ROTARY INTERNATIONAL
COMITATO INTERPAESE ITALIA/MALTA/SAN MARINO/ALBANIA - SVIZZERA/LIECHTENSTEIN
(C.I.P - CH) SEZIONE ITALIA Udine, 21 settembre 2007
Dal 21 al 23 settembre scorsi il Rotary International ha organizzato una serie di incontri e visite tecniche in Friuli
Venezia Giulia al fine di approfondire la conoscenza delle realtà imprenditoriali agricole, delle iniziative in campo
vitivinicolo ed enogastronomico dedicando inoltre ampio spazio agli aspetti culturali, storici e socio-economici.
E' stato per me un piacere ed un onore intervenire, su invito dell' amico dr.Giorgio Colutta di Manzano, quale relatore - insieme all' ing. Carlito Ferrari- ad un Seminario d'elevato livello tenutosi proprio nella prima giornata di lavori
nella prestigiosa cornice di palazzo Keckler in Udine.
Il mio intervento, a braccio, è stato integrato con una proiezione in power point che ho curato personalmente.
Ritengo possa interessare a chi frequenta il mio sito dare un'occhiata alla documentazione cui mi sono ispirato e che
riporto di seguito, restando ovviamente a disposizione per approfondimenti al riguardo.
claudiofabbro@tin.it 3356156627
LE RADICI DEL VIGNETO FRIULI
relazione di
Claudio Fabbro
Non si tratta sicuramente di un problema solo friulano; vero è che ora, più che in passato, la voglia di conoscere più da
vicino le nostre radici è prorompente, sotto ogni bandiera e latitudine.
Ecco allora che l'enologo "classico", quando è chiamato a raccontare di sè, della propria azienda e del territorio in cui
opera, sempre dedica alla biblioteca quel tempo che prima passava in laboratorio.
Con Pinot grigio e Sauvignon si fa fatturato, ma con Ribolla e Pignolo il vignaiolo di casa nostra si riappropria di un
diritto prezioso: quello di dichiarare - carte alla mano - che da queste parti il vino si faceva molto prima che arrivasse
Napoleone, l'Impero Austro ungarico e "consulenti vari". Saltando a piè pari la leggenda, di vite e vino s'iniziò a parlare seriamente con la fondazione di Aquileia (181 a.C.) e, grazie ai romani-guerrieri contadini e vignaioli al contempo si
piantarono le prime vigne. Di quale varietà esse fossero resta un mistero.
Secondo Plinio il Vecchio (Historia naturalis,
I° secolo d.C.) "l'imperatrice Giulia Augusta mise in conto al vino PUCINO gli 86 anni, non bevendone altro. Nasce nel
golfo del mare Adriatico, non lungi dalla sorgente del Timavo, su un colle sassoso, dove alla brezza marina matura per poche
anfore, né si crede ve ne sia di migliore per i medicamenti".
L'identificazione di questo nobile vino e della sua zona
d'origine è ancora aperta. Lo si immedesima nel Terrano-Refosco (ma da altri nel "chiaretto Prosecco" o addirittura nel
"dorato Vipacco") soprattutto per quel "nigerrima" sottolineato da Plinio in altro passo dell'Historia.
E, d'altra parte, anche Discoride (o Dioscuride) Pedanio, medico della Cilicia e contemporaneo di Plinio nel suo "Sulla
storia medica", parlando della forza che caratterizza questo vino, chiamato dai greci Pictano e Paretipiano, ne esalta le
virtù curative.
Nel 1170 si registra una compravendita di terreni vitati (Rebula) in S.Floriano del Collio fra la Badessa d'Aquileia
IRMILINT e agricoltori locali; ancora di "Robiola" si legge in Atti del notaio Ermanno da Gemona ("Notariorum Joppi") in un
contratto del 1299.
Nel 1340 (documento in Barbana del Collio registrato in Gorizia il 13 novembre di quell'anno) accanto
alla Ribolla compaiono Malvasia, Terrano e Pignolo.
Ritroveremo questi "autoctoni" sempre e comunque, in cene, incontri, doni ed eventi negli anni a venire.
Fu nel 1632 che Aurora FORMENTINI (antenata degli attuali Conti di S.Floriano del Collio) portò in dote (patto dotale del
3 febbraio 1632, relativo alle nozze - poi celebrate il 20 febbraio di quell'anno - con il nobile ungherese Adam
BATTHYANY)..."...vitti di TOCCAI...300.
Patto custodito gelosamente da Michele e Filippo FORMENTINI al Castello di S.Floriano e toccato con mano da chi scrive ma - quel
che è più importante - letto con attenzione sia a livello d'avvocatura della Regione (leggasi avv. Enzo BEVILACQUA,
coraggioso paladino del bianco più amato dai friulani) che al T.A.R. del Lazio ed ora anche alla Corte di giustizia in
Bruxelles.
Nel 1755 a Venezia, per benedire le nozze dei nobili Contarini-Civran, si brindò con un liquoroso Picolit ("del Tokaji
germano.."), lo stesso vino che 10 anni dopo il conte Fabio ASQUINI di Fagagna, su stimolo epistolare dell'agronomo veneziano
Antonio ZANON, diffuse commercialmente nelle mense d'Europa (le famose 100.000 bottiglie da un quarto di litro...) spiazzando - si dice - lo stesso Tokaji ungherese!
Nel 1868 arrivarono, grazie al conte Theodore de LA TOUR (in dote, ti pareva...per le nozze con la nobile Elvine RITTER de
ZAHONI proprietaria di VILLA RUSSIZ in Capriva del Friuli) le prime viti di Pinot grigio, bianco, nero, Sauvignon ecc.
Fin qui tutto bene. Ma se ripensiamo a tutte le volte che il VIGNETO FRIULI ha dovuto "rinascere" ci viene la pelle d'oca.
Terra di conquista - o quantomeno d'invasioni - ricorrenti, dai barbari, ai turchi, ai longobardi, alle truppe napoleoniche e
veneziane ecc. il Friuli registra con minor sofferenza (limitatamente alla parte giuliana, ovvero goriziana e triestina..)
la sola appartenenza all'impero austroungarico (1866-1915).
