vigneto Friuli

Speciale PINOT GRIGIO ©
di claudio fabbro

Se bisognerà attendere qualche tempo per conoscere i dati esatti a cancelli appena chiusi si può già affermare che "Vite 2001" ha riscosso un notevole successo. Un successo che misura sulla qualitativa presenza di viticoltori e tecnici del settore provenienti da tutta Italia e anche da mezza Europa. Il Salone della barbatella giunto alla sua decima edizione si conferma così come la migliore rassegna a livello mondiale del settore vivaistico. D'altra parte il Friuli - Venezia Giulia detiene il 70 per cento della produzione vivaistica molta della quale è destinata all'estero. Ma "Vite 2001" è stata l'occasione per molti vignaioli di conoscere quali saranno i vini del futuro. Scelta importante soprattutto per chi deve impiantare un nuovo vigneto e deve saper cogliere i gusti e le esigenze del consumatore e del mercato. Non si sono contati infatti gli assaggi e le degustazioni guidate delle varie selezioni clonali microvinificate di "Pinot grigio" "Tocai" "Chardonnay "Refosco" e "Pinot nero" proprio da parte di chi è interessato a rinnovare i suoi vigneti. Affollati anche alcuni convegni che hanno visto la partecipazione di Istituti di Ricerca e Università non solo italiani ma anche francesi e austriaci. Si è parlato del futuro del "Pinot grigio" che è uno dei vitigni di pregio che ha risentito meno della concorrenza dei vini rossi. Un vino che ha quindi un suo futuro e sul quale si è dibattuto quale strada scegliere per un miglioramento genetico. Alla Fiera goriziana si è dibattuto infatti molto sul miglioramento genetico della vite che ha permesso di ottenere cloni con maggiori garanzie sanitarie e migliore efficienza produttiva rispetto alle piante capostipiti. La qualità dei vini è indubbio nasce nella vigna e quindi più sana e forte è la barbatella migliori saranno le uve che entrano in cantina e più buoni i vini.

"Pinot grigio": il Vitigno e le sue Selezioni


(nella foto Pinot Grigio e Pinot Bianco)
L'origine le caratteristiche genetiche fenologiche e produttive la sezione clonale e i cloni disponibili in Italia Francia e Germania sono stati illustrati dal Prof. Angelo COSTACURTA secondo il quale: "Il "Pinot grigio" appartiene al gruppo dei "Pinots" vitigni di antica origine; trova la sua origine genetica in una mutazione gemmaria che ha prodotto una variazione del colore della bacca del "Pinot nero" tale mutazione è ascrivibile al tipi periclinale interessando solamente le cellule di uno strato superficiale dell'apice vegetativo. Si è diffuso dalla Francia sua terra d'origine ove peraltro è meno coltivato degli altri due "Pinot" all'Europa centrale trovando largo riscontro all'interno dei confini tedeschi come testimoniano i vecchi appellativi "Stirer" datato 1689 e "Ruländer" del 1711 a indicare una certa diffusione a Spira per l'azione di un viticoltore di nome Ruland. In Italia giunge sicuramente verso la fine del 1800 ma già qualche traccia della sua presenza può forse essere fatta risalire all'epoca dei Romani dove con il termine di Hevolae (da helvus =grigio) si designavano vitigni a bacca grigia. Inizialmente si diffuse in Trentino - Alto Adige e successivamente in tutte le Tre Venezie dove si trovano anche attualmente le principali zone di coltivazione.Nel corso del tempo questo vitigno ha assunto differenti denominazioni anche a seconda del luogo di coltura. Numerosi ricercatori si sono impegnati nel tempo nella caratterizzazione di questo vitigno avvalendosi delle varie tecniche che via via il progresso metteva loro a disposizione. Attualmente per una corretta e completa caratterizzazione si opera integrando le metodologie ampelografiche isoenzimatiche molecolari e chimiche. Dal punto di vita ampelografico il "Pinot grigio" presenta un germoglio eretto con apice espanso tomentoso e con leggere sfumature rosate ai bordi. Le foglioline apicali sono tomentose spiegate e di colore verde biancastro. La foglia adulta è di taglia piccola cordiforme trilobata e glabra; il seno peziolare è a V aperto e il lembo è ripiegato a coppa lobato di colore verde cupo. Il grappolo è piccolo di forma cilindrica tendenzialmente alato. L'acino è piccolo ovoidale spesso deformato per l'eccessiva compattezza e si distacca abbastanza facilmente dal pedicello; la buccia presenta il tipico colore grigio - rosa di medio spessore pruinosa; la polpa è succosa e di sapore dolce neutro. Nella caratterizzazione dei vitigni a uva bianca particolare interesse riveste il profilo aromatico. Nel caso del "Pinot grgio" è importante la presenza delle forme cicliche dell'alfa-terpineolo e delle forme diidrossilate del linalolo e del geraniolo. Sensibile è il tenore dell'alcol benzilico e dei norisoprenoidi mentre fra i benzoidi ad anello vanillinico un posto di rilievo è occupato dallo zingerone. Tenori più elevati di actinidoli isomeri rispetto ai vitipriraniisomeri al damascenone al "Riesling" acetale e al TDN. Il damascenone è particolarmente rappresentato costituisce una caratteristica di questa varietà." COSTACURTA ha ricordato che: "Cosmo e Polsinelli nel Volume I dei "Principali vitigni da vino coltivati in Italia" descrivevano il "Pinot grigio" come vitigno a germogliamento medio e maturazione medio precoce. Il Puliat nel 1879 nella classificazione stabilita per il Midì della Francia e che si fondava sulla precocità di maturazione in rapporto allo "Chassellas doré" poneva il "Pinot grigio" fra i vitigni della 2ª classe. Sono distinte 5 classi: le uve precoci che maturano prima dello "Chasselas" come la "Perla di Csaba"; il "Portugais bleu"; quelle che maturano 5 o 6 giorni prima o dopo lo "Chasselas": "Gamay" "Meunier" "Pinot grigio" "Pinot nero"; quelle che maturano da 12 a 15 giorni dopo: "Cabernet franc" "Cabernet sauvignon" "Chardonnay" "Chenin blanc" "Folle blanche" "Cinsaut" "Furmint" "Kardaka" "Merlot" "Moscato d'Amburgo" "Nebbiolo" "Riesling" "Sauvignon" "Semillon" "Sylvaner" "Syrah"; quelle che maturano da 20 a 30 giorni dopo: "Barbera "Carignano" "Grenache" "Ugni blanc" "Trebbiano bianco"; quelle che maturano da 35 a 45 giorni dopo: "Moscato d'Alessandria' "Olianes" "Olivetta nera".Sulla base di oltre un trentennio (1966-2000) di rilievi effettuati presso le collezioni dell'Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Susegana (Treviso) la fenologia del "Pinot grigio" viene confrontata con quella di un gruppo di vitigni comprendente alcune fra le più importanti varietà internazionali e autoctone. Si evidenzia la notevole precocità del vitigno dovuto soprattutto alla brevità della fioritura - invaiatura che è secondo solo a quello del "Müller Thurgau". L'analisi della "stabilità ambientale" che consente di valutare la sensibilità di un vitigno ai fattori ambientali mostra come nel caso del momento dell'invaiatura questa varietà tende a seguire il comportamento medio indotto dall'ambiente al contrario per esempio del "Cabernet sauvignon" e del "Merlot" che mostrano una minore sensibilità all'ambiente o del "Pinot nero" e del "Fiano" che invece risentono maggiormente dei fattori climatici. Naturalmente come conseguenza della diversa risposta dell'ambiente da parte dei genototipi può accadere che le scale di valori prima riportate subiscano della variazioni cambiando la zona di coltivazione. Sempre secondo Cosmo e Polsinelli il "Pinot grigio" è definito un vitigno di "media vigoria buona produttività sensibile al marciume dell'uva". Per una più approfondita conoscenza delle sue caratteristiche vegeto-produttive abbiamo ritenuto utile riportare i risultati di alcune ricerche e sperimentazioni condotte in Italia e all'estero e dei dati produttivi relativi ad alcune delle sue principali aree di coltivazioni del Triveneto. Nella collezione di Colmar (Alsazia) Huglin fra il 1957 e il 1971 ha rilevato le "performance" produttive del "Pinot grigio" confrontato con altri vitigni di quell'area. Il "Pinot grigio" è il meno produttivo fra i vitigni considerati (0 7 kg/ceppo) ma è anche il primo quanto a gradazioni zuccherine che risultano di tutto rispetto (20 6%) per un ambiente ai limiti di coltivazione della vite come è quello alsaziano. Il "Pinot grigio" è un vitigno dotato di una elevata precocità che si estrinseca sia come momento della maturazione che come velocità di accumulo degli zuccheri durante la maturazione. La sua produttività è discreta mentre è quasi eccellente la qualità delle uve. Il vitigno però manifesta marcata sensibilità all'ambiente (clima e terreno) e alla tecnica di coltivazione. E' suscettibile alla "muffa grigia" e in alcune situazioni può manifestare fenomeni di clorosi. I risultati alcune volte discordanti che si sono ottenuti nelle diverse prove sperimentali potrebbero essere dovuti alla variabilità esistente fra i cloni coltivati soprattutto a livello di produttività. Quindi per ottenere risultati soddisfacenti dalla coltivazione di questo vitigno è opportuno effettuare anzitutto una scelta oculata dei cloni e successivamente adottare nel vigneto la tecnica colturale (in particolare potatura e carica di gemme) adatta alle diverse situazioni ambientali al fine di mantenere nelle piante un giusto rapporto fra la fase vegetativa e quella di accumulo."

