vigneto Friuli 

IL PUCINO :BIANCO o NERO?

di Claudio Fabbro

Da tempi remoti vari storici ricercatori agronomi ed enologi si interrogano sulle origini di un vino tanto citato quanto in realtà sconosciuto : il PUCINO . La sua fama nasce prioritariamente dagli scritti di Plinio il Vecchio che attribuiva ad esso la longevità ( secondo alcuni 82 anni secondo altri 86..) dell'Imperatrice LIVIA AUGUSTA che ne beveva ben volentieri. Alla metà degli anni '90 come si ricorderà venne amplificato a vari livelli il cosiddetto " paradosso francese" che riconosceva al RESVERATROLO ed ai POLIFENOLI contenuti nel vino rosso talune proprietà antiossidanti da farne un buon amico del sistema cardiovascolare. Associare allora il PUCINO al TERRANO fu conseguenza scontata. Poi dal VINITALY ( Verona 5 aprile 2001) rimbalzò nel VIGNETO FRIULI l'esito di un'altra ricerca condotta-tra gli altri- dall' insigne farmacologo prof. BERTELLI( che peraltro già l'aveva anticipata all'Auditorium di Gorizia nell'ambito del convegno"COLLIO: VINO BIANCO A TINTE FORTI "organizzato dal Consorzio Vini DOC COLLIO alla fine del '99) secondo cui anche al TIROSOLO ( insieme all'acido caffeico) potevano attribuirsi taluni ottimi meriti nel rinviare la progressione del MORBO d'ALZHAIMER l'ARTROSI e l'OSTEOPOROSI ed altre patologie. Bianchi alla riscossa dunque con i fautori dell'equazione PUCINO = BIANCO pronti a giurare che "il nostro" sicuramente andava ricercato in tali tipologie; ma quali ?

Ribolla gialla Malvasia istriana Garganega Vitovska Prosecco ( alias Glera) ? .

Ci soccorre nella nostro viaggio a ritroso fra storia e leggenda rileggere attentamente una lettera che il 20 febbraio 1945 il prof. Giovanni DALMASSO( Preside della Facoltà d'agraria dell'Università di Torino e Presidente dell'Accademia della Vite e del Vino) scrisse all'insigne poeta e scrittore friulano nonché "Accademico" Chino ERMACORA .

Ad un anno dalla scomparsa ( 26 aprile 1957) del " suscitatore e rievocatore di ogni bella tradizione della sua PICCOLA PATRIA"la lettera del DALMASSO ( che già era stata precedentemente pubblicata nel "Commercio vinicolo" di Milano) venne ripresa nel numero 2 di "TERRA FRIULANA" ( anno III marzo-aprile 1958).

"Con vivo piacere-esordì il Dalmasso- ho letto - meglio riletto su questo giornale le belle pagine sul Friuli vitivinicolo che costituiscono quasi un leggiadrissimo proemio a quel tuo gioiello che è < Vino all'ombra ». E la lettura ha ridestato in me ricordi e memorie di tempi più sereni che oggi paiono così lontani... Ed ho riveduto le gioconde sagre del vino di Buttrio di Tarcento e di Ramandolo e le danze in costume; ed ho riudito i canti friulani che accompagnavano le sagge bevute e i saporiti pranzi campagnoli in quelle accoglienti cucine-osterie che tu insieme a tant'altre cose belle hai saputo anche ricostruire nel 1927 a Conegliano in quella nostra singolare Mostra d'arte ispirata alle viti e al vino... E m'è venuto subito il desiderio di ricercare; fra i pochi libri - i più preziosi e i più cari - che ho potuto salvare dalla furia di questa guerra selvaggia portandoli quassù in questa mia vecchia casa di campagna il tuo volume anzi i tuoi volumi: « Vino al sole » e « Vino all'ombra » e mi sono commosso sfogliandoli e rileggendoli qua e là; come se avessi aperto uno di quei vecchi album di famiglia che ci fan rivivere la nostra infanzia:

Ma intanto eccoti da quelle pagine affiorare una vecchia questione; che oggi taluno potrebbe .dire un po'... bizantina é che io certo non avrei pensato di risollevare su queste colonne se non avessi visto che da qualche tempo esse vanno ospitando interessanti scritti sui grandi vini dell'antica Roma.