Nell'anno 1888 la FILLOSSERA arrivò sul Carso e da qui iniziò a devastare l'intero territorio. Fu lotta ardua, che si
concluse - grazie agli sforzi di tanti bravi vivaisti e ricercatori - appena nel 1942.
I Vivai cooperativi di Rauscedo si costituirono nel 1936 e contribuirono a ridare benessere ai viticoltori friulani e di
mezzo mondo.
E la guerra 1915-18 dove la mettiamo. Dopo le tristemente note 12 battaglie dell'Isonzo, nella terra, c'erano più bombe
inesplose che lombrichi. Ma anche la seconda strappò alle aziende validi contadini e vignaioli per mandarli "alpini" chi in
Grecia ed Albania, chi in Russia chi nei lager.
Poi, ultimo e non ultimo, il terremoto del 6 maggio 1976; e chi più ne ha più ne metta.
L'enologo Orfeo SALVADOR, dall'alto delle sue 54 vendemmie ci ricorda che alla sua prima esperienza nella cooperazione
vinicola, appena tornato dalla guerra, si ritrovò in cantina a lavorare oltre l'80% di uve rosse, in gran parte da ibridi
produttori diretti.
Imperversavano i vini pugliesi, che soccorrevano un patrimonio viticolo locale tutto da ricostruire (il tayut o il tay erano
conseguenza dei tagli che osti più o meno seri operavano dietro le quinte).
Poi il primo rinascimento, a cavallo fra gli anni 60-70, ad opera di pionieri "con gli attributi" quali Vittorio PUIATTI,
Mario SCHIOPETTO, Livio e Marco FELLUGA, Gigi VALLE, Girolamo DORIGO, Piero PITTARO ed una ricostruzione cui non fu
estranea la volontà della Regione di rilanciare la qualità vitivinicola frenando l'esodo dalle campagne all'industria (la
legge 29 del 30.12.1967, fortemente voluta dall'allora Assessore all'agricoltura Antonio COMELLI fu strumento importante e
determinante).
Il conte Douglas ATTEMS capì prima d'altri che il decreto 930/63 sulle D.O.C. poteva dare una svolta al mondo del vino.
Nacque così il primo consorzio di tutela nel COLLIO (1964) e, di conseguenza, il primo disciplinare di produzione(1968).
Ci vorranno ben 40 anni per riunire i Consorzi in una casa comune: la FEDERDOC.
Nel 1976 il Premio NONINO-RISIT D'AUR ricordò al mondo intero che il Friuli era terra di grandi distillati ma ancora prima
di grandi vitigni autoctoni, che - finalmente legalizzati - rientrarono nelle vigne di fatto e di diritto.
Nello stesso anno l'enologo Beppe LIPARI, compendio di creatività siciliana e laboriosità veneta, pensò - prima d'altri - a
collocare una linea d'imbottigliamento su un camion ed iniziò un "porta a porta" destinato a cambiare radicalmente la vita
a decine di piccoli e medi produttori.
Nomi allora sconosciuti ai più ed ora, grazie ad una tecnologia ultra moderna, i veri protagonisti del rinascimento del
"post-terremoto".
E, d'un balzo, arriviamo ai tempi nostri.
Con il cuore rivolto alle suggestioni del passato (ed alle "chicche" di archivio e di biblioteca) ed il ragionamento rivolto
alle meno simpatiche leggi di mercato i viticoltori friulani, singoli o associati essi siano, affrontano le sfide del terzo
millennio e la sfida quotidiana del "mercato globale".
Quale futuro per il Vigneto Friuli?
Fra il fascino degli Autoctoni e la realtà economica degli Universali.
Nel quotidiano imbarazzo che spesso coglie il viticoltore di casa nostra di sorpresa, quando viene messo alle corde da una
clientela composita, pretenziosa, depositaria - a suo dire - di ricette vincenti sul da farsi nelle vigne del Collio,
dell'Isonzo e del Carso, non guasta dedicare un pensiero al monitoraggio del patrimonio viticolo di casa nostra per valutarne
l'evoluzione ed il trend per il breve-medio periodo.
Dagli autoctoni agli universali, dalla damigiana alla bottiglia, dalla frasca all'agriturismo, certamente l'evoluzione
dell'ultimo decennio è stata epocale. Se molte aziende hanno passato la mano per mancanza di ricambio generazionale o
perché letteralmente soffocate dall'appesantimento burocratico (e dalle sanzioni spropositate a fronte di errori di forma,
non di sostanza o malafede), altre, anche di piccole o medie dimensioni, si sono affacciate alla ribalta, anche nazionale
ed estera, contribuendo a far lievitare significativamente la qualità media proprio per un'emulazione fisiologica da parte
di aziende già affermate ma alla ricerca di nuovi stimoli. Un ruolo importante va attribuito ai Centri mobili
d'imbottigliamento che, operando "porta a porta", hanno risolto un problema fondamentale e cioè quello di un
imbottigliamento perfetto sotto il profilo tecnico e microbiologico.
Meglio puntare allora sulla quantità o sulla qualità?
Il cosiddetto '"ettaro lanciato" non ha più senso; dopo la crisi della produzione abbondante e scadente del 1992 i
viticoltori hanno capito che bisogna pensare ai massimi previsti dai disciplinari (da 100 a 130 quintali d'uva per ettaro
secondo le zone e le tipologie) quale riferimento straordinario da decurtare - nel caso di bottiglie da vini strutturati
e da invecchiamento - anche del 20-30%). Non a caso la mitica vendemmia del 1997 è stata povera di quintali e ricca di
soddisfazioni, peraltro perpetuatesi anche nel 1999, 2000 e sicuramente anche nel 2001, 2003 e 2006.
Tra i bianchi cosa scegliere? L'internazionale Pinot grigio, il tanto amato e "conteso" Tocai (friulano), o altro ancora?
Non c'è dubbio che da oltre 20 anni il Pinot grigio ha premiato chi lo produce e lo vende in bottiglia fuori regione e
all'estero. è l'uva che non ha mai risentito delle mode e delle crisi (cosa purtroppo capitata all'ottimo Pinot bianco).
