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ACCADEMIA DELLA CUCINA ITALIANA
FAGAGNA 25 novembre 2005

Pubblico al convegno dell' Accademia italiana sui prodotti tipici locali
Culture diverse in cucina
«In Friuli dalla tradizione gastronomica spinta al turismo»

     "Grande afflusso di pubblico ­ scrive in IL GAZZETTINO di domenica 4 dicembre 2005 Maria Paola Colucci ­ nonostante il maltempo al convegno destinato a valorizzare i prodotti tipici locali che l'Accademia italiana della cucina ha tenuto in sala consiliare a Fagagna.
     Renzo Mattioni delegato provinciale e regionale dell'Accademia ha sottolineato l'importanza per il turismo degli aspetti legati alla gastronomia del territorio. «In Friuli ­ ha detto ­ bisogna mettere in piedi un sistema dell'accoglienza basato anche sugli aspetti gastronomici della nostra cultura i quali interessano sempre più il turismo che su queste basi può essere vitale 12 mesi all'anno. Le nostre osterie ed i nostri agriturismo infatti hanno saputo tener viva la tradizione creando un notevole punto a favore della nostra regione». L'assessore regionale alle attività produttive Enrico Bertossi ha sottolineato la necessità di fare sistema in una regione bellissima come la nostra in cui viviamo senza a volte rendercene conto.
     L'assessore regionale alle risorse agricole Ezio Marsilio ha richiamato la necessità di portare avanti un piano di sviluppo agricolo che valorizzi i prodotti di nicchia locali. Nadia Innocente docente del dipartimento di scienze degli alimenti dell'Università di Udine ha parlato del formaggio di Fagagna l'agronomo Claudio Fabbro ha relazionato sui vini. Piero Adami accademico della cucina ha parlato della "vera storia del frico" mentre Cesare Corradini dell'Ateneo udinese ha affrontato l'argomento della sinergia tra i prodotti tradizionali e l'offerta turistica del territorio. Quindi Silvano Bertossi gran priore della confraternita della polenta ed Enzo Driussi presidente del comitato friulano di difesa delle osterie hanno presentato la pubblicazione "Sosterie 2" una ricerca sulla presenza in Friuli di locali che mantengono viva la tradizione".

 


EVOLUZIONE DEL GUSTO DEL VINO
Dal " globale " della barrique al " locale" dell' Asquini
Fagagna 25 novembre 2005
di Claudio Fabbro

PREMESSA
    
Gusti profumi sapori odori sentori bouquet retrogusto sono termini sono rimodellatisi ed affinatisi nel tempo probabilmente sconosciuti agli antichi che al vino guardavano come bevanda da conservare dalle alterazioni e difetti e pertanto da affidare a quei contenitori che allora" passava il convento" e che ora sarebbero in parte improponibili.

  • Se andiamo molto a ritroso sembra che le prime vitacee ("Vitis vinifera sylvestris") fecero la loro comparsa circa 140 milioni di anni a.C .
  • 2 milioni d'anni fa gruppi di esseri umani ("Homo sapiens") emigrarono dall'Africa orientale verso il Medio Oriente: qui probabilmente avvenne il primo incontro con la Vite selvatica.
  • 11.000 anni a.C. : nonostante l'ultima glaciazione la vite selvatica sopravvisse.
  • 7.000 a.C. : l'uomo addomesticò la " Vitis vinifera" : in Georgia infatti sono stati trovati semi risalenti a quell'epoca
  • 5.000 : varie tribù agricole lasciarono la Transcaucasia( Georgia ed Armenia) per l'Iran( allora Mesopotamia) e poi verso Creta (ovest) ed Egitto(sud) ; da qui verso il Nord Africa( Fenici) e poi Spagna e Grecia.
  • Da qui altra diramazione verso i Balcani e verso il Sud­Italia le Isole la Magna Grecia (Enotria.. o terra del vino).
    Per salire poi lungo la nostra penisola alla Francia e Germania.
  • Questi gruppi che già coltivavano la vite giunti in Etruria trovarono la vite già addomesticata.
  • A Chio e Lesbo venivano prodotti " ottimi" vini da uve fatte seccar al sole .
  • I più antichi resti di vite addomesticata dunque sono proprio quelli provenienti da siti neolitici della Transcaucasia.
  • Il Monte Ararat tra Armenia e Azerbaigian è vicino ai più antichi insediamenti neolitici che abbiano conservato testimonianze antiche di vite eurasiatica domestica.

     L'archeologia ci ha dato modo di conoscere l'evoluzione degli usi e costumi i metodi di vinificazione e mescita attraverso i manufatti ritrovati.
     Attualmente l'archeologia molecolare è una scienza che studia la composizione di resti organici attraverso l'esame del DNA e chimiche: ad infrarossi fluorescenza a raggi x cromatografia e test specifici per rilevar tracce di acido tartarico tannini e resina di "terebinto" anticamente usata come additivo.
     Probabilmente quando gli antichi s'accorsero( vedendo che gli uccelli ne erano ghiotti) che l'uva era commestibile ne fecero raccolta e scorta in sacche di pelle di animali o contenitori di legno scavato.
     Nel trasporto iniziava naturalmente la fermentazione grazie ai lieviti : così assaporarono i primi mosti dolci aromatici ma di difficile conservazione per incipienti ossidazioni e soprattutto acetificazioni!!
     Nacque allora nell'uomo del Paleolitico l'esigenza di condizionare e trasportare e conservare il succo.