ATTUALITÀ E PROSPETTIVE DEL VIVAISMO PER IL "PINOT GRIGIO"

Nel quadro del calo generale degli impianti di varietà a "bacca bianca" il "Pinot grigio" ha avuto un incremento significativo delle superfici in Italia in particolare in Friuli - Venezia Giulia. Il suo mercato però sostenuto da forti flussi di esportazione di cui è difficile stabilire la tenuta nel tempo espone a qualche rischio per il futuro. Secondo Eugenio SARTORI (nella foto) : "La produzione italiana di barbatelle innestate ha raggiunto nel 2000 73 milioni di unità tra varietà da vino e da tavola mentre le selvatiche si sono attestate a 31 milioni di pezzi. Il notevole quantitativo di selvatiche trova utilizzazione nell'Italia meridionale Sicilia in particolar modo che mediamente ne consuma circa 15 milioni all'anno. L'evoluzione della produzione a livello varietale è una indicazione assai utile per comprendere le tendenze dell'offerta vivaistica che come ben sappiamo negli ultimi anni si è decisamente spostata verso le varietà a "bacca rossa". Praticamente su 70 milioni di barbatelle innestate di varietà da vino quasi 55 milioni sono riferiti alle rosse con un'incidenza del 76%. Nel 2000 le varietà propagate sono state oltre 270 delle quali 173 rosse e 134 bianche con una frammentazione che non trova eguali in nessun Paese viticolo del mondo. Basti pensare che ben 84 varietà a livello vivaistico sono prodotte in quantitativi tra le 5.000 e le 50.000 barbatelle il che significa realizzare superfici a vite veramente irrisorie. Le varietà a carattere internazionale rappresentano il 35% della produzione totale le nazionali il 36% e le locali il 29%; quest' ultime hanno registrato una regressione del 6% rispetto al 1990. Nelle prime posizioni della produzione viviaistica nazionale troviamo in ordine decrescente: "Sangiovese" (9 5 milioni di barbatelle) "Cabernet sauvgnon" (6milioni) "Merlot" (5 9 milioni) "Montepulciano" (3 9 milioni) "Barbera" (3 5 milioni) e al 6° posto il "Pinot grigio" (2 2 milioni) e "Moscato bianco" (1 8 milioni) "Trebbiano toscano" (1 5 milioni) e "Cabernet franc" (1 5 milioni). Negli ultimo 10 anni tutte le varietà bianche ad eccezione di "Pinot grigio" "Prosecco" "Fiano" "Greco bianco" e "Greco di Tufo" hanno accusato una forte riduzione della domanda e a conferma che il fenomeno ha dimensione mondiale gli stessi andamenti si sono riscontrati in tutti i Paesi viticoli del mondo. La Spagna il Portogallo e la Grecia utilizzano oggi meno del 20% di varietà bianche così pure la Francia dove l'unica eccezione dello "Cardonnay" tutti gli altri vitigni bianchi hanno segnato un indebolimento progressivo. La stessa Germania pianta oggi il 50% di vitigni a "bacca rossa" contro il 10% dei primi anni '90.Nei Paesi di nuova viticoltura è riscontrabile lo stesso fenomeno e in taluni casi come Argentina e Brasile ancora più enfatizzato. Si sta piantando troppo rosso e poco bianco? Può darsi. Attualmente il consumatore a livello mondiale lega il vino rosso più che il bianco a positivi aspetti salutistici e a un stretto legame con la natura la tradizione la cultura il territorio. Il bianco è visto probabilmente come un prodotto più artefatto meno naturale e meno salutistico. Una ripresa del consumo del bianco si può intravedere per i vitigni di grande potenziale qualitativo e fortemente legati al territorio come ad esempio il "Pinot grigio". Il "Pinot grigio" pesa per il 3 3% sull'intera produzione vivaistica ed incide per il 6% sulle prime 10 varietà. Rispetto ai primi 10 vitigni bianchi risulta al vertice con il 19 2% mentre pesa per il 15 3% su tutte le varietà bianche prodotte. I dati relativi alla produzione vivaistica indicano l'ottima posizione assunta dal "Pinot grigio" che pur mantenendo un'area di coltivazione limitata al Nord - Est ha trovato motivo di espansione grazie ad un mercato del vino favorevole ed all'immissione sul mercato di prodotti di qualità sempre più elevata. L'evoluzione decennale nella utilizzazione del"Pinot grigio" e la relativa superficie messa a vigneto sono una conferma di un "trend" che ormai da diversi anni è positivo. Per quanto riguarda i portinnesti utilizzati nella produzione vivaistica gli appartenenti al gruppo "Berlandieri x Riparia" sono i preferiti e ad esempio i Vivai Cooperativi Rauscedo che rappresentano il più grande produttore mondiale di barbatelle con una produzione annua di 45 milioni nella campagna vivaistica 2000-2001 registravano la seguente ripartizione:

  • - "Berlandieri x Riparia" (Kober 5BB SO4 420A): 95 8%;
  • - "Berlandieri x Rupestris" (140RU 1103P): 4 2%.