Dopo aver dedicato più di dieci anni di lavoro a quella nostra « Storia della vite e del vino in Italia» che fu così benevolmente giudicata... specialmente fuori d'Italia (da noi chi la ricorda più ?...) non posso che rallegrarmi per questo rinato amor per... l'archeologia enologica. Poichè s'è cominciato continuo anch'io. E in omaggio al Friuli e alle terre che con esso confinano voglio ricordare qui un altro grandissimo vino romano: il Pucino.

Ben giustamente tu ripeti l'asserzione del dottissimo Plinio: che ad esso Livia moglie di Augusto era debitrice dei suoi ottantadue anni aggiungendo egli per rinforzare tale affermazione: < nec aliud aptius medicamentis indicatur! ». Vino che lo stesso Plinio suppose che fosse quello che i Greci esaltarono « miris laudibus » sotto il nome di Praetianum (o Praetetianum) del Golfo Adriatico; che a sua volta sarebbe il medesimo dì cui Dioscoride scrisse: « Paraetypianum (altra variante del nome) quod ex Adriatico sinu defertur» ecc. ecc. avvertendo che esso è simile ma non identico ad altro dello stesso nome prodotto dall'Istria.

Per restare al nostro Pucino Plinio non lascia dubbi sulla sua zona di produzione: «esso nasce là dove l'Adriatico s' insena non lungi dalle sorgenti del Timavo (che in realtà è una risorgente proprio presso la foce) su d'un colle sassoso (il nostro aspro insanguinato Carso) dove all'aura marina se ne matura tanto che basta per poche anfore ». Vino dunque più che aristocratico di minima entità quantitativa ma in compenso di eccelse virtù: E' quindi ben giustificato il tentativo ripetutamente fatto di scoprire di quale - fra i vini contemporanei - possa trattarsi.

Le tesi come tu ben sai caro Chino sono essenzialmente due: che si tratti del bianco Prosecco che si produce sulle ripide balza che poco oltre le foci del Timavo dal Castello di Duino giungono sino alle porte di Trieste. Oppure che esso debba identificarsi col rosso o nero Terrano del Carso triestino quello che tu più genericamente chiami « Refosco >.

Bianco o nero dunque? I pareri da secoli sono divisi. Per ricordare qui solo i più autorevoli fra gli antagonisti citerò Volfango Lazio che per primo nel 1551 asseriva l'identità del Prosecco col Pucino; il Mattioli - il dotto commentatore cinquecentesco di Dioscoride - il quale dopo aver affermato che il vino Pucino gli aveva ridonato la sanità e il vigore perduti così lo definiva : < est autem vinum hoc tenue clarum lucidum colore aureum odoratum gustuque gratissimum »); definizione che tre secoli dopo ripeteva tale quale il nostro Manzi scrivendo: « Credesi che questo luogo sia Prosecco o Castel Duino... in cui anche oggi si fa un vino chiaro sottile d'un bel colore d'oro ».

E non solo: ma il Filiasi nelle sue Memorie storiche dei Veneti scriveva: < Nell'odierno sanissimo eccellente Proséco che colà raccogliesi... abbiamo una traccia dell'antico Preciano o Pucino ». Così pure l'insigne agronomo di Conegliano Co. Pietro Caronelli in una sua notevole prolusione enologica del 1793 citava appunto fra i più famosi vini dell'antichità il « Pucino o sia il friulano Prosecco "

Di fronte si schierano agguerriti e pugnaci i sostenitori della opposta tesi: che cioè debba trattarsi di vino rosso o nero e più precisamente del triestino Terràno così caro e ricercato dai consumatori della bellissima città adriatica. In questa schiera come tu m'insegni v'è il dotto autore dell'« Historia di Trieste » padre Ireneo della Croce il Valvasor e Carlo Marchesetti che nella sua memoria nell'«Archeografo triestino > del 1877 sul « sito dello antico Castello Pucino e del vino che vi cresceva > (nella quale concludeva che detto Castello doveva sorgere a Duino e non a Prosecco) dopo aver anch'egli ricordato - come argomento risolutivo - la frase pliniana «Pucina omnium nigerrima » (riguardante il vitigno Pucina) osserva: « quel nigerrima si attaglia così bene alla vite che dà il sanguigno livore del Refosco (Terrano) che io davvero non saprei a quale specie meglio riferirla >.