Poco richiesto dai consumatori friulani e isontina in genere, il "grigio" è attualmente in "gran spolvero", soprattutto
dal 1997 in poi quando la qualità media si è elevata decisamente. Non trattandosi di un vino a base aromatica non dovrebbe
soffrire neanche in futuro delle vicissitudini e disaffezioni verificatesi, ad esempio, per Traminer, Muller Thurgau,
Moscato e Riesling e, se vogliamo, anche la stessa Malvasia istriana.
Malvasia che, ad onor del vero, dal 2003 a questa parte sta riprendendo quota. Giusto, è un vino superbo (anche se va
considerato un "autoctono ad honorem" ritrovandolo puntualmente fra Adriatico e Mediterraneo ma anche nelle isole atlantiche
di Canaria e Madera).
Il Tocai resta il vino più amato dai friulani (leggermente "abboccato") e dagli isontini (decisamente secco) ma è poco
capito "fuori porta". Non si esclude che la cassa di risonanza dei media, a seguito delle querelle friul-ungherese, possa
chiarire le idee a chi lo confonde erroneamente con il cugino pannonico. Gioverà sicuramente al Collio che - "patti dotali"
alla mano - ne vanta una primogenitura in quel di San Floriano a far data dal 1632. A dire il vero quando uno straniero si
accosta al Tocai lo apprezza con stupore e ne ribeve volentieri; come facciamo tutti noi. Appunto! A seguire c'è il
Sauvignon, nel qual caso giocano le varie selezioni clonali nostrane o francesi che privilegiano profumi o sapori o
retrogusti. Un bel vitigno e un vino, non c'è dubbio, con molte possibilità (non a caso è buon cugino genetico del Tocai!).
Lo Chardonnay è "l'universale" per eccellenza, a triplice attitudine (spumante, tranquillo d'acciaio e da barrique) e
buono per ogni latitudine o longitudine. Anche in Cile, tanto per fare un esempio, dove la manodopera non costa niente.
Troppa concorrenza, per farla breve, a livello mondiale, soprattutto da parte di Paesi senza regole che producono tanto e
spendono poco.
Quale sarà un possibile futuro per gli autoctoni?
Il fascino degli autoctoni storici di casa nostra, soprattutto di Collio, Carso e Colli Orientali, premia alcune aree
vocatissime quali, per la Ribolla gialla, le colline d'Oslavia; per il Verduzzo friulano i Colli Orientali in genere
(sublimandosi però solo a Ramandolo) ma, se vogliamo, tutti e tre (più il Pignolo) si esprimono superbamente a Rosazzo,
una delle oasi più invidiate da chi di vigne se ne intende. Se Oslavia è diventata - grazie a produttori "tosti" e spesso
controcorrente - un autentico Crù, non si intravvede un grande futuro per il Verduzzo nel Goriziano (il disciplinare Collio
addirittura non lo ammette alla coltivazione). Terrano, Vitovska e Glera confermano che il laboratorio enoico carsolino è
ancora tutto da scoprire.
Resta da vedere cosa sapranno fare i produttori di Schioppettino in Prepotto per valorizzarlo quanto merita uniformandone
la tipologia al netto da amabilizzazioni e vincendo alcuni distinguo fra località e frazioni varie, che disperdono energie.
è un gran bel rosso cui una "garantita" porterebbe sublimazione (ma anche una sottozona - crù - comunale in ambito DOC non è
da sottovalutare).
E il pregiatissimo Picolit?
Non è obbligatorio coltivarlo dappertutto; giusto, pertanto, puntare alla Docg nei soli Colli Orientali (quasi una
cinquantina di ettari sono iscritti all'albo camerale della Doc).
Nel Collio il pugno di ettari esistente resterà tale e nell'Isontino è ormai una curiosità storica.
Con adeguata vendemmia tardiva, schiacciamento del peduncolo e appassimento sulla vite o, meglio ancora, "ventilato" in
cassette a seguire, qualcosa di buono potrebbe venirne fuori. Ma allora, perché non ripensare alla Malvasia che ha buoni
numeri per reggere tale pratica? A onor del vero il Picolit nel Collio e nell'Isonzo, più che in purezza, sembra aver
trovato dignità quale partner di altre uve meno strutturate, concorrendo a creare uvaggi bianchi importanti. Staremo a
vedere.
Vini giovani e novelli.
Qualche Tocai beverino, ma anche qualche Cabernet franc imbottigliato (o colto dalla vasca entro la primavera che segue la
vendemmia) potrebbero far la gioia dei palati giovani anagraficamente o di qualche frequentatore abituale della frasca.
Nulla a che vedere con i novelli rossi novembrini da "macerazione carbonica" ricchi di brio, ma destinati a una nicchia
d'estimatori (più italiani che locali) cui non dà fastidio il sentore di lacca, acetone, smalto d'unghie. Il futuro della
qualità, dunque, non sta né nei vini troppo giovani "da frasca" (tradizionale forma di "vendita fai da te" isontina, tenuta
in vita soprattutto dal part-time e dalla cantieristica). La frasca viene infatti progressivamente sostituita da agriturismi che possono offrire qualche posto letto in più (cronicamente mancante). La stessa Osmizza ( Osmica ) cartolina è realtà di tutto rispetto a livello socio-economico.
Niente di personale contro i novelli, ispirati alla scuola francese del Beaujolaise, con una stagione commerciale troppo
breve per capirne le presunte bontà.
Pur con tutto il rispetto per le frasche non si può negare che il crescente successo della zona Doc Isonzo deve attribuirsi
prioritariamente agli imbottigliatori del triangolo Mariano - Farra - San Lorenzo, un tempo regno della frasca medesima. Ma
dal 1997 anche la Bassa Isontina (Rive di giara) sta crescendo bene. Per non parlare del Cormonese tutto (Rive alte).
Con i rossi invece come la mettiamo?