Il grande utilizzo del Kober 5BB è dovuto a diversi fattori primo fra i quali l'ambiente pedoclimatico che ospita le superfici più estese a "Pinot grigio" e che fa riferimento a climi temperati terreni spesso sciolti e profondi e secondariamente al fatto che il "Pinot grigio" è una varietà di debole vigore che trova un'ottima compatibilità nel Kober 5BB. Per terreni pesanti e impianti fitti si adotta l'SO4 e in quelli particolarmente calcarei e difficili il 140RU e il 1103P. Per il futuro è prevedibile ancora una maggiore richiesta su Kober 5BB 1303P 140RU e su 110R rispetto al quale si riscontra anche se per ora a livelli sperimentali un certo interesse nelle Grave del Friuli e nelle zone collinari e più calcaree delle colline vicentine. Nel catalogo nazionale risultano iscritti 5 cloni ma l'utilizzazione riguarda anche selezioni di origine tedesca e francese. Complessivamente sono 10 i cloni utilizzati in Italia e i dati relativi alla VCR riguardano per l'80% il clone R6; seguono poi il VCR5 lo SMA 505 l'Inra 52 il FR 49-207 l'ISV FIT. La gamma clonale sul "Pinot grigio" risulta sufficientemente vasta e rappresentativa della variabilità varietale e ovviamente i cloni di maggior qualità sono anche i più richiesti sul mercato. Rispetto agli altri Paesi comunque c'è una maggiore attenzione alla scelta clonale soprattutto nelle aree a D.O.C. di collina.

IL PINOT GRIGIO IN FRIULI-VENEZIA GIULIA
Le aree di coltivazione del "Pinot grigio" si riferiscono al Nord Italia con una concentrazione particolarmente elevata nel Friuli - Venezia Giulia. Nel 1990 la superficie coltivata in Friuli era di 1.415 ettari e rappresentava il 7 7% del totale che era pari a 19.400 ettari. Gli estesi impianti effettuati durante l'ultimo decennio hanno decisamente cambiato questo rapporto e oggi i dati regionali ci dicono che il "Pinot grigio" occupa 3.090 ettari con un'incidenza del 15 3%. Anche i dati vivaistici riferiti all'utilizzo di barbatelle confermano ciò. L'evoluzione decennale indica come via via il "Pinot grigio" sia diventato la varietà più richiesta dai viticoltori nell'ambito delle bianche ovviamente e nell'ultima campagna addirittura a livello complessivo. Nel 1991-1992 rappresentava infatti il 14 4% delle varietà utilizzate in Friuli 10 anni dopo ben il 22 5% superando così il "Merlot" che nell'ambito delle rosse è stato il vitigno più richiesto. L'utilizzazione varietale in Friuli è caratterizzata per un 72 8% dalle classiche varietà internazionali di origine francese e per un 27 2% dal "cultivar" locali che hanno attualmente il loro punto di forza nei "Refoschi" e nel "Tocai friulano" "Ribolla" e "Malvasia d'Istria" per le bianche. Rispetto a 10 anni or sono il rapporto bianche/rosse è completamente invertito e se non fosse per il "Pinot grigio" le bianche arriverebbero ad appena il 15% del totale. Per il Friuli - Venezia Giulia quindi il "Pinot grigio" sta diventando la varietà cardine all'interno delle bianche e se la corrente esportativa sosterrà i volumi di produzione e le relative quotazioni nel prossimo futuro potremo constatare anche un deciso miglioramento a livello qualitativo. Non quindi più solo dal "Collio" il grande "Pinot grigio" ma anche dalle aree meno vocate dove con opportuni accorgimenti a livello colturale ed enologico è possibile migliorare radicalmente quel "mare di bianco secco alquanto anonimo povero di aromi con un'acidità che è forse più elevata fra tutti i "Pinot gris" del mondo" come ha definito appunto il "Pinot grigio di pianura" Jancis Robinson nella sua "Guida ai Vitigni del Mondo". Le ottime remunerazioni delle uve che hanno raggiunto e talora superato le 2.500 lire/kg hanno indotto i viticoltori ad aumentare ulteriormente la superficie a "Pinot grigio". A ulteriore conferma di ciò non solo la richiesta vivaistica ma anche la ripartizione varietale relativamente alle superfici a rinnovo con aiuti UE secondo i dati regionali nel 1999 il 23% era a "Pinot grigio" nel 2000 ben il 34%.

IL PINOT GRIGIO IN FRANCIA
E' coltivato quasi esclusivamente in Alsazia dove storicamente era denominato "Tocai d'Alsace" e assieme al "Riesling" e al "Gewürztraminer" rappresenta la componente più nobile della viticoltura alsaziana. dando origine a vini estremamente ricchi ben strutturati e con aromi non troppo marcati. Negli ultimi anni la produzione vivaistica è aumentata senza però mai raggiungere i livelli dell'Italia. Le superfici a rinnovo sono passate dai 120 ettari del 1991 ai 180 del 2000 segno che comunque c'è un interesse verso questo vitigno anche se non gode del prestigio di altri e ben più rinomativi vitigni come "Chardonnay" e "Sauvignon".

IL PINOT GRIGIO IN GERMANIA
Nell'ultimo decennio in Germania si è assistito ad un radicale cambiamento nell'assortimento varietale utilizzato dai vivaisti. Innanzitutto come in tutti gli altri Paesi si è rilevata una sensibile propensione verso i vitigni rossi anche se le condizioni pedoclimatiche delle aree coltivate in Germania non sono le più adatte. Le varietà bianche più produttive come il "Müller Thürgau" il "Sylvaner" e il "Kerner" dal 1994 in poi hanno perso la posizione dominante a favore soprattutto del "Dornfelder" vitigno rosso molto apprezzato dai vignaioli in quanto dà vini che maturano molto velocemente. All'interno delle varietà bianche solo il "Pinot bianco" ed il "Pinot grigio" rappresentano una crescita nella produzione vivaistica e quindi anche nella relativa superficie di rinnovo annua. I cloni di "Pinot grigio" più richiesti in Germania sono: l'"H1" il "Wm63" e il "FR49-207"; il primo molto generoso e produttivo gli altri due molto qualitativi.