  • Sembra che nel 10.000 a.C. in Asia orientale e Giappone venissero prodotti i primi contenitori in ceramica ( ciotole con imboccatura aperta; da bersi subito causa incipiente acetificazione).
  • Nel 6.500-5.500 a.C. in Cappadocia compaiono i primi calici in legno intarsiati.
  • Risale al II° secolo a.C. (Armenia) il calice d'argento decorato.
  • Nel 5.000 a.C. comparve la prima damigiana : al suo interno vino fruttato ( ora si direbbe " Baujolais noveau o " Novello" ) : era l'ORCIO ritrovato a Godin Tepe Bass Mesopotamia .
  • Del IV secolo a.C. sono le ANFORE di modello greco­insulare o greco­italiche a sovrapporsi alle forme etrusche( inizio della " romanizzazione").
  • Nel VI secolo a.C. in Etruria ciotole ("Patera mesonfalica") per bere e versare il vino.

DEL GUSTO
    
Nei secoli a.C. disporre di vino dolce in assenza di zucchero e cioccolata doveva essere un privilegio.
Allora il palato veniva soddisfatto con frutta matura e miele (nelle famiglie ricche ovviamente..).
     Ma il problema era non farlo andare in aceto e trasportarlo anche quale merce di scambio.
     Come sigillare le anfore ?
     Venivano aggiunti allora aromi spezie miele e resine varie ( da quercia o "terebinto" ).
Prima di berlo il vino veniva " tagliato" anche con acqua di mare mai puro (eccetto che dai Celtici).
Vien da se che di gusti ed aromi vari in quei tempi non v'era coscienza nè possibilità poichè prioritaria era la conservazione.
     La tecnologia di trasformazione­approssimativa­ le alte temperature etc. portavano comprensibilmente ad un prodotto " mediterraneo" magari con note presumibilmente di pietra focaia cotto ossidato maderizzato punte di aldeide acetica/ acidità volatile e dintorni.

     Ammesso e concesso che già allora esistesse la Malvasia certo non poteva esprimere quelle note organolettiche "istriane" o "Adriatiche" attuali di piacevole ricordo di pepe/ sale e profumi varietali.
Ma allora come ora oltre alle peculiarità del vitigno era (e cosi sarà nel tempo..) proprio il mezzo di affinamento ad imprimere al vino le primarie caratteristiche. 
    
Con il crollo dell'Impero Romano l'Inghilterra abbandonò la coltura della vite sfavorita dl clima scoprendo l'import dalla Francia.
     Poi si orientò di più sul Portogallo (PORTO MADERA.) gradendo gli Inglesi la tecnica dell'aggiunta di alcole per renderlo dolce e stabile.
     Ciò avveniva ­ ed avviene­ anche a Jerez (Sherry) ed in Sicilia (Marsala).
     Vero è che le maggiori innovazioni si devono alla Francia ( bottiglie in vetro tappi sistemi di coltivazione ecc.).
     Nel 1668 il monaco DOM PERIGNON cantiniere in Hautvillers inventò lo CHAMPAGNE (ricorsi storici poichè anche i Romani amavano i "fermentati").
     Con la decadenza medioevale anche la viticoltura italiano segnò il passo.
     La Repubblica di Venezia spadroneggiava nel Mediterraneo ( monopolio vini del Sud esportati al Nord..).
     Nel 1709 a seguito gelate la viticoltura continentale subisce altro grave trauma.
     Nel 1716 il Granducato di Toscana non si arrese e con Cosimo III° emanò il primo disciplinare di produzione del CHIANTI ! ( Il disciplinare del COLLIO primo in Friuli V.G. venne riconosciuto con D.P.R. 25 maggio 1968 !) .

Risale alla seconda metà del ' 700 l'iniziativa del Conte Fabio Asquini di Fagagna tesa a valorizzare il locale PICOLIT proponendolo in bottigliette sagomate " ad hoc" da una vetreria di Murano alle corti nobili d'Austria Germania Ungheria Russia ed al Vaticano.

     Alla fine dell'00 risalgono le prime devastazioni causa la FILLOSSERA (1868 in Francia 1880 in Friuli con punte nel Carso 1888).
     L'afide "distruttore delle radici" azzerò un' intera economia e la ricostituzione partita nell' Impero ex A.U. ( quindi nel cosiddetto FRIULI AUSTRIACO ­post 1866­ con la Scuola di Klosterneuburg bei Wien che posizionò nel 1891 in Gorizia il memorabile IV Congresso viticolo austriaco centrato in primis sul " caso Fillossera") iniziò solo dopo la seconda Guerra mondiale.
     Ciò conferma perchè quella friulana deve considerarsi una delle viticolture più "giovani" d' Italia.
     Va comunque riconosciuto che nel periodo non si pensò solo a leccarsi le ferite.
     Il 15 febbraio 1868 a Villa Russiz di Capriva il Conte Teodoro de La Tour sposando la proprietaria nobile Elvine Ritter de Zahoni introdusse i primi vitigni francesi ­ tuttora asse portante dell'economia friulana : i Pinots Sauvignon Cabernets e soprattutto Merlot che dopo il 1880 PECILE e DI BRAZZÀ diffonderanno in tutto il Friuli.
     Contemporaneamente dal "continente" arrivavano vitigni a base aromatica: Riesling Moscati Sylvaner ecc.
Nelle grandi proprietà la conservazione avveniva spesso in grandi vasche di cemento costruite in loco e rivestite internamente di piastrelle ( nel tempo seguiranno il nero "FLINKOT" e poi certamente più idonee le vetrificazioni con resine epossidiche tuttora adottate.
     Ma torniamo un attimo alle botti di legno.
     Se nel 238 d.C. Massimino il Trace ne fece buon uso per costruire un ponte di barche sull' Isonzo significa che materia prima ed idee in tal senso esistevano già allora.
     Trattavasi probabilmente di quercia locale forse castagno non da escludersi il ciliegio (che troverà nel tempo migliori fortune con grappe distillati ed "aceti balsamici".
     Ma sicuramente il bacino mitteleuropeo si riforniva più frequentemente di Rovere in Slavonia ora Croazia; trattasi tuttora di contenitore ottimo con dimensioni da 6 ­ 7 a 30 ­ 40 ettolitri in grado di limare i vini senza imprimere ad essi le proprie caratteristiche aromatiche.
     Rotondo di sezione (ma in Slovenia Austria Ungheria più spesso ovale) non è mai entrato in crisi nonostante la moda della BARRIQUE di cui diremo.