I viticoltori friulani e isontini intelligentemente hanno evitato estirpazioni selvagge - o innesti a dimora - di vitigni
rossi dal 1993 ad oggi, per rincorrere la moda ed il mercato che ha picchiato forte a favore dei benefici del resveratrolo
e dei polifenoli - contenuti nella buccia delle uve rosse - per la salute umana. A costo di ingenti investimenti, a esempio
in Toscana, la base bianca friulana (nonché quella del Collio e dell'Isonzo) è rimasta intatta. La nuova tendenza è servita
a ridare dignità al Merlot, il più grande rosso " friulano ad honorem " e, al contempo, dal 1950 ad oggi il più maltrattato
(produzioni eccessive, spumantizzato, svilito a rosato spesso amabile, contrariamente alla sua "natura". Peccato che il
Cabernet Franc paghi la sua caratteristica "erbacea" a noi tanto cara ma non apprezzata fuori dal Triveneto, dove tutti
chiedono Cabernet Sauvignon (pure universalissimo, come lo Chardonnay, ma spesso con le armi agronomicamente spuntate in
alcune nostre zone, in cui il Mal dell'esca imperversa...). Lasciamo il Terrano ai bravi produttori del Carso triestino, così
come la bianca Vitovska, evitando antipatiche scopiazzature! Lasciamo lo Schioppettino ai Colli Orientali e soprattutto a
Prepotto, dove crù prestigiosi hanno una marcia in più. Ripensiamo seriamente al Refosco dal peduncolo rosso, sicuramente
un autoctono da incentivare (grande in annate "mediterranee", un po' meno in quelle fredde e iperproduttive, non disdegna
un benefico moderato appassimento in pianta, secondo natura ). Pensiamo anche - se si deve - al Franconia o Blaufrankisch,
che da Corona a Cormòns, a Farra, ha dato buone soddisfazioni.
Del Pignolo si sa tutto a Rosazzo e Buttrio, molto a Cividale, poco nell'Isontino. è un autoctono rosso importante e
accattivante, da invecchiamento. Spunta prezzi da Picolit poiché viaggia in regime di semi - monopolio. Prenderà piede e
forse potranno degustarlo - senza dover accendere un mutuo - anche i comuni mortali.
Friuli e Toscana, accoppiata vincente?
I non addetti ai lavori rumoreggiano oltre misura apprendendo dalla stampa di fusioni, acquisizioni, cessioni e dintorni di
aziende importanti friulane e goriziane a grandi Gruppi toscani e veneti. Si ostinano a leggere "svendita" per gusto di
gratuito pettegolezzo, trattandosi di intelligenti operazioni di marketing che giovano agli uni e agli altri. Come si
ricorderà, negli anni passati l'esigenza di disporre di un'aliquota di vini rossi d'alta qualità senza per questo
reinnestare o spiantare viti a bacca bianca portò varie nostre aziende a investire nel Chianti o più in generale, in
Toscana. Anche l'Umbria sembra interessare i nostri imprenditori più forti sul mercato estero. Come non si scandalizzarono
i toscani a ritrovarsi i friulani in casa (ciò fu per gli uni e per gli altri uno stimolo a migliorare e non è escluso
che qualche buon enologo nostrano abbia insegnato in quelle terre che per ingentilire un ruvido Sangiovese o Brunello
spesso ci vuole un po' di Merlot...) lo stesso dovrebbe valere per noi. Le realtà imprenditoriali sbarcate in Friuli e
nell'Isontino sono storiche, forti, di grande immagine internazionale. Lo sbarco nella terra dei grandi bianchi potrebbe
significare che i mercati a medio termine tendano a riprendere nuovo interesse per tali vini. Numeri e idee commerciali
potrebbero contribuire non poco al lancio definitivo del "Bianco Collio", dopo la mossa data qualche anno fa - metà
favorevoli, metà contrari - da grandi guru della comunicazione che con lanci che continuano a far comunque parlare di
vino anche gli astemi conclamati.
In definitiva era questo l'obiettivo.
Il passo futuro dovrebbe essere quello di un grande uvaggio bianco (ad esempio Tocai, Ribolla, Pinot grigio ed altre
due varietà non a base aromatica) chiamato semplicemente Collio (un po' come si è fatto in Franciacorta, dove non serve
parlare di "spumante metodo classico" in quanto implicito nel nome magico). Il sogno nel cassetto (vino = territorio)
sarà mai realizzato?
Da soli o in compagnia?
Friulani e isontini sono notoriamente diversi dagli omologhi produttori dell'Emilia Romagna, del Veneto e del Trentino Alto
Adige, (ma, se vogliamo, anche del Pordenonese) in cui la cooperazione è fortissima e sentita da generazioni. Per far
capire all'interno quello che già la clientela nazionale e mitteleuropea aveva da tempo apprezzato, la Cantina Produttori di
Cormòns - ad esempio - ha dovuto lavorare duramente per oltre 25 anni e continua a farlo senza abbassare la guardia sul
fatto della qualità e dell'immagine. è questione di mentalità, che non si inventa dall'oggi al domani, ma che, con i
risultati, si consolida positivamente e ne è prova la crescente adesione alla Cooperativa.
Diverso è il discorso dei Consorzi Doc che, pur muovendosi a diverse velocità, dal 1964 rappresentano una buona fetta della
produzione regionale. Poiché sono volontari quanti vi aderiscono, implicitamente ne riconoscono il ruolo, apprezzandone
probabilmente più i servizi offerti (campagna, laboratorio, promozione, consulenza amministrativa) che quelli che discendono
dall'incarico di vigilanza, tanto importante istituzionalmente quanto "virtuale", a livello applicativo, in tutte le DOC
italiane. Per non parlare dei "controlli di filiera" che non mancano di contribuire a supplementi d'agitazione.
Cinque anni fa venne istituita Federdoc Friuli V.G., Federazione dei Consorzi di Tutela e pertanto organismo che
avrebbe dovuto rappresentare finalmente univocamente i problemi dell'Altopiano, delle colline e delle pianure vocate.