IL PINOT GRIGIO NEGLI U.S.A.
Il "Pinot grigio" è coltivato per l'85% in California l'8% nello Stato di Washington il 2% in Oregon e l'1% in altri Stati. La superficie a "Pinot grigio" è di 731 ettari; dal 1992 in poi è andata via via crescendo grazie ad una maggiore quota di superficie annualmente messa a coltivazione. I cloni più interessanti sono rappresentati dalla selezione californiana Jackson "K6V6" dall'"Inra 53" e "52" e dal "VCR5".


Il Presidente dell'Assoenologi Stefano Trinco tra i vice Giovanni Colugnato e Rodolfo Rizzi.

CONCLUSIONI
Il "Pinot grigio" oltre ai Paesi sopra citati trova diffusione anche in Slovenia Moravia; Croazia centro - orientale Romania Austria e in quantitativi minori anche in Moldavia Canada e Australia. Ultimamente si stanno realizzando impianti a livello sperimentale in Argentina nella provincia di Mendoza e in Cile ma l'area di maggiore diffusione rimane sempre l'Europa in funzione di una maggiore vocazionalità. La pur crescente produzione vivaistica non riesce a soddisfare completamente la domanda di barbatelle in quanto le ottime remunerazioni delle uve e del vino di "Pinot grigio" di anno in anno hanno indotto uno spostamento della scelta da parte dei viticoltori verso questa varietà talvolta a programmi d'innesto ormai conclusi. Essendo il mercato del "Pinot grigio" sostenuto da una forte corrente di esportazione che potrebbe un giorno ridursi e da un consumo interno limitato sarebbe opportuno nel futuro moderare la propensione all'impianto per evitare possibili cattive sorprese nel prossimo futuro."

