vigneto Friuli

Alle radici del Ramandolo
di Claudio Fabbro
 

                ““È tuttavia mio convincimento che il Verduzzo di Ramandolo sia un materiale ottimo e che studiatane bene la lavorazione enologica possa non solo aumentare la buona fama che ora gode; ma per quanto la crisi vinicola imperversi a lungo debba procurare al coltivatore uno smercio remunerativo.”

“A scrivere queste parole il 2 novembre 1908 era nientemeno che il grande ampelografo Girolamo Molon professore della Regia scuola superiore di agricoltura di Milano e presidente della giuria della I Annuale Esposizione - Fiera dei vini dell'Alto Friuli di Nimis. Le vergava di suo pugno in una lettera indirizzata agli organizzatori dell'esposizione rassicurandoli sulla bontà della materia prima di cui già allora disponevano gli agricoltori di qui.

“Ma a ben quindici anni prima risale un altro documento – che quindi precisa il Longo(1) oggi ha cent'anni – testimoniante non la nascita del vino Ramandolo come tale ma certamente la sua esistenza ormai consolidata.

“Alla II Fiera - Concorso dei vini friulani organizzata dalla Società agraria friulana a Udine dal 20 al 23 aprile 1893 fu consegnato un attestato di lode per un vino Ramandolo fuori concorso a Giovanni Comelli detto “Moro” appassionato vitivinicoltore di Torlano.


1985 - Antonio Comelli i Rapuzzi Ardinolfi Salvador e Fabbro

“Un vero vanto allora per lui e oggi per i suoi discendenti o almeno per quanti credono nella vite e nel vino... E dimostra quanto sia consolidata la consuetudine di chiamare questo vino ottenuto dalle uve di Verduzzo friulano con lo stesso nome geografico della zona di produzione: Ramandolo appunto piccola frazione di Nimis adagiata sulle pendici della Bernadia resa famosa proprio da questo nettare regalato da una vite coltivata con tanti sacrifici nei vigneti spesso strappati alla roccia della montagna ma le cui uve una volta spremute sanno dare un prodotto così buono e delicato che fa dimenticare tutte le fatiche.

“Di più: un vino di questa stoffa e di questa personalità può essere prodotto soltanto a Ramandolo e nelle colline circostanti di Cloz Sedilis Moric Coia.

“Nelle altre pur amene contrade dei Colli Orientali del Friuli sebbene vocate a una viticoltura finissima si produce un ottimo Verduzzo certamente ma che nulla ha a che vedere con questo di Ramandolo e zone contermini.”

“È sacrosanto pertanto – prosegue Longo(2) – il pronunciamento del Ministero dell'agricoltura del 18 giugno 1992 con il quale si è finalmente recepito dopo un lunghissimo iter che è dovuto passare anche attraverso la sentenza di un Tribunale amministrativo l'invocato diritto di usare il nome Ramandolo solo per il Verduzzo ottenuto in questa minuscola area dei Colli Orientali reprimendo imitazioni e sleali concorrenze fuori zona e istituendo di fatto il primo e unico cru del Friuli-Venezia Giulia. Soltanto qui infatti si può produrre presentare e porre in vendita un vino D.O.C. con il nome della località geografica vigilata dall'antica chiesetta anziché con quello della varietà di vite. E non è poco: pensiamo ai francesi che in fatto di promozione e di immagine non sono secondi a nessuno. La fortuna dei loro grandi vini è nata proprio con le piccole zone geografiche. E la parola cru è francese.

“Non si tratta dunque che di mettere in pratica quanto fatto da altri facendo leva sul nome sull'immagine e sulla qualità. Quest'ultima esiste già ma va migliorata al fine di dare al consumatore un prodotto il più possibile appagante e all'altezza del suo costo. Oggi in un periodo in cui il mercato del vino sta attraversando un momento di difficoltà non sottovalutabile – ma le crisi sono sempre state ricorrenti ce l'ha ricordato anche lo scritto d'inizio secolo del professor Molon – bisogna avere la certezza di porre in commercio un prodotto di sicuro pregio.

“Ovviamente il cammino da compiere è ancora lungo ma importanti indispensabili passi si sono già fatti. E uno di questi fondamentale è proprio quello della tutela del nome.”


Bepi Longo Sindaco di Nimis

“Correva infatti l'anno 1981 – ricorda ancora Longo(3) – quando la Cooperativa agricola di Ramandolo con l'appoggio dell'Amministrazione comunale di Nimis – ma non va sottaciuta la sensibilità subito dimostrata dalla Comunità montana Valli del Torre e dalla Regione – presentava al Ministero dell'agricoltura una richiesta di modifica del disciplinare di produzione dei Colli Orientali del Friuli al fine di eliminare le possibilità di confusione che il DPR istitutivo del 1970 conteneva circa l'uso del nome geografico Ramandolo per il vino ottenuto dal Verduzzo friulano. Purtroppo l'iter non fu dei più facili in quanto che i primi intoppi sorsero proprio a Nimis dove ci fu chi si lamentò che l'area proposta dai viticoltori di Ramandolo fosse discriminante per le altre zone pur vocate del territorio comunale. Da qui una “soluzione politica” con un allargamento eccessivo dell'area stessa che a sua volta faceva a pugni con la richiesta di un'altrettanto ristretta delimitazione comprendente soltanto pochi vigneti di Ramandolo. A complicare le cose si inserì poi un ricorso di un gruppo di viticoltori del Cividalese secondo i quali l'uso ormai consolidato del nome “Ramandolo” – da intendersi più come metodo di vinificazione che non come località geografica – doveva essere garantito anche a loro. Dopo diverse audizioni pubbliche a Cividale sede del Consorzio per la tutela dei vini D.O.C. Colli Orientali del Friuli (che a sua volta aveva chiesto talune modifiche al disciplinare riguardanti l'abolizione del termine “Ramandolo” che tanti equivoci aveva generato e tutt'altre questioni) e a Udine nonché sopralluoghi a Ramandolo e a Nimis si giunse alla pubblicazione del parere del Comitato nazionale per la tutela delle denominazioni di origine dei vini che in pratica recepiva tutte le richieste iniziali per la difesa del Verduzzo prodotto nell'area storica stabilendo peraltro che il vino doveva essere chiamato semplicemente “Ramandolo” senza alcun cenno alla varietà di vite.