IL GUSTO DEGLI IBRIDI
    
Fino agli anni ' 50 oltre all'influenza dei citati contenitori il consumatore nostrano aveva poca scelta : o bersi vini dal gusto " FOXI" ( selvatico volpino) caratteristica degli IBRIDI PRODUTTORI DIRETTI "Fillossera resistenti cioè Clinton. Bacò Seibel Isabella …..cioè quella che famigliarmente chiamiamo Fragola….) oppure ricorrere a VINI DA TAGLIO pugliesi ( a qui il TAYUT…) che soccorrevano con alcole ed aromi mediterranei i nostri poveri autoctoni.
     La vera e propria rinascita del VIGNETO FRIULI risale ai primi anni ' 60.
Nonostante la vetroresina ( contenitore non ideale per cessione di note plastiche­stirene e intorni..) fu l'avvento dell'acciaio inossidabile del termocondizionamento in fermentazione e affinamento la selezione clonale della vite etc. a garantire primi vini qualitativamente pregevoli fruttati e serbevoli.
Vini da bottiglia .. e non " da battaglia"… per farla breve!

LA BARRIQUE
    
Alla fine degli anni ' 70 fece capolino la barrique tanto cara ai bordolesi ed in Borgogna ma attentamente studiata in Toscana anche dal "Maestro" dei grandi rossi enologo Giacomo TACHIS delle cantine ANTINORI.
     Fu Tachis ad apprezzare per primo i vini da " autoctoni" di Ronchi di Cialla che dal 1977 vennero sublimati in piccoli contenitori.
     Fu bene anche perchè varietà destinate all'oblio o alla morte burocratica ( Verduzzo friulano Picolit Schioppettino Ribolla Refosco) ripresero conoscenza e dignità (PREMIO RISIT D'AUR ' 77 alla Famiglia Rapuzzi che ci aveva creduto).

Va tuttavia detto che da allora più spesso la botticella da 225 litri è stata adottata anche da cantine professionalmente meno preparate per un fatto di moda che ha portato molti consumatori ad amare sentori invasivi di caffè tostato e vaniglia spesso mortificanti gli aromi varietali.

     Così ponendosi mentalmente in un girone dantesco globalizzato che partendo da CHARDONNAY e CABERNET SAUVIGNON ha invaso mezzo mondo.
     Molto spesso anche con tipologie enologiche costruite con metodi inaccettabili da noi al fine di ottenere aromi da barrique "taroccati" per inserimento nella massa di abbondanti dosi di trucioli ("chips ") tipico della " scuola" australiana neozelandese cilena e californiana.
     Negli anni ' 90 si è ripensato più seriamente a riconvertire le vigne da forme di allevamento espanse ("Casarsa") più stretti "Guyot" di scuola francese.
     Ecco allora comparire basi fortemente strutturate alcoliche di suo degne di competere alla pari con il " piccolo legno".
     Impegnativo alquanto se è vero come è vero che alla fine degli anni ' 90 gli è stato spesso e correttamente preferito il TONNEAU botte di rovere francese ma di circa 5 ettolitri meno aggressiva.
     Da 4 ­ 5 anni hanno ripreso quota le medio ­ grandi botti di rovere di Slavonia ma il Friuli dei grandi vini bianchi ha trovato ­ e trova ­ maggior conforto nell'acciaio inossidabile. Ciò vale per uvaggi ma anche per monovitigno.

A proposito di mode.
Il crollo degli aromatici (Riesling Traminer Moscato etc.) poco richiesti all'osteria e difficilmente abbinabili ha convogliato ­anni ' 90 ­ il consumatore verso tipologie universali ma recentemente anche autoctone ( lo stesso Tocai è stato rivalutato dopo anni di vassallaggio al Pinot grigio..).

      Da un paio d'anni altra inversione di tendenza: ricoperta della fruttuosità del vino un p&ògrave più fresco non decisamente invecchiato o strutturato più facilmente abbinabile.
      Non è da escludersi che anche gli elevati costi ( più al bicchiere in enoteca e ristorante che " sorgenti"..) abbiamo contribuito ­ soprattutto nei giovani ­ ad orientarsi verso produzioni più corrette sotto il profilo qualità/prezzo.
     Resta tuttavia l'amara constatazione che troppo spesso si vorrebbe dal produttore cambiamenti repentini ben dimenticando che la vigna non è un orto modificabile annualmente.

CONCLUSIONI
    
Dall' excursus storico relativo all'evoluzione del patrimonio viticolo ai tempi nostri emerge come l'approssimativa conoscenza della tecnica enologica e la contemporanea e comprensibile assenza di tecnologie paragonabili a quelle moderne abbiano inciso profondamente sulla formazione dei profumi e dei sapori dei mosti e dei vini.
Non è stato pertanto il consumatore ad imporre in passato al vignaiolo ed al cantiniere la strategia per ottenere questa o altra sensazione organolettica.
     Prioritario era infatti conservare condizionare e trasportare . Ecco allora che le sostanze utilizzate per l'uno o i contenitori di volta in volta individuati per gli altri sono sempre stati responsabili di cessioni aromatiche più o meno gradevoli ma comunque accettati.
     Dopo il secolo buio a cavallo del XIX e XX secolo in cui l'alternativa degli IBRIDI PRODUTTORI DIRETTI ha comunque consentito di disporre di un prodotto enologico dignitoso ancorchè di modesta qualità ed accomunato da note FOXI VOLPINE o SELVATICHE che dir si voglia negli anni ' 60 inizia a farsi strada la moderna tecnica enologica l'igiene la selezione clonale la tecnologia del freddo e la coscienza che solo in condizioni di coltivazione raccolta vinificazione e conduzione corretta della fermentazione affinamento e fasi seguenti dalla bottiglia al bicchiere possono garantire l'ottenimento e la persistenza di gusti " puliti" varietali importanti.
Indipendenti per quanto possibile da note invasive del contenitore.