Il "tormentone del Tocai - Friulano " ha contribuito non poco a distogliere la Federazione da tanti altri importanti
compiti istituzionali, promozione innanzitutto, e la recente defezione del Consorzio Collio riconferma l' ancestrale
sofferenza a delegare ad altre realtà programmi, idee, rappresentatività.
E allora, quale sarà il Vigneto Friuli del 2008 e seguenti?
Con i consumi stabilmente portati intorno ai 40-50 litri pro/capite l'anno e con la patente di guida da difendere dopo ogni
cena non c'è dubbio che anche negli anni a venire (e seguenti) si berrà sempre meglio - e meno - ma con giudizio.
Si spenderà qualche lira di più, ma non ci sarà da pentirsene. La vigna non è un orto, in cui ogni anno si possono cambiare
le regole del gioco. Quando si sceglie una varietà, una forma d'allevamento, ciò deve valere per 20-30 anni (viti vecchie
= grandi vini, parola d'agronomo!).
I vignaioli non possono più rincorrere le manie e i capricci dei propri clienti, che troppo spesso si improvvisano consulenti
ed enologi. Una certa debolezza in tal senso ha portato le cantine di piccole-medie dimensioni a dover gestire anche 10-15
vini, impazzendo a ogni travaso. Sta maturando oggi l'idea che con tre bianchi e due rossi, insieme a uvaggi seri e
rappresentativi del territorio d'origine si può lavorare bene e meglio.
Autoctoni ed "acclimatati" (soprattutto i già citati Pinot grigio e Sauvignon) potranno convivere senza farsi le scarpe a
vicenda?
I primi garantiranno la memoria storica, la suggestione, l'aneddoto, l'aggancio alle proprie radici, tutti argomenti molto
cari a un consumatore colto e portato ad apprezzare il vino non quale bevanda, bensì quale mezzo di meditazione. I secondi
accontenteranno il palato ma anche, e ciò non guasta, il benessere socio-economico del viticoltore.
Per approfondire la ricerca sugli autoctoni nonchè su altri vitigni "acclimatati"
o allogeni "minori" si rinvia alla seguente bibliografia
(1) AA.VV., Dalle Colline Spilimberghesi nuove Viti e nuovi Vini - Provincia di Pordenone 1987
(2) AA.VV., La Terra dell'Oro - Centro Regionale Vitivinicolo, Udine (s.d)
(3) AA.VV., Un Vigneto chiamato Friuli - Numeri vari 1987/1992 - Ed. Centro Regionale Vitivinicolo, Udine
(4) Calò A. - Costacurta A., Delle Viti in Friuli - Arti Grafiche Friulane, Udine 1991
(5) Fabbro C., Alle Radici del "Vigneto Friuli" - Associazione Nazionale Città del Vino - Collana "I Quaderni del Vino" - Siena 1998
(6) Fabbro C., Viti e Vini del Friuli - Ducato dei Vini Friulani - Arti Grafiche Campestrini, Gorizia 1977
(7) Filiputti W., Il Friuli Venezia Giulia ed i suoi Grandi Vini - Storia di Uomini e Vigneti. - Arti Grafiche Friulane - Feletto Umberto, Udine 1997
(8) Fruhauf T. (a cura di), Relazione intorno al IV Congresso Enologico Austriaco tenutosi in Gorizia dal 16 al 20 settembre
1891, pubblicata dal Comitato Centrale del IV Congresso Austriaco" - Tipografia Paternolli, Gorizia 1892
(9) Pittaro P., Plozner L., L'Uva e il Vino - Magnus Edizioni - Udine 1982
(10) Poggi G., Atlante Ampelografico - Consorzio Provinciale tra i Produttori dell'Agricoltura - Sezione Viticoltura Udine - Arti Grafiche Pordenone 1939
(11) Fabbro C., Enovagando - Friuli Venezia Giulia: Economia, Turismo e cultura (AA.VV., Edizioni Digi Press e Digiweb)
Gorizia, 2000, 2004, 2007
(12) Fabbro C., Il VignetoFriuli, dall'arrivo dei Romani alla partenza del Tocai - Ed. Ducato Vini Friulani, Udine 2005
(13) AA.VV., La Vite e l'Uomo dal rompicapo delle origini al salvataggio delle reliquie - ed. ERSA Friuli V.G., Gorizia 2004
(14) Zanfi A., Friuli terre uomini e vino - Carlo Cambi Editore, Poggibonsi (Siena) 2004
(15) Pillon M., Impariamo a bere bene - Azienda A.S.T. Gradisca - Redipuglia - Enoteca Regionale Permanente La Serenissima,
Gradisca d'Is. 1984
(16) Fabbro C., Viti e Vini della Contea - Spunti per una storia della viticoltura nell'Ottocento isontino - (AA.VV. Comune
di Romans d'Is.), 1986
(17) Del Zan F., (a cura di) Dei Refoschi - Atti del Convegno organizzato dall'ERSA Agenzia regionale per lo sviluppo rurale,
Villa Manin Passariano, 19 giugno 2004
(18) AA.VV., Vino e territorio - Friuli Venezia Giulia 2000 - Movimento Turismo del Vino, 2000
(19) AA.VV., Il Ramandolo sui Colli Orientali del Friuli - Edizioni Archivio Tommasoli, Verona 2001
(20) Bergamini G., La vite e il vino nell'arte del Friuli - Giovanni Aviani Editore, Udine 1983
(21) Michelutti M., La vite e il vino nella letteratura del Friuli - Giovanni Aviani Editore, Udine 1983
(22) Cosma S., Dotato d'eccellentissimi vini, è il contado di Goritia... - Viticoltura nel Goriziano - Edizioni della Laguna -
Edizioni del Ventennale Ducato dei Vini Friulani 1972 - 1992, Mariano del F. 1992
(23) AA.VV., Il Vino, periodico trimestrale, numeri vari
(24) Marzotto N., Ampelografia del Friuli - Tip. Domenico del Bianco e Figlio, Udine 1923
(25) AA.VV., Fuocolento, ed. GMB, Pavia di Udine, numeri vari
(26) Robinson J., Guida ai vitigni del mondo - Slow Food Editore, Bra 1998
(27) Il Piacere del Vino - Manuale per imparare a bere meglio, Slow Food Editore, Bra 1993
(28) Guida ai Vini del Friuli Venezia Giulia - Camere di Commercio FVG, 2005
UNIONE ITALIANA VINI GLI SPECIALISTI DELLA VITE E DEL VINO 2007
TESTATA/E
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Free lance
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COGNOME
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FABBRO
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NOME
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Claudio
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INDIRIZZO
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Via Forte del Bosco, 2
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CAP
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34170
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CITTÀ
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GORIZIA
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PROVINCIA
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GO
|
TELEFONO
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0481-548402 e cell. 335 6186627
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FAX
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0481-548402
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E-MAIL
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claudiofabbro@tin.it
|
1947: nato a Sagrado d'Isonzo (GO) il 16 luglio:
1972: laureato in Scienze Agrarie Università di Bologna il 16 febbraio; consegue presso la stessa l'abilitazione
alla professione di agronomo il 16 marzo.