“Ma la sorpresa e l'amarezza furono enormi quando fu finalmente pubblicato nel 1989 il DPR di modifica del disciplinare: si consentiva infatti l'uso del nome “Ramandolo” in tutti i Colli Orientali del Friuli riservando l'aggiunta della specificazione “Classico” a quello prodotto nella zona storico-tradizionale di Nimis e parte di Tarcento. Una decisione che probabilmente voleva essere salomonica ma che si scontrava con le legittime attese dei viticoltori locali i quali oltre a non vedersi tutelati intravedevano la possibilità di una grave confusione che avrebbe danneggiato non solo loro stessi ma anche i consumatori. Logica quindi la decisione di puntare i piedi e dire no presentando immediato ricorso al Tar del Lazio giovandosi di un efficace patrocinio legale. E il Tribunale amministrativo non ha esitato a dare ragione ai ricorrenti ravvisando infondata la decisione romana di allargare l'utilizzo del nome anche fuori della zona tradizionale. Da qui la nuova riscrittura del decreto questa volta ministeriale essendo nel frattempo subentrata la nuova legge sulle denominazioni di origine con il quale appunto nel giugno 1992 si è definitivamente riconosciuto che il Ramandolo può essere prodotto soltanto in un'area all'interno dei comuni di Nimis e di Tarcento. In questo modo si è istituito di fatto il già ricordato primo e unico cru della regione.”

                Ora riportiamo l'attenzione all'Annuale Esposizione - Fiera dei vini dell'Alto Friuli. Dagli atti(4) della II edizione nel 1909 è possibile rilevare una serie di interessanti indicazioni e valutazioni riguardanti il Ramandolo.

Si legge tra l'altro: “Diciamo subito che la Giuria si trovò molto soddisfatta dei vini bianchi in genere e in particolare di quelli appassiti che formano la specialità della regione di Nimis. Non che la Giuria abbia riscontrato questi vini scevri di difetti però questi erano superati e di gran lunga dalle buone qualità.

“Tre difetti d'indole generale ha constatato la Giuria nei campioni di vini bianchi: la mancanza di limpidezza l'eccessiva “agrezza” e il fondo dolciastro.

“La mancanza di limpidezza per tutti i vini ma in specialità per i bianchi è un difetto capitale. A parte la difficoltà di conservazione dei vini torbidi il colore fosco e la mancanza di brillantezza li rendono poco accetti ai consumatori. È dote principale di un vino bianco quella di essere perfettamente limpido e di avere quella brillantezza di colore che lo fa scintillare nel bicchiere. Ed è facile raggiungere questo limite di perfezione introducendo l'uso di buoni filtri.


Paolo Comelli Presidente consorzio DOGC

“L'eccessiva asprezza l'abbiamo già segnalata parlando dei vini rossi e crediamo dipenda dagli stessi fattori e sia rimediabile cogli stessi mezzi già da noi indicati a suo tempo.

“L'“agrezza” dei vini bianchi da noi esaminati dipende certo da eccesso di acido tartarico nonché da acido malico liberi i quali si trovano in quantità notevole nei vini bianchi prodotti col Verduzzo. Ci sono tre mezzi principali per togliere questa asprezza al vino bianco: l'aggiunta di carbonato di calce (polvere di marmo) o di tartrato neutro di potassa e il taglio con vini deficienti di acidità. Nel mentre il carbonato di calce se non è adoperato con prudenza può essere nocivo al colore al sapore al profumo del vino il tartrato neutro di potassa è poco raccomandabile dal lato economico. Resta quindi il taglio con uve di minore acidità. E questo taglio si può ottenere facilmente introducendo nei nuovi impianti varietà meno acide in aggiunta al Verduzzo nelle debite proporzioni però così da non togliere quelle qualità specifiche del vino di Ramandolo che lo rendono apprezzato dai consumatori. Sarà perciò necessario uno studio ponderato del problema e saranno più necessarie ancora numerose prove.

“Il fondo dolciastro del Ramandolo o meglio l'agro-dolce caratteristico di molti campioni crediamo provenga da una fermentazione mannitica cioè da una incompleta decomposizione dello zucchero in alcool acido carbonico ecc. E che il fatto avvenga nel modo da noi accennato ci sarebbe provato dall'odore acetico proprio di parecchi di questi vini che è l'odore caratteristico degli acidi volatili che si sviluppano con la fermentazione dell'acido acetico. E ci è ancora confermato dal fatto che questi vini non divengono mai limpidi e anche se filtrati tornano dopo poco tempo a intorbidare. Molti rimedi furono indicati per evitare questa malattia del vino ma tutti di esito poco soddisfacente. Noi crediamo che il maggior giovamento si possa avere da un prolungato arieggiamento della massa del mosto. Anche in questo caso giova l'aggiunta di uve a scarsa acidità.

“Quello che ci ha invece soddisfatto è stata la grande uniformità dei vini presentati i quali non si differenziavano se non per la maggiore o minor entità dei difetti enunciati e che dipendono in gran parte da deficienze nella lavorazione del vino. In conseguenza di ciò siamo naturalmente venuti alla conclusione che una Cantina sociale per la preparazione del Ramandolo sarebbe un avvenimento desiderabilissimo e che segnerebbe un grande progresso. Il vino bianco di Ramandolo ha tutti i requisiti per aver diritto a essere un apprezzatissimo vino da dessert e l'applicazione dei moderni sistemi di enologia l'introduzione di macchine e attrezzi moderni e appropriati lo metterebbe certo in prima linea fra gli altri vini bianchi da dessert italiani di gran nome. All'intraprendenza allo spirito di solidarietà all'intelligenza dei viticultori della regione allo zelo dei preposti al Circolo Agricolo di Tarcento presentiamo dunque il problema e consigliamo loro di studiarlo con ponderazione augurandoci che possano in breve risolverlo e attuarlo.