Fabbro ha rinviato per una più completa comprensione del suo intervento alla seguente bibliografia:

  • FABBRO C.: VITI E VINI DEL FRIULI Ducato dei Vini Friulani Udine 1977
  • FABBRO C.  ALLE RADICI DEL VIGNETO FRIULI Associazione Nazionale Città del Vino Siena 1998
  • FABBRO C.: IL VIGNETO FRIULI DALL'ARRIVO DEI ROMANI ALLA " PARTENZA" DEL TOCAI ­ Ducato dei Vini Friulani Udine 2005
  • AA.VV.: IL VINO IMPARIAMO A CONOSCERLO Ministero delle Politiche Agricole e Forestali Regioni Enoteca Italiana Siena 2003
  • BOZZOLON M.: IL VINO NELL' ANTICHITÀ: SAPORI E SENTORI CHE NON MUOIONO MAI Il Sommelier­Anno XXIV­ n. 4/ 2005

Al fine di illustrare il ruolo del Conte Fabio Asquini di Fagagna nella valorizzazione del territorio e del vitigno autoctono Picolit Fabbro fa richiamato la preziosa documentazione raccolta da
BERGAMINI G. NOVAJRA P . in : "PICOLIT ORO DEL FRIULI" IN "VINO E TERRITORIO" FRIULI VENEZIA GIULIA 2000.



"PICOLIT" ORO DEL FRIULI (1)

     Da sempre il Friuli è terra di vini. Lo testimoniano le chiare parole dello scrittore "Erodiano" sull'abilità dei coloni latini nel coltivare la fertile campagna di Aquileia e quelle dello storico "Strabone" che riferisce degli intensi traffici di carri carichi di vino generoso qui prodotto o trasportato oltralpe. "Pane vino e ravanelli sono la cena dei poveri" si legge su una lucerna aquileiese del "Primo secolo dopo Cristo".
     "Clodoveo" re dei Franchi vinse i Visigoti grazie a un barile di vino consegnategli a Saint Remy: "finchè avessero bevuto di quel vino i cavalieri sarebbero stati invincibili". Dunque vino divino: ed è probabile che quello friulano avesse le stesse virtù se i Longobardi entrati in Friuli nel 568 di qui iniziarono la loro conquista d'Italia. Per tutto il Medioevo il vino costituì un prodotto di uso quotidiano; ne perpetuano il ricordo scritti ed opere d'arte tra cui una tavoletta trecentesca che raffigurando le opere di carità del Patriarca "Bertrando" non dimentica di illustrare una mescita di vino. D'altronde come residenza estiva i Patriarchi erano usi privilegiare le dolci colline friulane coperte di ricchi vigneti. Anche la "Serenissima Repubblica di Venezia" rese omaggio alla vocazione squisitamente enoica della "Patria del Friuli": non a caso la "Piazza Contarena" la più nobile e importante diUdine venne chiamata "Plazze dal vin".
     Nel Settecento il generale sviluppo dell'agricoltura in Friuli ebbe positivi riflessi anche sulla coltivazione della vite che venne stesa e regolamenta. La "Patria del Friuli" venne identificata come terra di vini per eccellenza e raffigurata come una bella donna con la testa turrita seduta su cornucopie circondata da tralci di vite ricchi di grappoli d'uva. La simpatia di cui godevano i vini friulani è bene espressa da "Carlo Goldoni" che ricorda con queste parole il soggiorno presso i Conti "Lantieri" di Gorizia".
     "I vini erano eccellenti; vi era un certo vino rosso che si chiamava "fa figlioli" e che dava motivo di belle lepidezze. Il giorno di San Carlo per la festa di Sua Maestà Imperiale si presentò a ciascun convitato una "coppa" di foggia del tutto singolare: era un "apparato" di vetro d'altezza di piede composta da varie palle che andavano digradando e che erano separate da tubicini e finivano con una apertura allungata che comodamente portava alla bocca e di lì si faceva uscire il liquido; si riempiva il fondo della "machine" che si chiamava glo­glo; avvicinandone la sommità alla bocca e alzando il gomito il vino passava per i tubi e le palle facendo un suono armonioso; e tutti i convitati bevendo allo stesso tempo procuravano un "accordo" del tutto nuovo e piacevolissimo".

IL "PICOLIT"
Grappolo : piccolo alato acinellato talvolta con un'ala come il grappolo. Acino piccolo trasparente. Buccia pruinosa. Normalmente ogni grappolo porta 15 ­ 30 piccoli acini. Vinaccioli grandi ­ globosi in numero di due o tre.