RISPOSTE VEGETO-PRODUTTIVE DEL "PINOT GRIGIO" ALLE DIVERSE TECNICHE AGRONOMICHE
Lo squilibrio vegeto - produttivo caratteristico di questa varietà se non è controllato determina gradazioni zuccherine dei mosti se non adeguate e vini poco strutturati e non longevi. L'interazione vitigno - ambiente la scelta del clone e l'azione di specifiche pratiche colturali possono ovviare al problema e garantire buoni livelli qualitativi. Secondo il dott. Giovanni COLUGNATI responsabile del Centro pilota vitivinicolo dell'ERSA in Gorizia : "Il vitigno "Pinot grigio" probabilmente ottenuto per mutazione del "Pinot nero" è diffuso in tutta la zona viticola dell'Europa centrale dall'Alsazia fino al Bacino danubiano assumendo diversi sinonimi a seconda delle aree di coltivazione. In particolare nell'area tedesca prende il nome di Ruländer termine la cui etimologia potrebbe derivare da Ruland che nel 1711 portò questo vitigno dalla Borgogna in Germania. In Italia la maggior diffusione di tale vitigno si riscontra nell'area viticola Nordorientale (Friuli - Venezia Giulia Veneto Trentino - Alto Adige) dove a partire dalla metà degli anni Ottanta si è assistito ad una forte espansione della varietà. Gli elementi caratteristici della varietà sono il ridotto vigore vegetativo e l'elevata produttività che nel caso in cui siano combinati creano notevoli difficoltà nel mantenere un corretto equilibrio vegeto - produttivo; il disequilibrio si manifesta spesso con una bassa disponibilità di superficie fogliare rapportata alla quantità di uva prodotta. Nella cv "Pinot grigio" si riscontra infatti un'alta frequenza con una certa difficoltà ad attivare quelle forme di regolazione interna della pianta che consentono di evitare un eccessivo aggravio produttivo che in altre varietà invece sono presenti (ad esempio riduzione del germogliamento della taglia del grappolo della fertilità delle gemme ecc.). Tale naturale tendenza tipica della varietà è stata amplificata attraverso l'introduzione di materiale genetico omologato quale cloni caratterizzati da elevata fertilità accompagnata da taglie di grappoli medio - elevate (ad esempio clone H1). Le conseguenze più diffuse di tale squilibrio vegeto - produttivo della pianta sono la non ottimale gradazione zuccherina dei mosti e l'ottenimento di vini poco strutturati e non longevi. Per garantire buoni livelli di qualità occorre allora ricercare l'equilibrio fisiologico della pianta rispettando alcuni importanti fattori tra i quali la valutazione dell'interazione vitigno - ambiente la scelta oculata del materiale genetico all'impianto e l'azione di specifiche pratiche colturali. Il "Pinot grigio" pur essendo un vitigno molto diffuso in Europa risulta molto reattivo ai siti in cui viene coltivato poiché raggiunge livelli qualitativi soddisfacenti solo quando si scelgono i biotipi migliori per le diverse condizioni pedoclimatiche. Da tempo infatti è nota la risposta del vitigno a particolari fattori legati al clima quali la luce e la temperatura. Considerata la sua precocità di maturazione (1ª epoca) il vitigno può essere coltivato a diverse altitudini fornendo prodotti che si differenziano sia dal punto di vista produttivo che qualitativo. Le superfici maggiormente investite a "Pinot grigio" in Italia sono posizionate in fondovalle o bassa collina dove le condizioni di fertilità del terreno permettono di ottenere livelli di buona qualità della produzione grazie al raggiungimento di un equilibrio vegeto - produttivo ottimale. In terreni magri invece le piante manifestano frequentemente problemi di squilibrio fisiologico con gravi sintomi di stress che compromettono la qualità della produzione. La scelta di questi suoli per coltivare il "Pinot grigio" deve pertanto essere supportata da interventi mirati di tipo agronomico come concimazioni adeguate scelta di portinnesti medio - vigorosi gestione del terreno mediante inerbimenti non troppo competitivi con le viti oltre a potature annuali con adeguate cariche di gemme a ceppo per regolare la produttività. La giacitura del vigneto e l'orientamento dei filari rivestono un ruolo importante nel determinare i parametri vegeto - produttivi e qualitativi della produzione; infatti piante coltivate con diverse esposizioni dei filari risultano modificate nei propri parametri vegetativi e produttivi. In alcune sperimentazioni effettuate in Friuli - Venezia Giulia si è potuto notare come l'esposizione a sud dei grappoli lungo i filari favorisca la produzione di mosti con un elevato rapporto zuccheri/acidità e di conseguenza la produzione di vini adatti ad invecchiamento; gli stessi Autori evidenziano che piante caratterizzate da un valore dell'indice di Ravaz compreso tra 5 e 7 permettono di ottenere produzioni migliori dal punto di vista qualitativo. Negli stessi siti le uve esposte a nord mostrano viceversa una cinetica di maturazione più lenta caratterizzata da rapporti zuccheri/acidità del mosto più bassi dei parametri tecnologici che consentono la produzione di vini di pronta beva. La scelta della forma di allevamento da utilizzare dovrà essere effettuata considerando il sistema più diffuso nelle diverse zone viticole di coltivazione della varietà. L'orientamento nella scelta comunque dovrà ricercare forme in grado di ridurre gli affastellamenti e l'eccessiva sovrapposizione degli strati fogliari con ombreggiamenti o coperture dei grappoli determinando un microclima sfavorevole potrebbero causare danni soprattutto dal punto di vista sanitario delle uve. Gli interventi che il viticoltore è chiamato ad operare in un vigneto di "Pinot grigio" devono essere indirizzati al raggiungimento ed al mantenimento di un ottimale standard fisiologico della pianta per la durata di tutto il ciclo produttivo. La sola potatura invernale non è però spesso sufficiente a garantire tale obiettivo; gli altri interventi sono richiesti durante il periodo vegetativo per riequilibrare il rapporto vegeto - produttivo e per mantenere un ideale microclima per foglie e grappoli. Infatti le risposte adattative della cultivar alle diverse manipolazioni della chioma quali ad esempio la regolazione della carica di gemme per ceppo risultano estremamente positive. La potatura invernale tendenzialmente deve prevedere di lasciare tra le 60.000 e le 70.000 gemme/ettaro. Intatti esperienze fatte in Trentino hanno messo in luce che i vigneti con 58.000 gemme/ettaro rispetto a quelli con 77.000 e 96.000 presentano contenuti zuccherini decisamente più elevati minori produzioni per ceppo di circa il 30% associate a vigore (peso del legno di potatura) più elevato che corrisponde quindi ad una superficie fogliare maggiore. Per questa varietà quindi risultano interessanti valori dell'indice di Ravaz prossimi a 5-6; tale indice mette in relazione la produzione di uva per ceppo e il peso del legno di potatura.La presenza nella varietà di internodi relativamente corti può essere causa di una cattiva distribuzione della vegetazione nello spazio disponibile. In questi casi può risultare opportuna l'eliminazione precoce di germogli nelle zone di maggior affastellamento; tale operazione va effettuata a cavallo della fioritura. Questo tipo di intervento consiste fondamentalmente nell'eliminazione in modo alternato di germogli doppi deboli o mal posizionati lungo il tralcio cercando di creare spazi opportuni alla vegetazione. In questo modo si tende a ridurre la formazione di strati eccessivi di foglie favorendo una adeguata illuminazione delle foglie esposte e quindi un miglioramento generale del microclima del grappolo e una riduzione degli interventi di sfogliatura o scacchiatura che sono necessari durante il ciclo vegetativo. Tali interventi devono essere effettuati dopo attenta valutazione dello sviluppo dei germogli lungo il tralcio in quanto in certe situazioni (pergola semplice o doppia) e in alcune annate può risultare opportuno lasciare le gemme in più al momento della potatura invernale. Per quanto riguarda i cordoni rinnovati o speronati l'eliminazione di alcuni germogli deve tener conto del vigore degli stessi lungo il tralcio e della ottimale distribuzione della vegetazione lungo la parte fotosintetizzante. La sfogliatura è un intervento fondamentale per migliorare il passaggio di aria intorno al grappolo e per favorire nel contempo la buona distribuzione dei fitofarmaci; il periodo d'intervento dovrà tener conto dell'età della foglia e quindi dell'efficienza fotosintetica. Il periodo migliore per effettuare la sfogliatura e quello compreso tra