“Concludendo per i vini bianchi raccomandiamo:

  • “1° Incoraggiare la produzione di vini bianchi da dessert e come sotto prodotto di vini bianchi comuni da pasto;

  • “2° Migliorare la viticoltura introducendo va-rietà di uve bianche che diminuiscano l'asprezza caratteristica del Verduzzo che costituisce la base del vino Ramandolo;

  • “3° Migliorare la confezione tecnica dei vini coll'introduzione di sistemi e macchine enologiche moderni e possibilmente coll'impianto di una cantina sociale per ottenere la uniformità e la costanza dei tipi.”

In merito alla presentazione dei prodotti la Giuria nota che(5) “per quel che riguarda la disposizione dei banchi d'assaggio deve rilevarsi la scarsezza di buon gusto e la eccessiva uniformità per quanto l'Esposizione attuale rappresenti anche sotto questo aspetto un notevole progresso su quella del 1908.

Filari con rete antigrandine

“Anche per la confezione delle bottiglie dobbiamo constatare un sensibile miglioramento rispetto al passato pur trovando a ridire sulla eccessività dei fregi e contorni di talune etichette e sulla povertà delle capsule. Né si dica che queste sono superfluità e che quando il vino è buono è buono; esso è più apprezzato però se presentato bene. Anzi ci si passi il paradosso anche un vino mediocre se ben presentato può parer buono. E siccome l'essere molto spesso sta nel parere e per di più siccome oltre alla bocca anche gli occhi vogliono la loro parte così un'elegante presentazione del vino ha uno straordinario interesse principalmente dal lato commerciale. Insistiamo perciò presso i produttori di Nimis perché facciano meglio molto meglio in questo campo e consigliamo il massimo rigore nella compilazione del futuro programma.”

                Tornando alla Mostra sopra citata(6 ) del 1893 dalla relazione possiamo togliere alcune interessanti note illustrative riguardanti il Verduzzo: “ ... Quest'uva bianca che entra come principale nel vino di Ramandolo e nei migliori bianchi di Gemona e si coltiva sui colli di Rosazzo e Brazzacco di qua e di là del Tagliamento all'alta e alla bassa e da per tutto presenta un prodotto abbondante e costante; è poco soggetta alla crittogama riesce in ogni terreno e dà vino ottimo; quest'uva ad unanimità di voti venne ritenuta degna del primo posto fra le bianche nostrane e fra tutte raccomandabilissima.

“A Ramandolo si distinguono tre varietà: a grappolo serrato verde; a grappolo serrato giallo; a grappolo lasso. Deve darsi la preferenza alle due varietà a grappolo serrato che hanno l'uva dolcissima e offrono più abbondante prodotto.”

                Risale al 1934 un prezioso documento pubblicato in “L'Agricoltura Friulana” (n° 51 22 dicembre 1934 - XIII E.F.) del dott. Gaetano Perusini(7)  che così esordisce: “Non c'è chi non conosca in Friuli il vino di Ramandolo; esso però pur essendo citato dal Marescalchi nella sua opera sui vini tipici italiani non ha finora attirato come meritava l'attenzione degli enologi e dei viticultori.

“I pochi scritti che ne parlano riportano numerose inesattezze. La principale di queste inesattezze riguarda la zona di origine di questo vino poiché a mio avviso il nome di Ramandolo va dato esclusivamente al vino ottenuto dal Verduzzo vinificato con metodi particolari e raccolto intorno al paese di Ramandolo a un'altitudine variabile fra i 250 e i 370 metri su di una ripida costa che beneficia in egual misura delle favorevoli condizioni di ambiente e terreno. Questa costa infatti è riparata dai venti freddi dalle rocce del monte Bernadia che si alzano quasi a picco sopra il paese inoltre queste rocce riflettono fortemente i raggi solari e vi mantengono una temperatura leggermente superiore a quella dei paesi contermini.

“Il terreno appartiene a formazioni eoceniche e secondo il Marinelli (O. Marinelli Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento Firenze Carnesecchi 1902 pag. 55 e seg.) alla zona eocenica inferiore prevalentemente calcarea; inoltre la sua composizione superiore è modificata dalle numerose frane precipitate dai sovrastanti calcari del monte Bernadia che danno così origine a un soprasuolo che non troviamo in nessun'altra parte del Friuli.

“È difficile stabilire con precisione l'ampiezza della zona di produzione: però nei lavori di qualificazione e di classificazione per il nuovo catasto il perito Riva ha calcolato che il Ramandolo è raccolto su 15-16 ettari con una produzione complessiva di 1200 ettolitri. Questi dati non si riferiscono esclusivamente al vero Ramandolo essendo compresi nel computo terreni investiti a vitigni di uva nera il cui prodotto va in commercio col solo nome del vitigno.

“Il vero Ramandolo è ottenuto esclusivamente dal Verduzzo del quale in questa zona si distinguono tre varietà: 1) gialla a grappolo piccolo serrato detta ross; 2) a grappolo semispargolo detto ras'cie; 3) ordinaria detta vert. (La sottovarietà detta ras'cie non consta sia bene definita. Per ciò che concerne il Verduzzo giallo possiamo aggiungere che esso si differenzia dal “verde” per alcuni caratteri ampelografici ben definiti non ultimo tra i quali la colorazione del cappuccio fiorale che è bruno-grigia nel giallo e verde intenso nel verde.) La prima è la migliore ma dà scarso prodotto la seconda e ancor più la terza sono meno delicate e danno un prodotto assai più abbondante ma molto meno fine. Ritengo inutile dare la descrizione particolareggiata del Verduzzo dopo quanto è già stato scritto in materia; sarebbe però opportuno che il Consorzio Provinciale per la Viticoltura promuovesse uno studio comparativo fra tutte e tre le varietà anche dal punto di vista economico stabilendo definitivamente quale sia la più consigliabile.”

                Prosegue Perusini(8) : “La fillossera apparsa qui una trentina d'anni fa in poco tempo distrusse la maggior parte dei vigneti esistenti imponendo in pieno il problema della ricostituzione viticola. Il lavoro è lungo e per quanto sia stato intrapreso con molta alacrità la superficie vitata è lungi dall'aver raggiunto la consistenza dell'anteguerra.