1972: iscrizione all' Ordine dottori agronomi e forestali Province di Gorizia e Trieste.
1972-74: Insegnante all' l'Istituto Tecnico Agrario Statale "Paolino d'Aquileia" - Cividale del Friuli.
1974-78: direttore Consorzi tutela vini DOC COLLIO e DOC ISONZO (Gorizia)
1979: iscrizione all' O.N.A.V
1979-1992: consigliere agronomo Direzione regionale agricoltura(Udine)
1990-1999: Consigliere Assoenologi del Friuli Venezia Giulia, di cui è attualmente addetto p.r. e ai rapporti mezzi
informazione.
1991: iscrizione Ordine regionale dei giornalisti Friuli V.G.
1992-1998: ispettore Osservatorio fitopatologico di Gorizia.
1998: riconoscimento, da parte del Ministero per le Politiche Agricole del titolo d'enologo.
1998-2003: direttore Osservatorio di Gorizia
2004: commissario straordinario ERSA (Agenzia regionale sviluppo rurale) Friuli Venezia Giulia.
2005: premio nazionale "CANGRANDE 2005" ("benemerito vitivinicoltura del Friuli V.G. ", Verona 7.4). e
nomina Accademico - ACCADEMIA ITALIANA della VITE e del VINO (Verona, 9.4)
2006: nomina Accademico - ACCADEMIA dei GEORGOFILI (253° Anno Accademico, Firenze, 27.4); nomina presidente
COMITATO VINUM LOCI. Premio "CARATI D'AUTORE 2006 - Giornalista agricolo dell'anno" - Associazione Donne del
Vino Friuli V.G.
inoltre, dal 2005 (2 gennaio) è impegnato prioritariamente, quale consulente agronomo ed enologo
(Commissioni di degustazione VQPRD Camere di Commercio etc. etc.) e giornalista free lance (autore di vari libri,
pubblicazioni, servizi giornalistici stampa regionale e nazionale, settore della comunicazione e del giornalismo
agricolo).
Collabora con:
IL CORRIERE VINICOLO(MI), FOCUSWINE on-line(MI), VIGNEVINI(BO), FUOCOLENTO(UD), IL MESSAGGERO VENETO (UD), VQ - VITE,
VINO&QUALITÀ (MI), VITA NEI CAMPI - RAI Udine, SAPORI d'ITALIA (TV), CIVILTà DEL BERE (MI), L'
ENOLOGO (MI),
COLLIO NEWS (Cormòns); "VITA NEI CAMPI" Programma radiofonico per gli agricoltori (Redazione Udine - RAI REGIONE
FRIULI.V.G.)
Segue:
Libri e pubblicazioni
VITI E VINI DEL FRIULI (ed. Ducato Vini friulani, Gorizia 1977);
ALLE RADICI DEL VIGNETO FRIULI (Ed. Associazione Città del vino, Siena 1998);
ENOVAGANDO (Ed. DiGi Press, Gorizia 2000 Coautori: Franco I., Filiputti W., Bonetti M.);
VINI DOC E IGT NELLE PROVINCE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA: Anni 1998 e 1999 (Ufficio Studi e Statistica della Camera di
commercio di Gorizia 2000 Coautori: Bassi M.C. e Nadaia L.)
IL RAMANDOLO SUI COLLI ORIENTALI DEL FRIULI (Consorzio Tutela Ramandolo & Edizioni Archivio Tommasoli - Verona 2001 -
Coautori: Longo G., Pittaro P., Salvador O., Ursini F. - immagini Tommasoli A. e S.)
DUCATO DEI VINI FRIULANI, Trent'anni di storia (Ducato dei Vini Friulani - Udine 2002 - Coautori: Fortuna P., Burelli O.,
Bertossi S., Molinari Pradelli A., Peloi B.)
SPOSARE L'ACQUA AL SOLE, la bonifica per lo sviluppo economico e sociale del territorio (Atti dell' VIII Congresso
Associazione Culturale Bisiaca, Sagrado, 19-20 ottobre 2002; Coautori: Duca R.,Cosma R., Sganghero E.,Santeusanio I.)
FIUMICELLO E LE PESCHE, aspetti nutrizionali, storia e tossicologia dei fitosanitari (Atti Comune di Fiumicello e Istituto
Farmacologia e Tossicologia Clinica Università degli Studi,di Udine, 28 ottobre 2003; coautori: Furlanut M.,Lucas C.,
Baraldo M.)
ENOVAGANDO (ed. DiGi Web, Gorizia 2004 - 2ˆ edizione)
IL VIGNETO FRIULI, DALL'ARRIVO DEI ROMANI ALLA "PARTENZA" DEL TOCAI (Ed. Ducato dei Vini Friulani, Udine,
giugno 2005)
ENOVAGANDO (ed. DiGi Web, Gorizia 2007 - 3ˆ edizione)
Ed inoltre ha collaborato a:
I GRANDI VINI DEL VENETO E FRIULI VENEZIA GIULIA (Ed.Idealibri, Venezia 2000: collaborazione con l'Autore, Filiputti W.
per servizi fotografici, impostazione testi e schede varie Aziende Friuli V.G.)
