consigliere e
venditore
possiamo trarre informazioni anche minute sulla coltura del "Picolit"
e la lavorazione del vino. Una proprietà di Fagagna (la braida di casa?)
nell'anno 1761 produceva le seguenti quantità di vino:
"Picolit" litri 193
"Candia" litri 28
"Refosco" litri 19
"Marzemin"
litri 12.
Più del 70% era vino dolce
il solo che per il suo
pregio poteva sopportare gli alti costi di trasporto. L'Asquini progetta
pergolati in senso N S
distanti 18 20 piedi tra loro
piantati entro un
fosso
al cui fondo calcinacci o pietrame assicuravano un buon drenaggio
con terra e letame. Solo dopo sette anni si costruiva il pergolato
definitivo
nel terreno sempre pulito.
La vinificazione ricorda quella del "Vin santo". I
grappoli
vendemmiati ben maturi
erano distesi su vinchi o appesi. Dopo
la spremitura il liquido si conservava fino a Pasqua in caratelli
aperti
ogni quindici giorni per far esalare gli spiriti del vino. Poi riposava
per dodici mesi prima di assaggiarlo e imbottigliarlo
in tempo freddo e
vecchio di luna.
ANTONIO ZANON (1696 1770)
Il grande pensatore udinese coetaneo di "Giambattista
Tiepolo" (con cui ha in comune gli anni di nascita e morte)
era di trent'anni
più vecchio del Conte Fabio Asquini. Attivo e fortemente impegnato
nell'attività imprenditoriale
ebbe una concezione "sociale" della
ricchezza come mezzo per aiutare gli altri a emergere dalle loro miserie.
Di origine borghese era figlio di un commerciante di tessuti di seta
era naturalmente orientato ad analizzare e a risolvere problemi di
carattere economico.
Rimasto orfano e trovatosi a essere responsabile di una
piccola filanda avviata dal padre
Antonio Zanon
promosse l'allevamento
dei bachi da seta e tentò di persuadere i Friulani del suo tempo. Nel suo
stabilimento posto lungo la "roggia di Via Zanon"
oltre duecento persone
erano impegnate a produrre il filo di seta che tuttavia non riuscì a
trasformare in tessuto a Udine. Forse anche per questo si trasferì con la
famiglia a Venezia dove produsse tessuti che vennero subito apprezzati e
sbaragliarono la concorrenza dei capi di importazione. A Venezia istituì
una scuola di disegno professionale e tentò nuove sperimentazioni in
materia di pigmenti e nei procedimenti di tintoria. Non per questo
tralasciò di avere costanti rapporti con il Friuli del quale constatava
da uomo esperto e attento economista
le condizioni di arretratezza
economica e sociale
come si ricava dalla precise descrizioni che ci ha
lasciato nel suo imponente epistolario. Nelle lettere agli "Accademici di
Udine" egli descrive i contadini che non coltivano la patata perchè temono
di danneggiare le colture vicine o hanno schifo dei bachi da seta
o le
donne che muoiono senza aver assaggiato mai nemmeno un frutto o un
bicchier di vino
che erano tutti del padrone.
Antonio Zanon cercò di ampliare il più possibile il
numero dei propri dipendenti
favorendo i fornitori friulani e carcando
nuovi mercati. Insieme con Fabio Asquini
Federico Ottelio
il Conte
Beretta
si impegnò a fondo nel rinnovamento dell'agricoltura friulana
raccomandando
specialmente in occasione della carestia di frumento del
1764
la coltivazione delle patate
suggerendo nuovi fertilizzanti
tentando di eliminare i beni comunali incolti
cercando nuovi clienti al "Picolit"
dell'Asquini o al "Refosco" del Bertoli di cui si vendettero 3000 fiasche
nel 1728 a clienti inglesi
olandesi e tedeschi.
Antonio Zanon si decise solo in tarda età
quando aveva
ormai toccato la settantina
di dare alle stampe i suoi scritti
alcuni
dei quali sono rimasti ancora inediti
scritti che tuttavia circolavano in
copie già al suo tempo tra amci e autorità. Diede il meglio di sè nelle
"Lettere agli Ill.mi Accademici di Udine"
che gli fruttarono una fama
anche al di fuori dell'ambito esclusivamente locale.
IL VESTITO DEL "PICOLIT" La cura del
marketing del "Picolit" si estendeva alla confezione.
Fabio Asquini fornì un campione di bottiglie a una
vetreria di Murano
fornendo istruzioni sullo spessore. Il modello divenne
tipico del "Picolit friulano" e quando un importante cliente parigino
chiese bottiglie diverse egli negò
perchè le sue resistevano a qualunque
viaggio.