“Nei vecchi impianti si usarono barbatelle di Rupestris du Lot e di Riparia x Rupestris 3309: sono però da preferire il Kober 5 BB e la Berlandieri x Riparia 420 A che hanno mostrato maggior adattamento al terreno e maggior affinità col Verduzzo.

“Il terreno è sistemato a terrazze sostenute da scarpate o da muri a secco la cui larghezza varia a seconda della maggiore o minore pendenza del terreno e in media si aggira sui tre metri. Sull'orlo esterno di ciascuna terrazza è sistemato un filare di viti la cui impalcatura è costituita da pali normalmente ogni tre metri e da sostegni vivi gelsi o piante da frutto in genere ciliegi.

“Lo scasso generalmente si fa a fosse profonde metri 1-1 5 e per la concimazione d'impianto si usa quasi esclusivamente letame.

“Come abbiamo detto gli impianti si fanno quasi esclusivamente con barbatelle selvatiche che vengono innestate dopo un anno.

“La potatura è del tipo più diffuso in Friuli con qualche caratteristica variante. È riferibile alla Guyot e più precisamente al tipo detto a capovolto.

“All'epoca della potatura fine febbraio - primi di marzo il vigneto viene vangato e concimato.

“Negli interfilari più larghi si coltiva frumento segala trifoglio erba medica; negli altri piselli fagioli nani cavoli; spesso specialmente dove c'è pericolo di smottamenti il terreno viene lasciato completamente incolto.

“La vendemmia avviene dal 15 al 30 di ottobre a seconda del decorso più o meno favorevole della stagione. L'uva appena raccolta viene curata quindi deposta su graticci dove rimane 8-10 giorni: in seguito si diraspa e si pigia in assenza dei raspi. Durante l'inverno il mosto subisce due travasi dando un vino caratteristico dolce liquoroso limpido giallo ambrato profumato di corpo leggermente tannico. Da un quintale di uva fresca si ricavano circa 50 litri di vino e da un ettaro di buon vigneto 100 ettolitri di vino con una media di 80-85 ettolitri per ettaro.

“L'anno passato (1933 n.d.r.) il prezzo del vino si aggirò sulle 3 lire nella cantina del produttore; prezzo assai alto se si considera che nelle zone contermini Verduzzo vinificato con gli stessi metodi spunta prezzi inferiori di una lira ed anche più.

“Nella zona sono coltivati anche vitigni ad uva nera: principalmente Refosco dal peduncolo rosso e Merlot; la loro importanza è però del tutto secondaria; pur dando un buon prodotto e produzione più abbondante del Verduzzo ne è assolutamente sconsigliabile la diffusione. La minore produttività del Verduzzo è oggigiorno ampiamente compensata dal suo più alto prezzo; inoltre esso dà a differenza dei vitigni neri un vino tipico assai ricercato e di facile smercio in Friuli.

“Per quanto il Ramandolo non sia possibile farlo rientrare in nessuna delle comuni categorie di vini esso infatti non è un vin santo quale comunemente si intende e tanto meno un vino da pasto: ha pregi e caratteristiche tali da farlo ritenere un vero vino tipico.

“Da quanto ho detto appare chiaro che per località d'origine vitigno metodi di vinificazione prodotto esso risponde perfettamente ai requisiti voluti dalla vigente legislazione sui vini tipici; il R.D. Legge 11 gennaio 1930 n° 62 art. 2 stabilisce infatti “sono considerati vini tipici i vini genuini prodotti in un paese zona o regione... i quali posseggano caratteri organolettici particolari chiaramente definibili e costanti derivanti essenzialmente dal vitigno e dal metodo di vinificazione” ed ancor più chiaramente il testo definitivo approvato con Legge 10 luglio 1930 n° 1164 art. 2: “sono considerati vini tipici i vini genuini pregevoli... i quali avendo origine accertata per la località di produzione abbiano caratteri organolettici costanti e tali da conferire loro particolare finezza e bontà”. Concetti con ancor più precisione specificati nel regolamento approvato con il R.D. 10-11-1930 n° 1836 art. 1: “I vini tipici si distinguono in vini speciali vini superiori e vini fini... Sono considerati vini superiori quelli che hanno speciali caratteristiche tipiche costanti e che hanno acquistato particolare pregio in seguito all'invecchiamento naturale... Sono considerati vini fini quelli che pur non avendo il pregio dei vini superiori hanno caratteristiche costanti tali da renderli meritevoli di tutela”. (Che il Ramandolo possa piacere ad una categoria di consumatori è cosa indiscutibile; che possa essere desiderabile una tutela sono d'accordo. Devesi però riconoscere che così come è il vino dal lato enologico lascia molto a desiderare; un perfezionamento tecnico che attenui l'insanabile contrasto tra la tannicità eccessiva e la ricchezza in glucosio e lo avvicini ai tipi liquorosi sarebbe veramente utile.)

“È indiscutibile che il Ramandolo rientra in quest'ultima categoria; unico appunto che può farsi è la limitata ampiezza del territorio di produzione; per dissipare ogni dubbio in proposito basterà però ricordare come in Francia assai numerosi sono i vini legalmente protetti raccolti su superfici inferiori alla nostra; per non dilungarci citeremo solo il “Montrachet” da molti ritenuto il miglior vino bianco di Francia prodotto su 7 ettari e 50 are delimitate legalmente nel 1920. Resta a vedere se pur avendo il Ramandolo tutti i requisiti per essere dichiarato vino tipico sia economicamente conveniente la costituzione di un consorzio di difesa.

“Certamente assai gravoso riuscirebbe per i produttori tutti piccoli proprietari il pagamento del contributo necessario al funzionamento del consorzio; in compenso però essi vedrebbero difeso il loro prodotto da volgari falsificazioni a base di vini scadenti malamente zuccherati e anche dalla produzione delle zone limitrofe che acquistata da commercianti poco onesti troppo spesso passa come “autentico Ramandolo”. Le difficoltà finanziarie sarebbero eliminate qualora in Friuli sorgesse un consorzio provinciale per la difesa dei vini migliori con la suddivisione delle spese generali fra un gran numero di interessati e l'adozione dei sottomarchi previsti dalla legge si otterrebbe la protezione della produzione genuina con una spesa relativamente modica.”