IL VINO ROMANO TRA SACRO E PROFANO (Prefazione,introduzione, presentazione Atti CONVEGNO INTERNAZIONALE 22.12.2003 in
BOLLETTINO del GRUPPO ARCHEOLOGICO AQUILEIESE - Anno XIII-Numero 12-Dicembre 2003)
FAMIGLIA BLANCH-CENTO ANNI di TRATTORIA 1904-2004
(Prefazione, introduzione, presentazione pubblicazione a cura di Paolo IANCIS e Valentina VIDOZ, Mossa, 23.11.2004)
FRIULI. TERRE,UOMINI,VINO (Prefazione,introduzione, presentazione e collaborazione con l'Autore Andrea ZANFI e CARLO
CAMBI EDITORE - Poggibonsi - Siena - dicembre 2004)
PROSIT - EXCURSUS STORICO ARCHEOLOGICO SU PRODUZIONE E USO DEL VINO IN AQUILEIA E IN FRIULI VENEZIA GIULIA TRA ANTICHITA'
E MEDIOVO (Presentazione pubblicazione a cura di Silvia Blason Scarel - Gruppo Archeologico Aquileiese - Aquileia 2005)
GUIDA AI VINI DEL FRIULI VENEZIA GIULIA - Camere di Commercio GO-PN-UD-TS, edizioni 2002,2003,2004,2005,2006,2007,2008
EDAMUS, BIBAMUS, GAUDEAMUS - Progetto VALO-PY cofinaziato dall' Unione europea nell' ambito del Programma INTERREG III A - Slovenia
2000-2006 - Edito da Provincia di Gorizia e Camera per l' Agricoltura e le Foreste della Slovenia - Istituto
per l'agricoltura e le foreste Nova Gorica - 2007
Cura personalmente i servizi fotografici (diapositiva, colori, b/n e digitale; archivio attivato nel 1970) e la
presentazione, avvalendosi di mezzi informatici.
mail:claudiofabbro@tin.it
telefono, segreteria telefonica e fax: 0481-548402
sito web personale: www.claudiofabbro.it
Tocai, la storia infinita
Tocai, Tokay, Toccai...Tocai friulano...
Certamente è il "vitigno bandiera" fra le varietà coltivate in Friuli Venezia Giulia.
Va tuttavia riconosciuto che solo in tempi recenti si è seriamente pensato ad un Tocai friulano di elevata qualità e ciò
indipendentemente dal nome passato, presente o futuro.
Oggi è un riconosciuto grande bianco "da bottiglia", da rispiegare al consumatore nostrano ma soprattutto a quello "foresto"
cui non sfuggono le peculiarità del Tokaji ungherese e molto spesso rappresenta fastidio per proliferazione d'assonanze, di
cui diffida.
D'altra parte la stessa Malvasia istriana prodotta in Friuli in tipologia bianco-secca tutta "sale e pepe", eccellente vino
da pesce, è soffocata dalle miriadi di Malvasie passite d'Adriatico, Mediterraneo ed anche Atlantico (vedi Canarie e Madera)!
Confronto tra la coltivazione di Tocai friulano e Pinot grigio nelle varie doc
ZONA D.O.C
|
VARIETÀ E SUPERFICIE
|
|
Tocai Friulano (in ettari) |
Pinot Grigio (in ettari) |
Aquileia |
56 |
110 |
Annia |
4 |
2 |
Carso |
= |
1 |
Cof |
307 |
226 |
Collio |
206 |
360 |
Isonzo |
173 |
217 |
Latisana |
21 |
39 |
Grave Ud |
114 |
366 |
Grave Pn |
272 |
1055 |
Lison Pramaggiore |
13 |
9 |
TOTALI |
986 |
2385 |
Vigoroso, produttivo, ampelograficamente affine al Sauvignon, di facile adattabilità in tutti gli habitat, dà vino sempre
di merito che si stacca nettamente dalla normalità.
Il "Tocai friulano", sia per vitigno che per vino, è diversissimo da quello ungherese. Basti solo ricordare che il nostro
è un vino secco, con spiccato sapore di mandorla. Quello ungherese è liquoroso, di colore ambra, con oltre 15 gradi di alcool
e ricco di zuccheri.
Ogni polemica riguardo l'uso del nome pareva superata dalla nota sentenza della Corte di Cassazione del 30 aprile 1962
(causa vinta dai Baroni Economo d'Aquileia contro la Ditta Monimpex di Budapest).
Per diversi motivi l'Unione europea ha ritenuto di cedere (a partire dal 1 aprile 2007) il Tocai friulano all'Ungheria con
l'Accordo del 23 novembre 1993.
Il Tocai secondo Antonio Calò
In un documento intitolato "La Comunità europea non uccida il Tocai friulano" Antonio Calò, Direttore dell'Istituto
sperimentale per la viticoltura di Conegliano Veneto, scrive:
"Nell'Annuario della Stazione sperimentale di Viticoltura e di Enologia di Conegliano del 1936 il professor Italo Cosmo,
argomentando sull'origine e sul nome del Tocai friulano, affermava: "Rimane da chiarire ancora da dove il Tocai sia giunto
nel Veneto, ov'è diffuso specialmente nel distretto di Portogruaro (prov. di Venezia) con epicentro a Lison e in provincia
di Udine, soprattutto nella zona collinare orientale...".
è indubbio allora che queste zone vanno considerate le prime ad avere dato evidenza a un prodotto nato da un vitigno le cui
origini sembravano misteriose... Ecco perchè è interessante raccontarne la storia, che ha appassionato e impegnato studiosi
e tecnici e che oggi ha anche implicazioni normative e commerciali.
Una prima, sicura citazione ampelografica relativa a vitigni denominati Tokai e coltivati nel nostro Paese, si trova nel
volumetto Delle viti italiane pubblicato dall'Acerbi nel 1825.
Nel capitolo dedicato all'elenco di "viti diverse di Francia,
Spagna, Portogallo, Svizzera e Germania" con il n°13 è citato un Tokai e con il n°459 delle "viti straniere" un Raisin
da Hongrie Tokai gris.