allegagione e pre - chiusura grappolo. Interventi precoci invece devono riguardare unicamente le foglie che coprono i grappoli e impediscono una efficiente lotta alle crittogame. L'intervento di sfogliatura deve essere coordinato con quelli necessari per la cimatura dei germogli; la scelta dell'intervento perciò anche per il "Pinot grigio" deve considerare che esso risulta efficace quando stimola lo sviluppo delle femminelle fonte di foglie che diverranno efficienti nel periodo di maturazione delle uve. Tale intervento deve essere programmato tenendo conto dello sviluppo dei tralci della pianta al fine di evitare squilibri vegetativi che richiederebbero ulteriori interventi di potatura verde. L'eliminazione di alcuni grappoli in soprannumero in relazione al rapporto produzione/superficie fogliare nel caso del "Pinot grigio" può essere di estrema utilità. Comunque essa va intesa come una tecnica rivolta al riequilibrio del potenziale produttivo della pianta verso produzioni qualitativamente più elevate garantendo una migliore distribuzione spaziale dei grappoli rimasti sul germoglio e aumentando così anche l'efficacia dei trattamenti antibotritici. Come in tutte le varietà il diradamento dei grappoli deve essere considerato un intervento straordinario in quanto la regolazione del potenziale produttivo è normalmente riservata agli interventi di potatura invernale. Poiché la fertilità del "Pinot grigio" è spesso elevata (si rilevano anche tre grappoli per germoglio) l'eliminazione del terzo grappolo risulta una pratica di diradamento importante da attuare in tutte le situazioni. Dal punto di vista nutrizionale le conoscenze relative al "Pinot grigio" sono piuttosto limitate. Grazie all'esperienza del Centro di Diagnostica Fogliare dell'Istituto Agraria di S. Michele all'Adige (Trento) si rendono disponibili i dati raccolti a partire dal 1987. Le esperienze sono frutto di indagini effettuate in due diversi comprensori viticoli quello trentino e quello veronese utilizzando vigneti rappresentativi delle più frequenti condizioni ambientali e colturali di ciascun comprensorio in condizioni vegetative equilibrate e con produzioni di buona qualità dislocati in diversi siti di coltivazione scelti per la taratura degli standard di riferimento in accordo ai servizi di assistenza tecnica. Una seconda considerazione deve essere puntualizzata: l'andamento medio degli elementi nel corso della stagione vegetativa di conferma che le concentrazioni fogliari di azoto e boro calano tra allegagione e invaiatura mentre quelle di calcio e magnesio aumentano. I valori medi confrontati con gli standard di riferimento proposti per la vite in tali comprensori viticoli risultano più elevati in azoto fosforo calcio e zolfo sia all 'allegagione che all 'invaiatura rispetto alle altre cultivar. Alla luce dei dati riportati va fatta una piccola considerazione che potrebbe risultare di prioritaria importanza nella gestione del vitigno "Pinot grigio". I più elevati livelli fogliari di azoto fosforo calcio e zolfo oltre a evidenziare un forte effetti che il genotipo esercita sull'espressione dello stato nutrizionale potrebbe anche indicare che tale varietà necessiti di particolare attenzione nella gestione della fertilizzazione. A tale scopo potrebbe risultare di fondamentale importanza ai fini dell'ottenimento di prodotti qualitativamente elevati modulare accuratamente in particolare la fertilizzazione azotata. Infatti vista anche la forte sensibilità varietale ad attacchi di malattie fungine generalmente favoriti da squilibri vegeto - produttivi la gestione del rigoglio vegetativo potrebbe aiutare a prevenire l'insorgere di tali fenomeni negativi. Anche se il "Pinot grigio" manifesta tendenzialmente rapporti vegeto - produttivi molto bassi occorrerà intervenire con apporti azotati frazionati al fine di raggiungere valori dell'indice di Ravaz più prossimi a 5-6. Indubbiamente non si dovrà scendere sotto determinati livelli fogliari di azoto ma nemmeno superare di molto la soglia ottimale. Per poter controllare i propri vigneti oltre alla diagnostica fogliare è possibile oggi avvalersi dell'ausilio dello strumento Spad più rapido nel fornire risposte nel corso della stagione vegetativa. A tale riguardo come riportato da un recente lavoro sarà necessario che i valori Spad siano compresi negli intervalli 34-38 all' allegagione e 37-42 all invaiatura per decidere come modulare il tipo di intervento. Qualora i valori si trovino sotto la soglia gli apporti dovranno essere più consistenti (per un totale di 100 unità/ettaro) preferibilmente in forma frazionata. Quando nel vigneto invece si riscontra un buon equilibrio vegeto - produttivo saranno sufficienti 50 unità di azoto/ettaro annue. L'ottenimento di un processo di maturazione delle uve completo derivante da accumuli zuccherini più che elevati accompagnati da consistenti depositi di sostanze aromatiche e/o fenologiche può essere raggiunto quando le piante arrestano la propria intensa attività vegetativa nel periodo di allegagione e invaiatura. Proprio per tale ragione il frazionamento degli apporti azotati (40% nella fase di germogliamento pieno e 60% in quella successiva di post - allegagione) può risultare un'arma fondamentale per favorire il miglior equilibrio vegeto-produttivo. Qualora le condizioni dell'annata fossero predisponenti a bassi tenori acidici si renderà opportuno intervenire con concimazioni fogliari a base di azoto in periodo estivo. Per quanto riguarda gli altri elementi si consigliano dosi calibrate a seconda dei diversi momenti della stagione in relazione alla tipologia di terreno e alla resa produttiva. La distribuzione del potassio dovrà essere effettuata in autunno o all'inizio della ripresa vegetativa in un'unica soluzione preferibilmente sotto forma di solfato; quando i terreni risultano fortemente argillosi caratterizzati da argille "vecchie" che lo fissano in modo irreversibile la somministrazione del potassio dovrà avvenire per via fogliare. Anche per il fosforo la distribuzione dovrà essere effettuata in soluzione unica o autunnale o in primavera. Il calcio in annate particolarmente soggette a fenomeni di marciume dovrebbe essere somministrato per via fogliare (in post-allegagione e a cavallo dell'invaiatura) sotto forma di chelato o legato ad acidi carbossilici in modo da aiutare l'ispessimento della buccia e diminuire l'attacco delle malattie fungine e/o fisiopatie. Si considera che i migliori vini ottenuti da uve "Pinot" siano quelli allevati nell'Italia Nordorientale su terreni collinari medio argillosi calcarei ben drenati in climi freschi (Pittaro e Plozner 1982) anche se vini "Pinot grigio" molto tipici si ottengono anche in aree temperate. Gli stessi Autori riferiscono che i vini in post - fermentazione assumono un colore giallo paglierino con riflessi verdognoli sensazioni fruttate e floreali che evolvono con la maturità in note da crosta di pane fino a sensazioni di fiori di artemisia - mandorla. Spesso è presente un retrogusto amaro. Nel caso specifico del "Pinot grigio" l'aroma è fruttato per i vini giovani che evolvono in un sentore largo di fieno pungente guscio di noce e mandorla tostata mentre la colorazione assume una tonalità dorata con l'età. Il quadro aromatico di questa varietà è ancora oggi oggetto di studio a causa della sua presunta "neutralità"; nonostante ciò sono state identificate e descritte numerose sostanze che concorrono alla sua componente olfattiva e più in particolare alcoli terpenici monoidrossilati quali linalolo e geraniolo alfa – terpineolo composti tio - eteri ecc. Inoltre altri Autori hanno messo in evidenza la stretta correlazione esistente tra il microclima di coltivazione del "Pinot grigio" e alcuni parametri del mosto quali la dinamica di evoluzione degli zuccheri ed il contenuto in aminoacidi. VERSINI et al. (1993) hanno caratterizzato vini "Pinot grigio" di diversa origine dal punto di vista dei composti liberi pre - fermentativi e fermentativi e legati. Studi volti alla caratterizzazione della provenienza dei diversi vini "Pinot grigio" (Italia e Germania) hanno dimostrato che il ruolo preminente è svolto dalla tecnologia enologica piuttosto che dai fattori varietali e climatici. Alcuni composti pre -fermentativi e fermentativi sono stati riconosciuti come prioritari per la discriminazione dei vini diversamente da alcuni composti legati che sono risultati meno discriminanti. Molto interessante per le influenze sensoriali appare l'incremento del contenuto dei vinilfenoli.