Come vedremo in seguito i viticoltori di Ramandolo o più in generale di Nimis e Tarcento seppero far tesoro delle preziose osservazioni del Perusini considerato giustamente uno dei padri storici del Vigneto Friuli.

                Nel 1939 venne dato alle stampe l'Atlante ampelografico curato dal dott. Guido Poggi Capo dell'Ispettorato agrario provinciale dell'agricoltura di Udine il quale rifacendosi al Verduzzo distinse le varietà in giallo e verde(9).

Il lavoro del Poggi venne ripreso e approfondito nel 1982 dall'enologo Piero Pittaro imprenditore privato di rilevante interesse pubblico (fu tra l'altro presidente regionale nazionale e mondiale dell'Associazione enologi - enotecnici del Centro regionale vitivinicolo e dell'Istituto sperimentale per l'enologia di Asti) che nelle pieghe di un impegno professionale non comune trovò anche il momento per scrivere a più riprese a vari e sempre elevati livelli del suo amato Vigneto Friuli. Egli preferì distinguere il vitigno Verduzzo in trevigiano e friulano descrivendoli come segue(10): “Mentre per il Verduzzo friulano si hanno notizie abbastanza precise sul Verduzzo trevigiano non si hanno dati circa l'origine. I due vitigni comunque non sono confondibili avendo caratteristiche molto diverse. Sembra che il Verduzzo trevigiano sia originario dalla Sardegna. In provincia di Treviso sulla riva sinistra del Piave si sarebbe diffuso ai primi di questo secolo. Attualmente lo troviamo in tutta la provincia di Treviso ma particolarmente nella zona di Motta di Livenza Oderzo e riva sinistra del Piave. Colore giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli. Leggermente tannico di corpo snello nervoso e asciutto ha profumo fruttato anche se poco caratteristico. Viene vinificato sia in purezza sia in uvaggio per la preparazione dei vini bianchi da pasto del Piave.

“Il Verduzzo friulano è come il Refosco un vitigno indigeno del Friuli. Certamente antichissimo e molto diffuso un tempo lo troviamo descritto dall'Acerbi nel suo Viti friulane ne' contorni di Udine. Esistono due varietà di Verduzzo o meglio due cloni principali: il Verduzzo verde e il Verduzzo giallo o di Ramandolo. Il Verduzzo verde è maggiormente coltivato in pianura e dà un vino secco mentre il giallo coltivato in collina nelle zone di Ramandolo Nimis Faedis Torlano dà un vino amabile da dessert.

“Il Verduzzo è diffuso un po' in tutto il territorio friulano dove è coltivato sia in pianura che in collina. C'è però la tendenza all'aumento degli impianti in collina perché i risultati qualitativi sono decisamente migliori.

“Dobbiamo qui distinguere il vino prodotto dalle due uve: gialla e verde. Il Verduzzo giallo detto anche di Ramandolo perché coltivato con i migliori risultati in una piccola conca collinare dà un vino color oro leggermente tannico di corpo amabile con profumo di acacia e sapore di miele equilibrato e piacevole.

“Il Verduzzo verde dà un vino secco citrino di color giallo con trasparenza verdognola. Profumo ampio e fresco con bouquet che ricorda molto la mela la pera la pesca-noce l'albicocca. Sono vini da bersi giovani perché fruttato è il loro maggior pregio.”

                Il decreto presidenziale n° 930/63 (DPR 12-7-1963) emanato al fine di disciplinare e tutelare la tipologia dei vini D.O.C. trovò in Friuli - Venezia Giulia terreno fertile e disponibile a rivedere le proprie strategie puntando decisamente alla qualità. Il 20.7.1970 venne emanato il decreto di riconoscimento della D.O.C. dei vini dei Colli Orientali del Friuli in cui tra gli altri venne giustamente inserito il vitigno Verduzzo (friulano) per esso prevedendo (art. 6) le seguenti caratteristiche all'atto dell'immissione al consumo: colore giallo dorato odore vinoso e caratteristico di fruttato particolarmente nel tipo dolce (Ramandolo) sempre asciutto oppure amabile-dolce fruttato di corpo lievemente tannico gradazione alcolica minima complessiva 12° acidità totale minima 5 per mille estratto secco netto minimo 17 per mille.

Come vedremo in seguito la possibilità d'utilizzare la specificazione Ramandolo nell'intero territorio collinare della provincia di Udine incontrò una comprensibile e crescente insoddisfazione fra i produttori dell'area omonima poco propensi a cederne il nome d'origine a favore di un “metodo di vinificazione”.

                A occuparsi fra i primi del Ramandolo nel giornalismo di settore che all'epoca faceva eccezionale opinione fu il mai dimenticato Isi Benini11 creatore e direttore della rivista “Il Vino” che divenne un punto di riferimento pun-tuale e importante per il mondo vitivinicolo regionale. Benini seppe coglierne le ansie e le aspettative contribuendo ad amplificarne il pensiero a vari livelli anche istituzionali. Collaboratore di “Il Vino” e penna particolarmente graffiante e documentata sulle vicende del Ramandolo era – allora come ora – il giornalista sommelier e wine maker Walter Filiputti cui si deve un editoriale forte che contribuì un poco a scaldare animi già in fermento da tempo.

Non fu tenero nell'occasione il Filiputti che colse reali o presunte responsabilità di Enti e Associazioni varie stimolando la revisione di quel disciplinare che dopo sette anni palesava primi e significativi aspetti d'ossidazione.

“Quando questo fascicolo sarà in edicola l'Assessorato all'Agricoltura il Consorzio dei Colli Orientali e il Centro regionale per la vitivinicoltura avranno già ricevuto la seguente lettera – così esordì il Filiputti(12)  –: “Noi sottoscritti vignaioli di Ramandolo (Nimis) visto l'art. 6 del disciplinare dei Colli Orientali del Friuli alla voce Verduzzo e constatato che per tipo dolce si intende Ramandolo; che il nome e la fama di Ramandolo sono meriti solo ed unicamente dei produttori di tale frazione; constatato anche che tale denominazione di località viene usata da produttori che nulla hanno a che fare con Ramandolo; constatato ancora come la speculazione commerciale abbia sfruttato e sfrutti tale nome attraverso prodotti che ne declassano la fama in base a tutto ciò chiediamo a tale organo competente di adoperarsi affinché la dizione ‘Ramandolo' possa essere usata solo per il Verduzzo prodotto in tale località. Località che ha per confini guardando la collina da Nimis: la centrale a destra e da qui con una linea immaginaria che passa sopra la chiesetta fino al bivio per Tarcento-Sedilis segnato da una colonna di pietra bianca. E la collina di fronte disposta ad anfiteatro che guarda verso la chiesa. Aggiungiamo che il Ramandolo lo si ottiene solo da vigne in collina. Firmato: i produttori in Ramandolo. In data 6 novembre 1977”.