Cenni storici : il "Picolit" è una gemma viticola ed enologica per il Friuli. È l'unico vitigno friulano descritto nell'ampelografia del "Gallesio" : era in antico coltivato e tenuto in grandissima considerazione tanto che lo stesso "Goldoni" ebbe a dire: "il "Picolit" del Tokai germano" (intendendo per "Tokaj" quello di Ungheria fatto con il "Furmint" ). Certamente fu merito del Conte"Fabio Asquini" nella seconda metà del 1700 l'aver posto in giusta luce il valore del vitigno coltivato su larga scala a Fagagna tanto da poterlo esportare presso la Corte di Francia l'Imperatore d'Austria lo Zar di Russia la Corte Papale ecc. Oggi la coltivazione del "Picolit" è concentrata sulle colline eoceniche del Cividalese e la ragione della sua ridotta coltivazione va ricercata nell'aborto fiorale suo malanno fisiologico.
     Vino: di finezza straordinaria è di colore giallo paglierino carico delicatamente profumato (con i profumi di fiori di campo di mandorla pesco acacia e castagno) amabile con infinita gamma di gusti tra cui emerge un aggraziato mandorlato.
     Accostamenti gastronomici: difficile l'accostamento di questo grandissimo vino. Come un brillante come un quadro d'autore come una preziosa perla preferisce la solitudine. È un grande vino da "meditazione" sorprendentemente buono su alcuni formaggi piccanti. Va servito fresco ma non freddo.
     Sulle origini del vitigno "Picolit" si sa ben poco. Antonio Zanon mostra di credere che si tratti di una provenienza africana trasferita in Francia dove il suo vino venne chiamato popolarmente "pique­poulle" da cui sarebbe derivato la versione friulano di "piculìt". Antonio Bartolini contemporaneo di "Fabio Asquini e lui stesso coltivatore di "Picolit" a Buttrio scrive che questo vino si fa con le viti trapiantate dall'Ungheria dalla colline di "Tokai". Per "Gaetano Perusini" etnografo e produttore di "Picolit" è invece sicura l'origine friulana del vitigno.
     Lo scrive anche il "Gallesio" all'inizio dell'Ottocento in un celebre trattato sugli alberi fruttiferi italiani: "Il Friuli è il paese del "Piccolito". Tutto fa credere che non vi sia stato trasportato in quel luogo per caso e che gli abitanti avranno messo in coltura la dolcezza e la fragranza dell'uva che produce".

FABIO ASQUINI (1726 ­ 1818)
     È difficile classificare l'attività di "Fabio Asquini" multiforme e poliedrica tale da renderlo un nobile illuminato personaggio di grande spicco anche tra i membri della sua famiglia molti dei quali nel Settecento divennero per varie ragioni famosi. Diventato capofamiglia appena all'età di 18 anni volse la sua principale attività alla modernizzazione dell'agricoltura che tentò in tutti i modi nella sua tenuta sperimentale di Fagagna detta(Nuova Olanda). In essa si dedicò all'escavazione e allo sfuttamento della torba (presente in abbondanza nelle torbiere dell'area collinare) che utilizzò per la produzione di laterizi dando vita al principale impianto per la produzione di calcina e laterizi del territorio friulano.
     Con abile capacità mercantile riuscì a collocare i suoi prodotti presso i principali committenti edili della città di Udine che allora erano "l'Ospedale civile il Capitolo del Duomo il Monte di Pietà e il Seminario". Impiantò anche una "figulina" per la produzione di "Vasellame di terra a usi bassi e ordinari" maioliche e stufe per cui dopo varie trattative riuscì ad assicurarsi nel 1785 l'opera del torinese Giuseppe Antonio Rollet già celebre per la sua attività a Urbino.
     Tra i nuovi prodotti agricoli si dedicò allo studio e alla sperimentazione della coltivazione delle patate del granoturco del gelso alle bonifiche delle aree paludose e alla coltura della vite pregiata per cui divenne soprattutto celebre per "l'invenzione" del "Picolit". Un suo corrispondente in un a relazione all'Accademia di Padova del 3 marzo 1800 lo definisce "Promotore e benemerito della semplice medicina....per aver indagato distesamente le facoltà medicinali del santonico". La sua curiosità e i risultati delle sue ricerche vennero progressivamente proposti nelle sedute della "Società d'Agricoltura Pratica di Udine" nata nel 1762 e rimasta in vita fino al 1797 come "Sezione dell'Accademia Udinese" di cui egli fu "Segretario perpetuo" ma solo fino al 1780. Essa nacque non senza resistenze su proposta di Antonio Zanon e fu fermamente sostenuta dallo stesso Fabio Asquini con intenti pratici di carattere formativo e sperimentale applicando forse senza saperlo quello spirito concreto dell' "Illuminismo" che in quel torno di tempo spirava nelle parti più moderne della cultura italiana. Il modello era l'analoga "Accademia Svizzera di Berna" : in Italia essa fu seconda solo all' "Accademia dei Georgofili di Firenze. Ci sono rimaste 173 lettere di Antonio Zanon a Fabio Asquini scritte con cadenza pressochè settimanale dal 1762 al 1769 che offrono uno straordinario spaccato della società friulana del tempo.

DELL' "INVENZIONE" DEL "PICOLIT"
     La capacità imprenditoriale di "Fabio Asquini" gli fece comprendere come potesse essere apprezzato da una schiera di eletti e raffinati intenditori un vino di grande pregio dolce e pertanto esente dalla pericolosa concorrenza francese. La sua prima vendita di 14 bottiglie risale al 1758. Negli anni Sessanta le vendite superarono i millecento litri annui. È probabile che l'"Asquini" si sia ispirato al "Tokaji d'Ungheria" ben noto in tutto l'Impero Asburgico e allora penalizzato dagli avvenimenti connessi con la guerra dei "Sette Anni" (1756 ­ 1763).
     Il "Picolit" è un prodotto completamente nuovo che si afferma esattamente nel momento di crisi delle forniture tradizionali. Fabio Asquini non riuscì a eliminare le contraffazioni contro cui inutilmente lottò. Tuttavia vari "Picolit" comunque e da chiunque prodotti si vendevano dovunque a caro prezzo e ciò favorì di molto l'Asquini che stabilì per il suo prodotto un prezzo 37 volte superiore a quello del vino comune. I nobili italiani in servizio presso le varie Corti europee ben volentieri servivano "Picolit" alle loro mense e così diventavano non del tutto incosapevolmente una sorta di agenti commerciali allestero.