Ultimo fra i paladini della tesi Pucino-Terrano è Silvio Benco il simpatico scrittore triestino di cui nel tuo « Vino all'ombra > hai ospitato il brillante capitolo « Terrano - Refosco ». Ora egli afferma con perfetta sicurezza: « Non il Prosecco ma il Terrano - Refosco(2)

dev'essere identificato col Pucinum ricordato da Plinio » . Ed anch'egli si basa soprattutto sull'affermazione pliniana che chiama « la vite del Pucinum omnium nigerrima ».

Tutto ciò andrebbe benissimo anche perchè se il Paraetypianum di Dioscoride era il Pucino di Plinio si spiegherebbe pure I'asserzione che esso è simile all'Istriano. E infatti Terrano triestino e rosso istriano sono prodotti dallo stesso vitigno Refosco d'Istria o del Carso).

Senonchè... c'è un guaio. E cioè che le edizioni più moderne e autorevoli di Plinio (ricordo per tutte quella teubneriana del Mayhoff e quella del Littré -ed. Didof) - non citano un'uva « Pucina » bensì un'uva « Picina » così chiamata da pix-pece donde il « Picina omnium nigerrima » equivarrebbe a nera come la pece (o come affermava l'Arduino che pure riteneva doversi leggere Picina e non Pucina: col gusto e con l'odore di pece). Anche il Billiard per riferirci ad uno dei più dotti studiosi della viticoltura antica segue questa grafia.

Cade perciò l'argomento più valido invocato dai sostenitori della tesi del Pucino quale vino rosso e più precisamente quale antenato dell'attuale Terrano-Refosco; tesi che anche tu caro Chino mostri di condividere.

Per conto mio desidero ripeterti ciò che già affermavo in proposito nella nostra « Storia della vite e del vino > : che amo meglio credere che il Pucino « consolatore di Livia imperatrice fosse il chiaretto spumante prosecco » che ancora oggi matura sulle pietrose terrazze tra il Castello di Duino e quello di Miramare anzichè il sanguigno gagliardo Terrano dal « frizzante selvatico » che Silvio Benco amava andar a ricercare con cinque ore di cammino da Trieste fin su alla collina d'Alber o a Sesana a Tomadio a Duttogliano a Comeno. Vino più indicato per robusti. bevitori che non per una raffinata matrona romana come quella che Cesare Dell'Acqua ha raffigurato nel bell'affresco del castello di Miramare.

Et de hoc satis. Sono sicuro che malgrado questa divergenza di... vedute retrospettive la nostra vecchia amicizia non verrà incrinata! Ad ogni modo fin d'ora ti propongo di conciliare la vertenza ritrovandoci o attorno al focolare di questa mia vecchia casa che custodisco come « il centro spirituale > della medesima; o « sotto il gran camino circolare che è come l'ara sulla quale fumano dalle pentole dai tegami e spiedi gl'incensi offerti ai lari o ai penati » per servirmi delle ;parole dedicate da Renato Simoni alla tua « osteria friulana di Conegliano. E di suggellare la pace con una vecchia bottiglia del mio rubicondo Barbera e una del dorato nostro Asti spumante; oppure del « chiaretto spumante Prosecco» e del sanguigno ed asprigno Terrano.

Gorizia 12.04.2001 Claudio Fabbro

Nella foto (di L.Vianello-Archivio Claudio Fabbro) : grappoli di Glera e Terrano a confronto.