“Devi sapere – proseguì Filiputti(13)  – che Ramandolo è località collinare in comune di Nimis ove si produce in maggioranza Verduzzo. Bene. Tale vino si ottiene come spesso da queste parti dopo lungo e attento appassimento delle uve che ciò permettono con facilità. E dato anche il microclima altezza dai 300 ai 400 metri e la posizione perfettamente a mezzodì della riviera – così qui chiamano il costone – ne esce un vino splendido e personalissimo. Dal colore oro netto che poi va con l'invecchiamento verso sfumature ambrate si presenta al profumo su toni precisi e consistenti dove cogli pesca e albicocca mature e con insistenza la mela. Dolce non dolce al palato mantiene precisa persistenza aromatica a chiudere in grande equilibrio asciutto e invitante. E tale vino – anche per fattori esterni alla sua alta qualità il panorama che dal piazzale della chiesetta godi e la chiesetta stessa ora rabberciata per il terremoto – è diventato famoso. E il disciplinare dei Colli Orientali del Friuli nella cui zona è compreso Ramandolo ammette la coltivazione del Verduzzo friulano. Bene. All'articolo 6 descrivendo le caratteristiche di ogni vino ammesso recita per il Verduzzo: “colore: giallo oro; odore: vinoso e caratteristico di fruttato particolarmente nel tipo dolce (Ramandolo); sapore: asciutto oppure amabile-dolce fruttato di corpo lievemente tannico”. Rileggi quanto relativo all'odore e scopri che si cita Ramandolo denominazione precisa di località per definire il Verduzzo dolce. E hai che puoi chiamare Verduzzo Ramandolo tutto il Verduzzo dolce prodotto sui Colli Orientali del Friuli da Nimis a Cividale da Ipplis a Manzano e Buttrio. Come puntualmente avviene.

“I vignaioli di Ramandolo che producono sì e no 30 ettolitri-ettaro vendono tale vino a mille lire il litro. Hanno dovuto costituirsi in cooperativa che ora gestisce l'osteria accanto la chiesetta a garantire il proprio vino. Mentre hai che altrove sempre in collina ma con produzioni che rasentano gli 80 ettolitri/ha (110 q.li uva/ha) si vende da mille lire la bottiglia in poi. Il mercato zeppo di Verduzzi di Ramandolo inflaziona il nome e ne fa abbassare il prezzo. Di peggio: spesso in nome di tale cru eccelso si vendono autentiche porcherie che hanno portato agli attuali risultati. Se vogliamo che i massimi cru abbiano a esistere si faccia in modo che chi vi lavora tragga giusto guadagno. La collina e chi vi abita non ha alternative: o vigna o andarsene. Come fare allora. Ve lo dico. Sono salito a Ramandolo e ho parlato con molti vignaioli. Gli ho spiegato la situazione. Ho loro chiesto quanto Verduzzo si produca a Ramandolo: non più di settecento ettolitri. E da qui la lettera citata. Con essi ho percorso i confini del cru.

“E oltre tali confini il Verduzzo non è più... Ramandolo. Sia ben chiaro: non sto dicendo gli altri essere Verduzzi migliori o peggiori. No: dico solo che non sono di Ramandolo. Ma la legge offre una puntuale scappatoia a confondere le carte. Puoi usare il di Ramandolo solo se il vino proviene da vigne sopra descritte: in quanto si fa riferimento a indicazione geografica. Quindi il gioco si fa su quella di: se c'è significa prodotto da uve Ramandolo altrimenti può essere prodotto su tutti i Colli Orientali purché dolce. Ora le cose si debbono chiarire. Per i produttori e per i consumatori. Ammesso e non concesso che la colpa sia dei vignaioli ora tali vignaioli esprimono una precisa richiesta: difendere in maniera esatta il loro vino. Chiedono agli organi competenti di far sì che Ramandolo con o senza di sia usato solo da loro.”

Conclude Filiputti(14): “E viene proprio da Cividale città simbolo dei Colli Orientali. In tale centro fin dal 1661 si emanarono Capitoli a difendere i vini locali da introduzioni di vini da zone più scadenti. Constatato che nonostante tali leggi – i Capitoli – i “tagli” dei vini locali continuavano in data 9 luglio 1771 si decide – e ti trascrivo testuale – “di divenire alla creazione di tre Magnifici Signori Deputati due Nobili ed uno Popolare e di demandare alli medesimi la facoltà di stabilire quanto credessero essere di necessità in vista de' presenti pregiudizi in consonanza però sempre ed esecuzione delli sopra decretati Capitoli e di levare qualunque equivoco degli attestati che devono rassegnare li Proprietari delli Vini per assicurare essere li medesimi di loro ragione e fatti sopra li loro propri beni... Restano a tale oggetto per la inviolabile osservanza delli medesimi qui sotto registrate le Formule degli attestati delli Vini tutti che dagli Osti della Città e territorio dovranno essere prima di metter a spina cadauna Botte di Vino rassegnati alli Giurati respettivi a' quali incombe la vigilanza per la esecuzione de' Capitoli sopradetti e per tener lontana ogni machinata contrafazione delli medesimi le quali formule sono state da Noi qui sottoscritti concepite” e ti cito una formula: “Attesto io sottoscritto con mio Giuramento che tutto il vino contenuto nella Botte in oggi consegnata a N. N. Osto di questa Città o Territorio è di mia particolare ragione e tutto raccolto sopra li miei propri Beni in Fede...”.

Già allora i contraffattori dei cru migliori esistevano. E si ricorreva ai ripari. Come occorre fare oggi.”