Fino a sessanta bottiglie
della capacità di mezzo
boccale (litri 0
6 circa) erano spedite in casse
riempite di paglia. I
tappi
di gran qualità
erano ordinati a Londra. La confezione in
bottiglie chiuse era allora una vera rarità e costituiva un forte segno di
riconoscimento per il prodotto. Altra novità era l'etichetta applicata al
turacciolo
quasi un sigillo di garanzia. Altra etichetta rettangolare fu
poi applicata sul fianco della bottiglia. Forse per un certo ritegno non
vi compare il nome "Asquini"
mentre il luogo di produzione (Fagagna) ad
esempio a Londra era da taluni interpretato come il nome del produttore o
del venditore.
Nonostante queste cautele non mancarono casi di
concorrenza sleale
per cui "Fabio Asquini" invitava ad acquistare il
prodotto direttamente da lui o dalla ditta di "Antonio Zanon".
ANCORA "AUREA MAGIA...."
"Fu assai difficile arrivare al castello di "Rocca
Bernarda"
abbagliato dal paesaggio mirabile di verde e di colline ...Qui
conobbi l'Autrice di questo libro: vive in questo castello che ella ha
ripetutamente sistemato nei suoi mobili e quadri...Il figlio Gaetano
che
mi aveva accolto all'arrivo
stava mostrandomi l'interno di una torricella
internamente foderato da scaffali di libri ben rilegati
tra piccole
finestre
quandi ella sopraggiunse....
Era al centro di quella Rocca
di quella casa
come il
focolare friulano è al centro della cucina
ma appariva come la grande
madre dalla quale dipende ogni ordine. Con un gesto lievemente autoritario
della sua mano scarna indicò la sala da pranzo; in tavola era già servita
la zuppa di fagioli alla friulana....La graduazione dei lunghi bicchieri
come canne di un organo
richiedeva per ogni pietanza il vino
corrispondente e complementare
che la terra dei suoi colli attorno dava
come un'esuberante mammella.
Ma quando venne il dolce
un antico dolce di pasta
sfogliata
ripieno di marmellate
pretese quel vino fatto per la "Messa
del Papa" che si chiama "Picolit" e che in quella Rocca ancora si
distilla. È un vino che non fa pensare all'uva
ma al polline dei fiori
diluito nella rugiada".
(Dalla Prefazione di G. Comisso a "Mangiare e bere
Friulano"
di Giuseppina Perusini Antonini
Franco Angeli Editore
Milano
1970).
Dopo la devastante infestazione fillosserica della fine
dell' Ottocento
poche viti di "Picolit" vennero salvate in una tenuta dei
Perusini a Cormons. Giacomo Perusini
all'inizio del secolo
e poi il
figlio Gaetano portarono le vite del "Picolit" sulla "Rocca Bernarda" e
con la collaborazione dell'Istituto Sperimentale per la Viticoltura di
Conegliano
selezionarono i migliori ceppi che si diffusero poi in tutti i
"Colli Orientali del Friuli" e nel "Collio"
oggi diventate prestigiose
zone a "Denominazione d'Origine Controllata. E dall'eco dei "Perusini
della Rocca"
cui vanno idealmente ad affiancarsi quanti
per similari
accenti
producono "l'aureo Picolitto" continua a riverberarsi quell'affascinante
motivo che con lui
nel Settecento
ha fatto vibrare una nota di nobiltà
per la sapienza e per la tradizione enoica del Friuli.
(1) BERGAMINI G.
NOVAJRA P.: "PICOLIT
ORO DEL FRIULI"
IN "VINO E
TERRITORIO"
FRIULI VENEZIA GIULIA 2000.
Da ultimo il relatore ha ricordato che un
illustre imprenditore di origini in Fagagna
Donald Ziraldo
figlio di
emigrati oltreoceano
ha da tempo valorizzato le produzioni di vini da uve
appassite ( botrite
uve giacciate etc.) ed ha ipotizzato un collegamento
ideale ma anche pratico fra Fagagna ed il suo illustre concittadino nella
valorizzazione del Picolit.
Ovviamente la "provocazione" è stata prontamente
raccolta dal sindaco di Fagagna
agronomo GianLuigi D'Orlandi.
Per meglio far conoscere la figura di Donald ZIRALDO
Fabbro ha letto alcuni passaggi di uno "speciale" curato dal giornalista
Antonio Maglio nel 2001 (IL MESSAGGERO VENETO 20.05.2001)