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AZIENDE STORICHE: VILLA RUSSIZ, LA FRANCIA NEL COLLIO Echi di una Convention nazionale a Capriva del Friuli
di Claudio Fabbro
Riflettendo a bocce ferme sulle ripercussioni che il mondo della vite e del vino di questi luoghi ha subito a seguito
delle tante invasioni, guerre, riconfinamenti e terremoti vari viene da pensare, senza scivolare nella retorica, che non
esista nel nostro paese altra regione in cui coesista in significativa armonia tutta una serie di vitigni dalle più
disparate provenienze che hanno forse offuscato ma non per questo annullato l'importanza di quelli indigeni.
Di questo ed altro si è parlato approfonditamente venerdi 22 febbraio scorso all' azienda Villa Russiz di Capriva nell'
ambito di una convention con nomi che contano nel campo della distribuzione e del marketing di tutt' Italia.
Una fotografia del Friuli Venezia Giulia enoico prima (affidata a chi scrive), un approfondimento degli aspetti
storici e tecnici del Collio e locali dopo (curato dal presidente della tenuta e dell' annesso Istituto Cerruti,
Silvano Stefanutti e dal direttore Gianni Menotti) oltre ad un vivace dibattito, hanno fornito un quadro suggestivo
alquanto sull' argomento in questione, meno noto ai più.
Prendendo in esame, ad esempio, il periodo che va dal 1866 al primo conflitto mondiale, con il confine del cosiddetto
" Friuli austriaco" portato sino al torrente Judrio di Cormòns, si è verificata un'intrusione di varietà continentali
(Riesling italico e renano, Franconia - Blaufrankisch, Sylvaner, con Traminer, Muller Thurgau e Moscati vari a seguire ..)
anche perchè la Scuola enologica di riferimento, allora, era quella di Klosterneuburg bei Wien.
Questa strategia di rinnovamento portò necessariamente a ridimensionare il patrimonio autoctono che, nel " Collio
storico" (quello cioè che si sta ricomponendo da dicembre scorso in regime di post - Schengen n.d.r.) era costituito per
metà da Ribolla gialla, (alias Rebula) con Tocai e Malvasia a seguire, nonchè tutta una serie di varietà minori di cui
c'è oggi memoria nella sola parte slovena.
Mi riferisco a Zelen, Pinela, Pergolin, Klarnica, Poljsakica ed altre d'ancor più ardua pronuncia.
A mettere il piede nella porta altrui, avviando quel processo che, col senno di poi, ha caratterizzato la presenza di una
viticoltura transalpina decisamente premiante in fatto di qualità, ambientamento e gradimento, fu il destino e l'amore.
Fu così che il conte Teodoro de La Tour, folgorato sulla via di Capriva, impalmò la nobile Elvine Ritter de Zahoni,
proprietaria della tenuta di Villa Russiz.
Era il 15 febbraio 1868.
Patti dotali alla mano, come usava in regime d'alta aristocrazia, ecco per incanto fiorire dopo qualche anno i vari Pinot
(nero, grigio, bianco), Sauvignon, Merlot e Cabernet vari. Di questi fu proprio il Merlot, dopo il 1880 , per merito
del Pecile e di Brazzà, a farsi strada anche nella pianura friulana (ergo nel " Friuli italiano", udinese e pordenonese),
quasi a dimostrare che il confine dello Judrio era gestito più con la testa che con il fucile.
Se mezzo mondo oggi si entusiasma più per il Pinot grigio di casa nostra che per quello prodotto in Francia ribattezzare
questo vino ed i suoi cugini "autoctoni ad honorem" non è bestemmia, poichè il terroir, mix di terreno, microclima
e mano dell' uomo, sta dimostrando che qui e solo qui si ottengono tali eccellenze organolettiche in una continuità
qualitativa che dopo un secolo e mezzo si certifica da se.
22.2.08
Nella foto (archivio Claudio Fabbro):
intervento del presidente di Villa Russiz, Silvano Stefanutti fra il direttore Gianni Menotti (a destra) e Claudio Fabbro. |
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