DEL "COLTIVARE" E DEL "FARE" IL "PICOLIT"
     Dagli accurati elenchi registri e documenti di Fabio Asquini e della sua corrispondenza con Antonio Zanon suo consigliere e venditore possiamo trarre informazioni anche minute sulla coltura del "Picolit" e la lavorazione del vino. Una proprietà di Fagagna (la braida di casa?) nell'anno 1761 produceva le seguenti quantità di vino:
­ "Picolit" litri 193 "Candia" litri 28 "Refosco" litri 19 "Marzemin" litri 12.
     Più del 70% era vino dolce il solo che per il suo pregio poteva sopportare gli alti costi di trasporto. L'Asquini progetta pergolati in senso N ­ S distanti 18 ­ 20 piedi tra loro piantati entro un fosso al cui fondo calcinacci o pietrame assicuravano un buon drenaggio con terra e letame. Solo dopo sette anni si costruiva il pergolato definitivo nel terreno sempre pulito.
     La vinificazione ricorda quella del "Vin santo". I grappoli vendemmiati ben maturi erano distesi su vinchi o appesi. Dopo la spremitura il liquido si conservava fino a Pasqua in caratelli aperti ogni quindici giorni per far esalare gli spiriti del vino. Poi riposava per dodici mesi prima di assaggiarlo e imbottigliarlo in tempo freddo e vecchio di luna.

ANTONIO ZANON ­ (1696 ­ 1770)
     Il grande pensatore udinese coetaneo di "Giambattista Tiepolo" (con cui ha in comune gli anni di nascita e morte) era di trent'anni più vecchio del Conte Fabio Asquini. Attivo e fortemente impegnato nell'attività imprenditoriale ebbe una concezione "sociale" della ricchezza come mezzo per aiutare gli altri a emergere dalle loro miserie. Di origine borghese ­ era figlio di un commerciante di tessuti di seta ­ era naturalmente orientato ad analizzare e a risolvere problemi di carattere economico.
     Rimasto orfano e trovatosi a essere responsabile di una piccola filanda avviata dal padre Antonio Zanon promosse l'allevamento dei bachi da seta e tentò di persuadere i Friulani del suo tempo. Nel suo stabilimento posto lungo la "roggia di Via Zanon" oltre duecento persone erano impegnate a produrre il filo di seta che tuttavia non riuscì a trasformare in tessuto a Udine. Forse anche per questo si trasferì con la famiglia a Venezia dove produsse tessuti che vennero subito apprezzati e sbaragliarono la concorrenza dei capi di importazione. A Venezia istituì una scuola di disegno professionale e tentò nuove sperimentazioni in materia di pigmenti e nei procedimenti di tintoria. Non per questo tralasciò di avere costanti rapporti con il Friuli del quale constatava da uomo esperto e attento economista le condizioni di arretratezza economica e sociale come si ricava dalla precise descrizioni che ci ha lasciato nel suo imponente epistolario. Nelle lettere agli "Accademici di Udine" egli descrive i contadini che non coltivano la patata perchè temono di danneggiare le colture vicine o hanno schifo dei bachi da seta o le donne che muoiono senza aver assaggiato mai nemmeno un frutto o un bicchier di vino che erano tutti del padrone.
     Antonio Zanon cercò di ampliare il più possibile il numero dei propri dipendenti favorendo i fornitori friulani e carcando nuovi mercati. Insieme con Fabio Asquini Federico Ottelio il Conte Beretta si impegnò a fondo nel rinnovamento dell'agricoltura friulana raccomandando specialmente in occasione della carestia di frumento del 1764 la coltivazione delle patate suggerendo nuovi fertilizzanti tentando di eliminare i beni comunali incolti cercando nuovi clienti al "Picolit" dell'Asquini o al "Refosco" del Bertoli di cui si vendettero 3000 fiasche nel 1728 a clienti inglesi olandesi e tedeschi.
     Antonio Zanon si decise solo in tarda età quando aveva ormai toccato la settantina di dare alle stampe i suoi scritti alcuni dei quali sono rimasti ancora inediti scritti che tuttavia circolavano in copie già al suo tempo tra amci e autorità. Diede il meglio di sè nelle "Lettere agli Ill.mi Accademici di Udine" che gli fruttarono una fama anche al di fuori dell'ambito esclusivamente locale.

     IL VESTITO DEL "PICOLIT" ­ La cura del marketing del "Picolit" si estendeva alla confezione.
     Fabio Asquini fornì un campione di bottiglie a una vetreria di Murano fornendo istruzioni sullo spessore. Il modello divenne tipico del "Picolit friulano" e quando un importante cliente parigino chiese bottiglie diverse egli negò perchè le sue resistevano a qualunque viaggio.
     Fino a sessanta bottiglie della capacità di mezzo boccale (litri 0 6 circa) erano spedite in casse riempite di paglia. I tappi di gran qualità erano ordinati a Londra. La confezione in bottiglie chiuse era allora una vera rarità e costituiva un forte segno di riconoscimento per il prodotto. Altra novità era l'etichetta applicata al turacciolo quasi un sigillo di garanzia. Altra etichetta rettangolare fu poi applicata sul fianco della bottiglia. Forse per un certo ritegno non vi compare il nome "Asquini" mentre il luogo di produzione (Fagagna) ad esempio a Londra era da taluni interpretato come il nome del produttore o del venditore.
     Nonostante queste cautele non mancarono casi di concorrenza sleale per cui "Fabio Asquini" invitava ad acquistare il prodotto direttamente da lui o dalla ditta di "Antonio Zanon".

ANCORA "AUREA MAGIA...."
    