                L'11 ottobre 1982 il Comune di Nimis approvò un ordine del giorno sulla situazione vitivinicola locale. In particolare il Consiglio comunale(15)  “ ... esaminata la situazione vitivinicola locale con particolare riferimento alla realtà produttiva e alle prospettive di sviluppo del settore; accertata l'alta vocazione viticola del territorio comunale e in particolare delle zone collinari; considerate le ottime caratteristiche qualitative dei prodotti ottenibili in zona date anche le limitate rese unitarie e di trasformazione; considerata l'alta tipicità dei prodotti particolarmente accentuata nel vino Ramandolo ottenuto con uve di Verduzzo friulano nei vigneti dell'omonima frazione e delle zone collinari contermini; constatati gli elevatissimi costi imposti dalla ricerca qualitativa e dalla particolare configurazione geografica e geologica dei vigneti; considerata la tradizionalità della coltura della vite e la sua importanza primaria per l'economia locale; rileva l'uso illecito e indiscriminato del nome Ramandolo per vini di dubbia provenienza e di incerta qualità che danneggia gli interessi dei viticoltori della zona e compromette commercialmente un'immagine di serietà e tipicità consolidata da una dedizione secolare alla coltura della vite e alla produzione del vino Ramandolo; rileva inoltre che le norme contenute nel disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata Colli Orientali del Friuli nella zona in cui è incluso il Comune di Nimis sono insufficienti per tutelare e rimarcare la tipicità del vino Ramandolo prestandosi altresì a facili interpretazioni che non salvaguardano il consumatore e che danneggiano il produttore; fa voti affinché si adottino quelle iniziative ritenute idonee alla tutela della tipicità e delle caratteristiche organolettiche del vino Ramandolo con l'individuazione dell'area più vocata alla sua produzione all'interno della zona D.O.C. dei Colli Orientali del Friuli e dei caratteri di tipicità al fine di specificare e rafforzare la sua immagine sul mercato e di difendere il reddito dei viticoltori e quindi l'economia della zona”.

                Il 22-11-1982 la Cooperativa agricola “Ramandolo” s.c.a.r.l. di Nimis – a firma del Presidente Dario Coos – avanzò formale richiesta al Ministero dell'Agricoltura e Foreste – tramite l'Assessorato all'agricoltura di Udine – di modifica e integrazione del disciplinare di produzione dei vini D.O.C. “Colli Orientali del Friuli” al fine di maggiormente tutelare e qualificare la produzione e il commercio del vino “Ramandolo”.

L'iter dell'istanza ebbe una procedura particolarmente articolata e complessa caratterizzata da un'infinita serie di riunioni incontri tecnici ulteriori richieste controdeduzioni sopralluoghi ecc.

I produttori di Ramandolo anche per rafforzare giuridicamente la propria posizione si riunirono in omonimo Consorzio nel 1988 affidandone la presidenza al citato Dario Coos.

Il disciplinare modificato nel 1989 introdusse nella generale sorpresa dei più una nuova e “originale” denominazione: “Ramandolo Classico” (a valere per la ristretta area di Nimis e Tarcento) e “Ramandolo” (per l'intera zona dei Colli Orientali).

Tale soluzione probabilmente ritenuta “salomonica” riaccese comprensibilmente gli animi e il ricorso al T.A.R. del Lazio ne fu logica conseguenza.

Così come il decreto di ulteriore (e definitiva) modifica del già modificato disciplinare fu nel 1992 un atto dovuto ai produttori di Raman-dolo che da allora pensarono bene di dedicare tutte le proprie energie non più a un logorante contenzioso giuridico-amministrativo bensì alla sola valorizzazione del proprio vino e del proprio territorio.

Per affrancare il Ramandolo dall'originaria sudditanza al Verduzzo (DPR 20-7-1970) e intraprendere un percorso nuovo e autonomo ci sono voluti ben 22 anni.

                L'accelerazione impressa dal Consorzio in questi ultimi cinque anni è evidente e il nuovo corso saprà senz'altro dare una svolta positiva in termini socio-economici in tutto il territorio.

L'obiettivo 5B ha trovato in Nimis un terreno fertile aprendo anche nei meno giovani idee e prospettive nuove per un ragionamento in chiave comunitaria. Le azioni più incisive già si notano nella riconversione delle vigne dissodate in cui rispettando le caratteristiche ambientali si cerca di sperimentare nuove forme di allevamento più consone ai nuovi colori di Verduzzo (“giallo” alias “Ramandolo”) destinati alla bottiglia di classe.

Tutto ciò rientra in una filosofia più generale legata al recente ottenimento della D.O.C.G. che ha tra l'altro comportato una serie di convegni ad alto livello sulle procedure amministrative (Niederbacher et al. 1998) ma anche tecniche (Di Stefano et al. 1999) per la realizzazione e la  produzione dei grandi passiti.

Con frequenti viaggi di studio i vignaioli locali hanno toccato con mano realtà nazionali ed estere famose per tale tipologia maturando progressivamente la decisione di realizzare un aggiornato Centro di appassimento la società cooperativa Ca' del Torre che corona oggi lo sforzo sin qui intrapreso.

                Le vicende del Ramandolo – per quanto traspare dagli scritti che si è ritenuto consultare e citare in questo lavoro e che rappresentano una minima parte di quanto è stato detto e annotato in un secolo d'osservazione – sono intimamente legate a quelle del “Vigneto Friuli”.

Quando oggi si parla del Friuli è impossibile non collegare il nome a quello di un grande vino bianco; quando si vuol scendere nello specifico passando cioè a un approfondimento delle tipo-logie “speciali” (amabili dolci passiti ecc.) il pensiero corre automaticamente al Picolit e al Ramandolo.

Tuttavia se al primo viene riconosciuto il ruolo storico di “vino dei re” al secondo si guarda con orgoglio quale capofila di una filosofia nuova e importante che tende sempre di più a legare il vino (e non il vitigno!) al territorio. Il Ramandolo è il primo vino D.O.C. e ora D.O.C.G. friulano che si identifica con l'area di produzione e non con un metodo di lavorazione o una varietà di vite.