Odart nel Traité de cepages del 1849 citava un Grauer Tokayer diffuso nel Reno e "molto simile" al Pinot grigio. Goethe
nell'Ampelographiches Worterbuch del 1876 descriveva un Tokajer Weisser. Di Rovasenda, finalmente, nel Saggio di una
ampelografia universale del 1877 elencava tutte le varietà che, sotto il nome Tokai, erano diffuse in diversi Paesi e fra
queste: Malvasia, Aleatico, Brachetto, Pinot grigio, Moradella... e poi, soprattutto, il Furmint, la varietà base della
produzione dei vini ungheresi della zona di Tokay.
Va anche ricordato però che almeno un vitigno fra quelli denominati Tokai andava prendendo una autonoma collocazione. Lo
fanno pensare le due seguenti notizie. La prima: nell'Ampelografia provinciale trevigiana del 1869 è riportata fra le
migliori uve bianche, come "varietà preferibile per vino da lusso" al n°26 un'uva Tokai bianca. La seconda: nell'
Ampelografia di De Maria e Aleardi del 1875 si trova citato un Tokai che derivava da un tralcio spedito dal Marchese Incisa
di Rocchetta Tanaro e che veniva definito "diverso dal Tokai Furminto Princesse e dal Tokai Pinot gris".
E così si può
pensare che esistesse almeno un altro vitigno denominato sempre Tokai e diffuso negli anni 1870 in provincia di Alessandria
e nel Veneto, che dava ottimi vini e non pareva riconducibile ad altri.
Ma quale l'origine di questo vitigno? Ungherese? Italiana? Qui si intrecciano un pò di storia, di fantasia e di leggenda.
Iniziavano così i rompicapo e le ricerche di studiosi che a ciò si impegneranno come Sannino, Dalmasso e Cosmo. La leggenda
trovava alimento in quanto ricordava G. Perusini, nel numero 25 del 1935 delll'Agricoltura Friulana, di Bela IV, il quale
nel 1200 avrebbe piantato delle viti del Friuli in zona di Tokay; in seguito questo vitigno sarebbe ritornato in Friuli con
il nome appunto di Tokai.
Le documentazioni si riferiscono, invece e naturalmente, a eventi più recenti e sicuri, a iniziare dalle più accreditate
Ampelografie e Trattati di Viticoltura: Molon (1906), Viala e Vermorel (1909), Marzotto (1925) (leggasi 1923, n.d.r.),
Cavazza (1934)... In particolare, nella Rivista di Viticoltura di Conegliano del 1901 a pagina 429, nella rubrica "Risposte
a quesiti", si trova la seguente risposta di Sannino a certo Cavalier P.F. di Zoppè di Conegliano: "L'uva bianca di cui mi
ha favorito i grappoli e le foglie è abbastanza estesamente coltivata nelle province di Venezia e di Treviso col nome di
Tokai. Indubbiamente è varietà ungherese, importata nel Veneto circa cinquanta anni orsono. Inizierò delle ricerche per
conoscere il nome originale della varietà, che mi pare risponda bene per l'abbondanza del prodotto e anche per la sua buona
qualità".
La questione pareva abbandonata, ma nella Rivista di Ampelografia del giugno 1920, ricompare un articolo dello stesso Sannino
intitolato "I Tokai coltivati in Italia" che offre nuovi, avvincenti spunti, perchè lo studioso ribadisce come la zona fra
Piave e Tagliamento fosse quella dove questo Tokai si andava diffondendo, aggiungendo, con belle pennellate..." un
sopralluogo fatto nel settembre mi cagionò la più grande sorpresa: i campi coltivati con viti a raggi confinavano con i
canali navigabili che congiungono la zona di Portogruaro con la laguna veneta e le viti che si coltivano erano le stesse
che nel distretto di Conegliano erano denominate Tokay.
Dalmasso accertò questa somiglianza, ma assolutamente non una coincidenza talché nel 1933, dopo anni di impegno di molti
studiosi, finalmente scrisse in un articolo comparso sul Corriere Vinicolo: "...Diverso il caso del Tocai. Scrivo Tocai
e non Tokai condividendo in pieno quanto hanno deciso da alcuni anni gli amici del Friuli, i quali sanno benissimo che non
esiste al mondo un vitigno che si chiama Tokai (come non esiste vitigno "Marsala"). Ma poiché da tempo nel Friuli si coltiva
un ottimo vitigno bianco sotto questo nome (vitigno che ha qualche vaga somiglianza con Sauvignon, ma che se ne differenzia
perfettamente), han pensato di adottare la grafia italiana, per attenuare, se non evitare del tutto, la confusione di esso
con i vitigni ungheresi che danno il vino Tokay e che sono del tutto diversi dal suddetto vitigno friulano. Per evitare
ancora meglio equivoci con altri pseudo Tokai coltivati in Italia, io, preferirei che si chiamasse Tocai friulano per quanto
esso si coltivi anche nelle province limitrofe...".
Era quindi il momento in cui si prendeva coscienza dell'originalità del vitigno, di qualche sua somiglianza ampelografica e
della sua importanza. A questo punto la questione ampelografica appariva risolta: il Tocai veniva considerato un vitigno
autonomo, non confondibile con altri. Lo ribadì Cosmo nel 1936 e poi Montanari e Ceccarelli nel 1950, fino alla monografia
ampelografica di Cosmo, Polsinelli e Hugues del 1952.
La storia del vitigno però ha un altro epilogo, perchè verso la metà degli anni Settanta. L'Istituto Sperimentale per la
Viticoltura in Conegliano, attraverso analisi biochimiche sui sistemi isoenzimatici e analisi molecolari sul Dna stabilì che
il Tocai friulano è il Sauvignonasse.
L'averne quindi conservata la coltivazione nel Friuli e Veneto e averlo valorizzato è un merito aggiuntivo che oggi va
rimarcato in relazione al pericolo di vederne scomparire il nome nella designazione del vino ".
Fabbro e Colutta |
ROTARY INTERNATIONAL,fabbro,UD, 21.09.07. |
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