"Fu assai difficile arrivare al castello di "Rocca Bernarda" abbagliato dal paesaggio mirabile di verde e di colline ...Qui conobbi l'Autrice di questo libro: vive in questo castello che ella ha ripetutamente sistemato nei suoi mobili e quadri...Il figlio Gaetano che mi aveva accolto all'arrivo stava mostrandomi l'interno di una torricella internamente foderato da scaffali di libri ben rilegati tra piccole finestre quandi ella sopraggiunse....
     Era al centro di quella Rocca di quella casa come il focolare friulano è al centro della cucina ma appariva come la grande madre dalla quale dipende ogni ordine. Con un gesto lievemente autoritario della sua mano scarna indicò la sala da pranzo; in tavola era già servita la zuppa di fagioli alla friulana....La graduazione dei lunghi bicchieri come canne di un organo richiedeva per ogni pietanza il vino corrispondente e complementare che la terra dei suoi colli attorno dava come un'esuberante mammella.
     Ma quando venne il dolce un antico dolce di pasta sfogliata ripieno di marmellate pretese quel vino fatto per la "Messa del Papa" che si chiama "Picolit" e che in quella Rocca ancora si distilla. È un vino che non fa pensare all'uva ma al polline dei fiori diluito nella rugiada".
     (Dalla Prefazione di G. Comisso a "Mangiare e bere Friulano" di Giuseppina Perusini Antonini Franco Angeli Editore Milano 1970).
     Dopo la devastante infestazione fillosserica della fine dell' Ottocento poche viti di "Picolit" vennero salvate in una tenuta dei Perusini a Cormons. Giacomo Perusini all'inizio del secolo e poi il figlio Gaetano portarono le vite del "Picolit" sulla "Rocca Bernarda" e con la collaborazione dell'Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano selezionarono i migliori ceppi che si diffusero poi in tutti i "Colli Orientali del Friuli" e nel "Collio" oggi diventate prestigiose zone a "Denominazione d'Origine Controllata. E dall'eco dei "Perusini della Rocca" cui vanno idealmente ad affiancarsi quanti per similari accenti producono "l'aureo Picolitto" continua a riverberarsi quell'affascinante motivo che con lui nel Settecento ha fatto vibrare una nota di nobiltà per la sapienza e per la tradizione enoica del Friuli.
(1) BERGAMINI G. NOVAJRA P.: "PICOLIT ORO DEL FRIULI" IN "VINO E TERRITORIO" FRIULI VENEZIA GIULIA 2000.

 

     Da ultimo il relatore ha ricordato che un illustre imprenditore di origini in Fagagna Donald Ziraldo figlio di emigrati oltreoceano ha da tempo valorizzato le produzioni di vini da uve appassite ( botrite uve giacciate etc.) ed ha ipotizzato un collegamento ideale ma anche pratico fra Fagagna ed il suo illustre concittadino nella valorizzazione del Picolit.
     Ovviamente la "provocazione" è stata prontamente raccolta dal sindaco di Fagagna agronomo GianLuigi D'Orlandi.
     Per meglio far conoscere la figura di Donald ZIRALDO Fabbro ha letto alcuni passaggi di uno "speciale" curato dal giornalista Antonio Maglio nel 2001 (IL MESSAGGERO VENETO 20.05.2001)

Anche Niagara è terra di Bacco
Figlio di un emigrante e oggi annoverato tra i 25 più importanti imprenditori canadesi del secolo
Donald Ziraldo originario di Fagagna riconosciuto signore della vite e del vino