Sembrano concetti elementari eppure il percorso non è stato dei più semplici sviluppandosi nelle vigne e nelle cantine negli uffici regionali e nei ministeri nelle osterie e nei tribunali.

Se il Ramandolo non aveva segreti per il contadino e l'oste friulano in questi ultimi venti anni hanno imparato a conoscerlo il giornalista e il magistrato l'enologo e l'uomo della strada. La carta bollata più che il ragionamento è servita a riportare dignità nelle colline di Ramandolo e dintorni e il vignaiolo di queste parti poco incline al protagonismo e all'esternazione per difendere il suo vino ha dovuto e saputo mostrare i muscoli.

Eppure per scrollarsi di dosso l'aggancio al Verduzzo il Ramandolo ha dovuto sudare parecchio. Rileggendo le note tecniche del prof. Gaetano Perusini ma anche gli atti delle esposizioni quasi sempre predomina il riferimento al Verduzzo (friulano e non); lo stesso Benini pur “pensando” Ramandolo scriveva Verduzzo. E parliamo di un giornalista serio e impegnato in una crociata “a vita” contro i “falsi osti”.

Il motivo va ricercato nell'impostazione originaria del “Vigneto Friuli” che nel suo primo approccio alle denominazioni di origine conseguente all'emanazione del DPR 930/63 (legge sulle D.O.C. appunto) riconobbe al vitigno (prima ancora che al territorio alle sottozone ai crùs) un ruolo dominante sposando una scelta più di tipo “tedesco” che “francese”.

Già il Filiputti nel suo contributo del 1977 che – in parte – si riporta in questo lavoro ribalta il modo di intendere la viticoltura e accentua il peso del terroir e dell'uomo rispetto a quello del vitigno e del clone.

Una nuova generazione di viticoltori riprese negli anni '80 un discorso controcorrente e diverso in termini di elevazione della terra d'origine ricercando nelle proprie radici le peculiarità e rifiutando l'omologazione. A Ramandolo tale spirito fu probabilmente più forte che altrove e i giovani produttori trovarono nell'ente pubblico locale (comune comunità montana) e regionale un interlocutore disponibile e convinto tanto da costituire insieme una “forza d'urto” che nel tempo ripagò gli sforzi compiuti.

Bussava intanto alle porte una nuova legge sulle D.O.C. (Legge 164/92) che avrebbe rafforzato i concetti di qualità e origine ponendo al vertice la vigna e la sottozona. Se il nome era stato salvato in extremis bisognava ora riprendere per mano la riconversione delle vigne obsolete le tecniche agronomiche ed enologiche la ricerca di immagine e di marketing.

Osservatore attento e garante dell'evoluzione armonica fra passato e futuro del Ramandolo fu l'enologo Orfeo Salvador che si era appassionato alquanto alle vicende del territorio grazie anche alla frequentazione di un grande personaggio l'avvocato Antonio Comelli.

L'insigne uomo politico non aveva mai dimenticato le sue radici rurali in quel di Nimis ricordandosene sia quale primo assessore regionale all'agricoltura sia quale presidente della giunta regionale in seguito.

A Salvador fu affidata la presidenza dell'allora Centro regionale per il potenziamento della viticoltura (poi Centro regionale vitivinicolo presidente Piero Pittaro) e in tale veste egli fu vicino a Comelli che volle fortemente (legge 29-67 sulle colture pregiate) il rilancio della viticoltura collinare altrimenti destinata all'abbandono causa l'esodo fisiologico di tante forze giovani attratte dal miraggio dell'industria e del “triangolo della sedia”.

Salvador guardò al Ramandolo con quel rispetto e quelle motivazioni che il “grande Maestro” aveva più volte rappresentato e di tale esperienza fece tesoro anche quale presidente della “Commissione Friuli” in seno al Comitato nazionale vini D.O.C.; sopralluoghi e pubbliche audizioni lo videro sempre in prima linea anche per limare incomprensioni e aggressività (verbali s'intende) fra contrapposte correnti di pensiero.

Fu sempre Salvador a proporre quei corretti collegamenti fra consorzio enti e studi professionali chiamati a gestire la fase più delicata del rilancio territoriale in applicazione al cosiddetto “Progetto 5B” strumento comunitario destinato a segnare – in positivo – le fortune della zona.

Un consorzio giovane rinnovato e dinamico seppe cogliere al volo alla metà degli anni '90 le tante opportunità offerte dalla legislazione e dai provvedimenti per aree di particolare interesse.

Non caddero allora nel vuoto quelle indicazioni che Piero Pittaro nella sua “diagnosi e terapia” per un “Ramandolo fra passato e futuro” già nel 1993 aveva dato ai più giovani colleghi.

All'alba del terzo millennio si stanno riconvertendo i vigneti con sistemazioni intelligenti e barbatelle selezionate; si sta ripensando a una metodologia di vinificazione che passa attraverso il nuovo impianto d'appassimento cooperativo.

Al Ramandolo che ha ottenuto in questi giorni la D.O.C.G. – primo nel Friuli avendone i numeri per quantità qualità e immagine – si vuole ora dedicare una bottiglia unica e suggestiva pronta ad affrontare una ristorazione di nicchia che già lo guarda con deferenza riconoscendogli “attributi” particolari e la capacità di uscire dal coro distinguendosi dalle imitazioni.  

                1. G. Longo La conquista del Ramandolo; una prospettiva per i giovani “Il Ramandolo gioiello del Friuli - Realtà problemi e prospettive” pp. 7-12 Nimis 1993.
                2. Ibidem p. 8.
                3. Ibidem p. 8.
                4. Atti II Annuale Esposizione - Fiera dei Vini dell'Alto Friuli in Nimis Novembre 1909 Circolo agricolo di Tarcento Tipografia del Patronato Udine 1910.
                5. Ibidem pp. 10-11.
                6. Leggasi “Mostra di prodotti agrari” Associazione Agraria Friulana Udine 20-23 aprile 1893.
                7. G. Perusini La viticoltura nella zona di Ramandolo estratto da “L'Agricoltura Friulana”  n° 51 del 22 dicembre 1934 XIII E.F. Cattedra ambulante di agricoltura per la provincia di Udine Tipografia D. Del Bianco e Figlio Udine 1934.