E' stata affidata all'Enologo Stefano TRINCO (nella foto) Presidente dell' Assoenologi Friuli - Venezia Giulia la lettura di un documento curato dai Ricercatori Trentini PICHLER e VARNER sul tema "VINIFICAZIONE ED AFFINAMENTO DEL "PINOT GRIGIO" FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONI

"Grazie alla duttilità del "Pinot grigio" e alle innovazioni intervenute in enologia è possibile interpretare al meglio le caratteristiche indotte dall'ambiente sull'uva per produrre un vino difficilmente imitabile altrove che contemporaneamente incontri il gusto del consumatore. "Le variabili che intervengono nel percorso produttivo vitivinicolo sono talmente numerose che spesso l'influenza esercitata da quelli che dovrebbero essere i fattori principali ossia il connubio tra vite e ambiente diventa trascurabile. Ci si trova quindi spesso di fronte a differenze fra i prodotti che dipendono più dal processo di produzione che dalla caratteristiche intrinseche della materia prima e i fondamentali concetti di "terroir" "zonazione" "vigna" cadono così sotto il peso di una viticoltura e di un'enologia a volte approssimative a volte invasive. Si spiegano in tal modo le differenze che si riscontrano fra i vini prodotti da aziende diverse in uno stesso territorio. Tali differenze non sono di per sé negative lo diventano quando non sono riproducibili ossia derivano dal caso e non da uno stretto controllo del processo di trasformazione. Il "Pinot grigio" da questo punto di vista un po' per la sua difficoltà di coltivazione che ne ha ostacolato la diffusione nel mondo un po' per le sue caratteristiche di varietà neutra e poco caratterizzata un po' per i miglioramenti sostanziali della tecnica enologica negli ultimi 15 anni ha avuto il merito di creare una massa importante di vini con una buona omogeneità di caratteristiche che non solo all'interno di una piccola zona ma in un'intera grande area il Triveneto. Ma la sua forza non sta tanto nella qualità intrinseca più o meno discutibile ma nella capacità di non tradire il consumatore in quanto a costanza qualitativa. Se ci pensiamo bene si tratta dello stesso motivo che ha decretato la diffusione e il successo internazionale di altri vini quali "Chardonnay" "Merlot" "Cabernet".La complessità del fenomeno "Pinot grigio" richiederebbe pagine e pagine di analisi ma c'è un dato di fatto che è inconfutabile; ci troviamo di fronte a un vino di massa con ottime caratteristiche di eleganza e bevibilità derivante in primis dalla bassa acidità e dalla neutralità aromatica che si accompagnano bene alla cucina italiana e soprattutto è ben distinto dai vini bianchi del Nuovo mondo in quanto all'uso del legno. Questa varietà conosciuta in Trentino - Alto Adige anche con il nome di "Rülander" è stata introdotta nel dopoguerra in seguito agli interventi di miglioramento fondiario decisi dall'Ispettorato Agrario su alcune aree della Valle dell'Adige. Il "Pinot grigio" per la sua scarsa vigoria vegetativa ha trovato una zona ideale nei terreni di fondovalle caratterizzati da una buona profondità da assenza di scheletro da un ottimale contenuto di sostanza organica e in definitiva dotati di una fertilità generalmente buona o elevata. In un periodo in cui uno dei mercati più importanti per il Trentino - Alto Adige era la Svizzera si è deciso di piantare tali aree con questa varietà che forniva un vino rosato pallido che per la bassa acidità e per la morbidezza ben si adattava al taglio con rosati ottenuti da varietà molto più acide quali il "Teroldego" e il "Lagrein" (Kretzer). La vinificazione in bianco a quell'epoca non prevedeva l'illimpidimento preventivo del mosto che veniva fermentato torbido. Si otteneva un vino leggermente rosato non molto fruttato che ben si adattava al taglio con gli altri rosati. In seguito ai notevoli progressi compiuti dall'enologia nella vinificazione in bianco negli anni '70 grazie all'influenza delle tecnologie sviluppate nell'area tedesca in Trentino - Alto Adige si è cominciato a produrre vini bianchi raffinati nei profumi. Il "Pinot grigio" ha iniziato così quel percorso che lo ha portato a diventare uno dei più importante vino bianco italiano con i pregi di finezza dei profumi tipica dei vini bianchi tedeschi ma con una maggiore morbidezza al gusto grazie ad una acidità più contenuta. Il "Pinot grigio" ha un grande tallone d'Achille nella suscettibilità alla "Botrite" derivante principalmente dalla compatezza del grappolo. In questo senso per l'impianto dei primi vigneti negli anni '50-'60 si utilizzarono selezioni caratterizzate da grappoli molto piccoli che presentavano una resistenza alla "botrite" relativamente buona. Verso la fine degli anni '80 l'introduzione di selezioni molto produttive ha evidenziato ancora di più i problemi congeniti di questa varietà rendendo necessaria un'attenzione supplementare nell'esecuzione delle pratiche colturali. In questi ultimi anni sono state effettuate numerose sperimentazioni e osservazione sulla relazione intercorrente fra queste malattie e le caratteristiche dei cloni. In particolare si rivelano fondamentali gli interventi sul verde. L'eliminazione dei doppi germogli di quelli in soprannumero e soprattutto di quelli deboli (produttivi) consente di ottenere con facilità la correzione di anomalie vegeto - produttive anche a livello di singolo tralcio. Il mantenimento di condizioni microclimatiche ideali per foglie e grappoli attraverso opportuni interventi di sfogliatura aiuta a prevenire i problemi legati soprattutto alla "botrite" ed al "marciume acido". La tecnica di vinificazione per una varietà come il "Pinot grigio" va quindi tarata sull'andamento stagionale più che in qualsiasi altra varietà. La vinificazione inizia con la raccolta in quanto dalla sua buona esecuzione dipende direttamente il risultato della trasformazione. A tal proposito la raccolta manuale di questa varietà diventa una scelta irrinunciabile per produrre vini di qualità e soprattutto costante negli anni. La frequente presenza di marciumi e la scalarità di maturazione comportano l'esigenza di selezionare l'uva grappolo per grappolo. I mezzi messi a disposizione dalle biotecnologie specialmente nel caso della vinificazione in bianco permettono oggi di ottenere vini dignitosi anche da uve non perfettamente sane. Se molti anni fa dallo stato sanitario dell'uva dipendeva in misura direttamente proporzionale la salute del vino e in via definitiva la sua stessa esistenza al giorno d'oggi anche le uve colpite da un sensibile attacco di "botrite" si riesce a produrre un vino bianco senza difetti analitici ed organolettici apprezzabili. Ciò non significa che lo stato sanitario è ininfluente sulla qualità del prodotto; al contrario tanto maggiori sono i marciumi tanto più pesante dovrà essere l'intervento della tecnica enologica con un proporzionale depauperamento del prodotto. A dimostrazione del fatto che molto spesso le diversità che si riscontrano sui prodotti sono dovute a fattori estranei all'ambiente di produzione si riportano alcuni risultati relativi ad uno studio condotto sull'influenza di residui di rame sulla qualità dei prodotti. Questo principio attivo assieme allo zolfo alla base della difesa fitosanitaria in viticoltura biologica e considerato pertanto "innocuo" può produrre modificazioni nel corredo aromatico dei vini tali da snaturarne completamente le caratteristiche. Il ritorno al rame nella difesa fitosanitaria ha avuto il grande merito di ridurre l'impiego di fitofarmaci di sintesi ma un po' per la maggiore persistenza delle nuove formulazioni un po' perché si sono aumentati i dosaggi ci si è trovati con residui molto più elevati che in passato. In seguito all'osservazione che in alcune fermentazioni si aveva un anomalo sviluppo di acido acetico si è andato a verificare l'influenza dei residui di rame su tale fenomeno. Il risultato è stato che il rame da solo non spiega l'abnorme aumento di acidità volatile ma amplifica gli effetti della carenza nutrizionale di alcuni mosti non in fatto di "azoto prontamente disponibile" ma di microelementi fondamentali per la moltiplicazione steroli e acidi grassi in primo luogo. Il rame interviene probabilmente nella fase di moltiplicazione e in particolare nella sintesi degli acidi grassi di membrana interagendo con l'acetil-CoA. L'effetto negativo del rame dipende infatti dalla limpidezza del mosto e del ceppo di lievito più o meno sensibile. Verificato l'effetto negativo del rame specialmente nella vinificazione in bianco si è andati a rivedere completamente la strategia di difesa e dopo alcuni anni di sperimentazione utilizzando dosaggi ridotti di prodotti rameici si è riusciti a rientrare su livelli di rame residuo assolutamente accettabili. Uva intera pigiata o pigia di raspata? Una cosa è certa: anche se con le moderne presse pneumatiche del raspo si estrae molto poco quel poco non è quasi mai positivo per la qualità del prodotto se non altro perché in una varietà a grappolo molto compatto come il "Pinot grigio" nel raspo si accumulano molti più residui di fitofarmaci. In un'uva di buona sanità diventa quindi preferibile l'eliminazione del raspo prima della fase di pressatura. L'eccezione non tanto rara può essere rappresentata da uve colpite da "botrite" in cui la pressatura di uva intera o comunque in presenza del raspo e dei suoi tannini può fornire una prima difesa naturale contro gli effetti del pool enzimatico fungino. Nel momento in cui l'acino si rompe si ha liberazione degli enzimi endogeni che iniziano la loro attività. Quelle che maggiormente influiscono sulla composizione del mosto e quindi del vino che verrà ottenuto sono le attività enzimatiche che coinvolgono l'ossigeno: polifenol-ossidasi e lipo-ossigenasi in primo luogo. In un processo classico di vinificazione in bianco costituito da pigiadiraspatura pressatura e illimpidimento statico senza una gestione mirata dell'apporto di ossigeno ci si può ritrovare a lavorare in condizioni ossidative o riduttive al solo variare di fattori quali la temperatura dell'uva la temperatura del mosto la movimentazione del mosto ecc. Infatti con un'uva molto calda una fase di pressatura molto lunga una lavorazione del mosto che prevede molti spostamenti con esposizione all'aria si avrà un'intensa attività da parte degli enzimi ossidasici a meno di non ricorrere ad alte dosi di additivi antiossidanti. Al contrario con un'uva molto fredda una pressatura breve e una lavorazione del mosto con un limitato arricchimento di ossigeno ci si troverà a limitare moltissimo l'ossidazione del mosto. In definitiva senza una gestione dell'apporto di ossigeno si possono avere prodotti diversi a partire dalla stessa uva solamente in seguito a variazione della temperatura esterna. Diventa quindi importante gestire l'apporto di ossigeno in funzione della materia prima e del prodotto che si desidera ottenere. Gli effetti dell'ossidazione dei mosti sono:

  • - vini più stabili all'imbottigliamento ma più "poveri";
  • - demolizione di alcuni aromi primari dell'uva ma anche probabile produzione di precursori di aromi (norisoprenoidi) a partire dai carotenoidi;
  • - ossidazione degli antociani liberi e scomparsa della colorazione in varietà a basso contenuto di antociani come il "Pinot grigio";
  • - illimpidimento statico più facile per effetto della polimerizzazione polifenolica e conseguente interazione con le sostanze proteiche.

Gli effetti di una lavorazione delle uve in condizioni riduttive sono al contrario:

  • - vini più ricchi e complessi ma molto più vulnerabili alle ossidazioni (richiedono grandi attenzione nella lavorazioni a valle fino all'imbottigliamento);
  • - preservazione degli aromi primari ossidabili ma inibizione dell'attività di liberazione di precursori di aromi da parte delle lipossigenasi;
  • - mantenimento di un maggior contenuto di antociani e in alcuni casi di una colorazione leggermente rosata;
  • - inibizione della precipitazione di tannini e proteine e maggiori difficoltà di chiarificazione.
  • Per la realizzazione della vinificazione in condizioni ossidative o riduttive ci sono a disposizione vari mezzi:
  • - ossidazione: saturazione con ossigeno del mosto mediante candele porose flottazione filtrazione sottovuoto;
  • - protezione dall'ossigeno: ghiaccio secco sull'uva allo scarico e/o in pressa; acido ascorbico/anidride solforosa; flussaggio con gas inerte durante i travasi (N2 o CO2).

La temperatura gioca un ruolo determinante nell'efficacia dei trattamenti. Basse temperature aumentano la solubilità dell'ossigeno nel mosto ma riducono anche il consumo per diminuzione dell'attività degli enzimi ossidasici. Il secondo effetto è senza dubbio quello prevalente in condizioni normali; di conseguenza volendo evitare al massimo le ossidazioni senza ricorrere a particolari accorgimenti diventa fondamentale il corretto utilizzo del freddo. L'utilizzo della macerazione a freddo diventata ormai comune soprattutto per le varietà aromatiche è un'altra possibilità per caratterizzare il prodotto specialmente se lo scopo è quello di produrre un vino da affinamento. L'adozione della macerazione a freddo su una varietà come il "Pinot grigio" richiede particolare attenzione in seguito alla presenza seppur limitata di antociani. Requisito fondamentale più che in altre varietà diventa quindi un perfetto stato sanitario delle uve in modo da poter lavorare senza l'impiego di anidride solforosa che incrementerebbe l'estrazione del colore. E' inoltre estremamente importante il raffreddamento dell'uva o del pigiato immediatamente dopo la pigiatura per limitare le reazioni enzimatiche e rallentare la proliferazione della microflora indigena. La piccola estrazione di antociani che comunque si verifica non crea normalmente problemi in quanto a seguito della fermentazione alcolica si ha una quasi totale decolorazione per effetto di assorbimento sulla pareti cellulari dei lieviti. Per una varietà come il "Pinot grigio" dove non esiste un modello "canonico" di vinificazione è possibile adottare vari procedimenti per caratterizzare meglio il prodotto. L'importante è conoscere bene gli effetti delle tecnologie che si adottano in quanto la scelta di un determinato schema di vinificazione influenza la conduzione di tutte le fasi successive. Tale scelta non deve essere dettata solamente dagli effetti immediati che si hanno sul prodotto. In un mercato dove è sempre più importante fornire un vino con le caratteristiche costanti la possibilità di avere a disposizione vini che presentano curve evolutive differenziate costituisce un'arma in più nella mani dell'enologo. In tal senso la tecnica iperossidativa porta alla produzione di vini molto gradevoli fruttati puliti che nei primi mesi di vita li fanno nettamente preferire ai fini prodotti con tecniche più conservative quali la criomacerazione e la tecnica riduttiva che determinano un maggior contenuto in sostanze estrattive in particolare polifenoli che generano sensazioni di astringenza e amaro. La dimostrazione di questo si ricava analizzando il contenuto in sostanze polifenoliche dei vini ottenuti con le varie tecniche . La situazione si capovolge nel corso dell'affinamento specialmente se questo avviene in recipienti di legno. La maggior struttura polifenolica e colloidale nei vini prodotti per macerazione a freddo in condizioni riduttive permette una miglior protezione dall'invecchiamento precoce. La maggior estrazione di precursori di aromi nel momento in cui si indebolisce l'apporto dei componenti di origine fermentativa consente una maggior longevità aromatica dei prodotti. Si è passati da una prima fase in cui i lieviti servivano per avere una certa sicurezza sulla velocità e sul completamento della fermentazione a una seconda in cui la scelta del ceppo diventa fondamentale per la caratterizzazione del prodotto. Pur con un notevole aumento dei ceppi di lievito offerti dal mercato siamo comunque ancora lontani da quella che dovrebbe essere la terza fase: l'utilizzo dei ceppi selezionati direttamente dalle uve di quella zona e quindi adattati all'ambiente di produzione. Nella descrizione dei lieviti selezionati presenti