di ANTONIO MAGLIO

     "TORONTO ­ Primi decenni del secolo scorso esattamente il 1923: Fiorello Ziraldo da Fagagna arriva a Ellis Island New York City mitico capolinea delle grandi emigrazioni verso gli Stati Uniti. Ha attraversato l'oceano stivato nella terza classe di una nave carica di altri friulani che come lui scappavano dalla depressione seguita alla Grande Guerra e che cercavano fortuna in America.
     Messo piede sulla terraferma Fiorello si guarda in giro. Ha sedici anni e voglia di lavorare di far soldi per tornare indietro. Magari in prima classe su un lussuoso piroscafo di linea di quelli che assomigliano a città galleggianti. Gli dicono che nel Nord in Canada cercano minatori da mandare nelle miniere d'oro di Timmis a scavare. Oro uguale soldi pensa Fiorello. E va. Scava sottoterra per ventitrè anni ma alla fine riesce a coronare il suo sogno: compra prima un appezzamento di terra nella Penisola del Niagara (è stanco di fare il minatore vuole diventare agricoltore) poi un biglietto di prima classe su un piroscafo di linea e torna in Friuli a Fagagna. Dove incontra Irma una bella ragazza che ha studiato da ostetrica. è amore a prima vista. Pochi mesi dopo sono marito e moglie. E sulla via del ritorno Fiorello regala a sua moglie un viaggio di nozze da favola: una cabina di prima classe su una città galleggiante tappa a New York e soggiorno al Waldorf Astoria all'epoca l'albergo più lussuoso gite e shopping in città e la sera a teatro.
     «Ancora oggi ricordando quei giorni mia madre sorride» dice Donald Ziraldo figlio di Fiorello. «Mi ripete spesso: "Chi avrebbe mai immaginato che dopo il Waldorf Astoria sarei venuta qui in campagna a lavorare la terra?". Ma non si scoraggiò non ne aveva il tempo perchè si trattava di mandare avanti la nuova attività di mio padre e poi l'anno dopo nel 1948 sono arrivato io. Questo è tutto».
     Nonostante i natali canadesi Donald Ziraldo rimane friulano («a casa mia si parla furlàn» dice) cioè di poche parole. Eppure qui è un personaggio: è il viticoltore più famoso del paese e proprio per questo è stato insignito nel 1998 dell'Ordine del Canada l'onorificenza più importante e ambìta. Lo chiamano iceman che letteralmente vuol dire uomo di ghiaccio un appellativo che gli è stato dato non per il suo carattere ma per il suo fiore all'occhiello l'Icewine che è il vino ricavato da uve vendemmiate d'inverno ambrato e dolce ma non liquoroso con il quale ha vinto premi e ottenuto riconoscimenti da questa parte e dall'altra dell'Atlantico. Ma non si è imposto solo con l'Icewine: con i suoi Chardonnay e Pinot nero ha ottenuto primi premi in Francia e in Italia «dove ho sfatato la leggenda che il Canada non può produrre vini pregiati: era il mio chiodo fisso» dice. Il prestigio indiscusso della sua azienda la Inniskillin Wines Inc. di Niagara on the Lake proprio a ridosso delle cascate lo fa annoverare tra i 25 più grandi imprenditori canadesi del secolo in una graduatoria stilata nel 1999 dal quotidiano National Post. Ed è naturale che sia stato uno dei pochi invitati alla cerimonia d'apertura a Londra della Canada House alla presenza della regina Elisabetta e del primo ministro canadese Jean Chretien.
     Ma Donald Ziraldo non è solo vignaiolo e viticoltore: è anche presidente e fondatore della VQA (Vinters Quality Alliance l'istituto di vigilanza sulla denominazione controllata e sulla qualità dei vini) e fondatore della prima Scuola di viticoltura ed enologia per i paesi dal clima freddo alla Brock University di Niagara.
     E tutto è nato in quel fazzoletto di terra comprato nella Penisola del Niagara da suo padre stanco di scavare oro. «No ­ precisa Donald Ziraldo ­ tutto è nato da questo anello dal quale non mi separo mai» e lo mostra orgoglioso. Come sarebbe a dire che tutto nato da quell'anello Mister Ziraldo? «è stato fatto con l'oro che mio padre tirava su dalla miniera. Me l'ha regalato mia madre nel 1971 quando mi sono laureato in agronomia. Mio padre a quel tempo era già morto e nel consegnarmi l'anello mia madre mi disse: "Tienilo da conto avrebbe voluto dartelo lui". Io a quel tempo non avevo ancora deciso a quale branca dell'agronomia mi sarei dedicato. Presi l'anello e ci vidi inciso guardi qui un grappolo d'uva. Se sono arrivato fin qui lo devo anche a questo anello. Insomma mio padre ci aveva fatto incidere il mio destino».
     Presa dunque la decisione di dedicarsi alla viticoltura e all'enologia il giovane Donald Ziraldo va in Friuli «a cercare ispirazione» dice. E la trova. «Feci una riflessione: se qui che fa freddo ma anche in Germania e in Austria dove non fa certo caldo si coltiva la vite e si fanno ottimi vini perchè non posso fare altrettanto io nella Penisola del Niagara che sta alla stessa latitudine? Così tornai indietro e studiai le medie delle temperature. Mi accorsi che dove c'era la piccola azienda agricola lasciatami da mio padre si andava sì sotto lo zero ma che da giugno a ottobre si superavano tranquillamente i 30 gradi grazie al microclima prodotto dal lago Ontario e alle piccole alture che riparano la penisola dai venti freddi del Nord. Conclusi che questa zona è l'ideale per fare d'inverno l'Icewine e in autunno i Pinot e gli Chardonnay».
     Non ha finito ancora di completare lo studio delle temperature che un giorno si presenta da lui un uomo per comprare piante da vite che prepara nel suo vivaio. Si chiama Karl Kaiser ed è un austriaco che si è laureato in chimica in Canada dove si è sposato; quindi non ha nessuna intenzione di tornarsene in Austria. «Non tiriamola per le lunghe: siamo diventati soci e insieme abbiamo fondato nel 1975 la Inniskillin Wines».
     A quel punto si tratta di mettere in pratica l'intuizione. Altro viaggio in Friuli («si torna sempre dove si è partiti anche dopo generazioni») e visita alla Cooperativa agricola di Rauscedo dove Donald Ziraldo compra i primi vitigni di Riesling di Gamay Beaujoulais e di Chardonnay. Poi va a trovare i parenti a Fagagna e incontra Manlio Toniutti figlio di un caro amico di suo padre che ha una tipografia specializzata in etichette da vino. «Fu Manlio a farmi le prime etichette. E cominciai». Va subito bene «perchè fin dall'inizio un obiettivo ha accomunato Karl Kaiser e me: to do the best fare il meglio. Se siamo arrivati fin qui è perchè non abbiamo mai voluto nè prodotti nè uomini mediocri: alla Inniskillin abbiamo i migliori enologi presenti sul mercato».
     Oggi il fazzoletto di terra che Fiorello Ziraldo comprò perchè non voleva più andare sottoterra a scavare («lui pensava di coltivarci frutta») è una grande azienda vinicola che dialoga con tutto il mondo. «E da qualche tempo grazie a Mario Di Dievole di Siena i vini della Inniskillin sono presenti anche in quaranta rinomati ristoranti italiani. In Friuli si trovano a Nimis all'enoteca Alla Vite». Che abbiano ottimi livelli di qualità lo dimostra anche la recente decisione dell'Unione Europea che ha aperto il proprio mercato ai vini pregiati della regione del Niagara Icewine in testa. Alla notizia i giornali canadesi hanno dato molto risalto perchè considerano quella decisione una promozione. «Ma è anche un riconoscimento di credibilità» dice Donald Ziraldo che a quel riconoscimento ha dato un contributo determinante sia come vignaiolo sia come presidente della VQA e fondatore della Scuola di viticoltura ed enologia per i paesi dal clima freddo. E i giornali canadesi gliene hanno dato atto.
     Attorno al suo stabilimento i campi si perdono a vista d'occhio; qui durante la guerra del 1812 il reggimento irlandese dei Fucilieri Inniskillin compì prodigi di eroismo («è proprio in onore di quel reggimento che abbiamo dato il suo nome alla nostra azienda»); ed è qui che durante le notti d'inverno si compie il prodigio dell'Icewine. Alla luce di potenti riflettori squadre di vendemmiatori imbacuccati tagliano a mano i grappoli gelati («la temperatura ideale per questo lavoro è tra i 10 e i 13 gradi sotto lo zero») che verranno spremuti delicatamente per impedire che il ghiaccio diventi acqua e diluisca lo zucchero. Il succo ottenuto diventerà Icewine dopo una lunga fermentazione. Andrà a unirsi al Riesling allo Chardonnay e al Pinot nero con cui il Canada ha dimostrato di saper produrre vini di classe. Grazie a un friulano il cui destino era inciso su un anello".