Alle radici del Ramandolo
di Claudio Fabbro
““È tuttavia mio convincimento che il Verduzzo di Ramandolo
sia un materiale ottimo e che
studiatane bene la lavorazione enologica
possa non solo aumentare la buona fama che ora gode; ma
per quanto la
crisi vinicola imperversi a lungo
debba procurare al coltivatore uno
smercio remunerativo.”
“A scrivere queste
parole
il 2 novembre 1908
era nientemeno che il grande ampelografo
Girolamo Molon
professore della Regia scuola superiore di agricoltura
di Milano e presidente della giuria della I Annuale Esposizione - Fiera
dei vini dell'Alto Friuli di Nimis. Le vergava di suo pugno in una
lettera indirizzata agli organizzatori dell'esposizione
rassicurandoli sulla bontà della materia prima di cui già allora
disponevano gli agricoltori di qui.
“Ma a ben quindici
anni prima risale un altro documento – che quindi
precisa il Longo(1)
oggi ha cent'anni – testimoniante non la nascita del vino Ramandolo
come tale
ma certamente la sua esistenza ormai consolidata.
“Alla II Fiera -
Concorso dei vini friulani
organizzata dalla Società agraria friulana
a Udine dal 20 al 23 aprile 1893
fu consegnato un attestato di lode
per un vino Ramandolo fuori concorso
a Giovanni Comelli detto “Moro”
appassionato vitivinicoltore di Torlano.
1985
- Antonio Comelli
i Rapuzzi
Ardinolfi
Salvador e Fabbro
“Un vero vanto
allora per lui e oggi per i suoi discendenti
o almeno per quanti
credono nella vite e nel vino... E dimostra quanto sia consolidata la
consuetudine di chiamare questo vino
ottenuto dalle uve di Verduzzo
friulano
con lo stesso nome geografico della zona di produzione:
Ramandolo
appunto
piccola frazione di Nimis adagiata sulle pendici
della Bernadia
resa famosa proprio da questo nettare regalato da una
vite coltivata con tanti sacrifici nei vigneti spesso strappati alla
roccia della montagna ma le cui uve
una volta spremute
sanno dare un
prodotto così buono e delicato che fa dimenticare tutte le fatiche.
“Di più: un vino
di questa stoffa e di questa personalità può essere prodotto soltanto
a Ramandolo e nelle colline circostanti
di Cloz
Sedilis
Moric
Coia.
“Nelle altre pur
amene contrade dei Colli Orientali del Friuli
sebbene vocate a una
viticoltura finissima
si produce un ottimo Verduzzo
certamente
ma che
nulla ha a che vedere con questo di Ramandolo e zone contermini.”
“È sacrosanto
pertanto – prosegue Longo(2) –
il pronunciamento del Ministero dell'agricoltura
del 18 giugno 1992 con il quale si è finalmente recepito
dopo un
lunghissimo iter che è dovuto passare anche attraverso la sentenza di
un Tribunale amministrativo
l'invocato diritto di usare il nome
Ramandolo solo per il Verduzzo ottenuto in questa minuscola area dei
Colli Orientali
reprimendo imitazioni e sleali concorrenze fuori zona e
istituendo
di fatto
il primo e unico cru del Friuli-Venezia Giulia.
Soltanto qui infatti si può produrre
presentare e porre in vendita un
vino D.O.C. con il nome della località geografica vigilata dall'antica
chiesetta
anziché con quello della varietà di vite. E non è poco:
pensiamo ai francesi che in fatto di promozione e di immagine non sono
secondi a nessuno. La fortuna dei loro grandi vini è nata proprio con
le piccole zone geografiche. E la parola cru è francese.
“Non si tratta
dunque che di mettere in pratica quanto fatto da altri
facendo leva sul
nome
sull'immagine e sulla qualità. Quest'ultima esiste già ma va
migliorata
al fine di dare al consumatore un prodotto il più possibile
appagante e all'altezza del suo costo. Oggi
in un periodo in cui il
mercato del vino sta attraversando un momento di difficoltà non
sottovalutabile – ma le crisi sono sempre state ricorrenti
ce l'ha
ricordato anche lo scritto d'inizio secolo del professor Molon –
bisogna avere la certezza di porre in commercio un prodotto di sicuro
pregio.
“Ovviamente il
cammino da compiere è ancora lungo
ma importanti
indispensabili passi
si sono già fatti. E uno di questi
fondamentale
è proprio quello
della tutela del nome.”
Bepi
Longo
Sindaco di Nimis
“Correva infatti l'anno
1981 – ricorda ancora Longo(3) – quando la Cooperativa agricola di
Ramandolo
con l'appoggio dell'Amministrazione comunale di Nimis –
ma non va sottaciuta la sensibilità subito dimostrata dalla Comunità
montana Valli del Torre e dalla Regione – presentava al Ministero dell'agricoltura
una richiesta di modifica del disciplinare di produzione dei Colli
Orientali del Friuli al fine di eliminare le possibilità di confusione
che il DPR istitutivo del 1970 conteneva circa l'uso del nome
geografico Ramandolo per il vino ottenuto dal Verduzzo friulano.
Purtroppo l'iter non fu dei più facili
in quanto che i primi intoppi
sorsero proprio a Nimis dove ci fu chi si lamentò che l'area proposta
dai viticoltori di Ramandolo fosse discriminante per le altre zone pur
vocate del territorio comunale. Da qui una “soluzione politica” con
un allargamento eccessivo dell'area stessa
che a sua volta faceva a
pugni con la richiesta di un'altrettanto ristretta delimitazione
comprendente soltanto pochi vigneti di Ramandolo. A complicare le cose
si inserì poi un ricorso di un gruppo di viticoltori del Cividalese
secondo i quali l'uso ormai consolidato del nome “Ramandolo” –
da intendersi più come metodo di vinificazione che non come località
geografica – doveva essere garantito anche a loro. Dopo diverse
audizioni pubbliche a Cividale
sede del Consorzio per la tutela dei
vini D.O.C. Colli Orientali del Friuli (che a sua volta aveva chiesto
talune modifiche al disciplinare riguardanti l'abolizione del termine
“Ramandolo”
che tanti equivoci aveva generato
e tutt'altre
questioni)
e a Udine
nonché sopralluoghi a Ramandolo e a Nimis
si
giunse alla pubblicazione del parere del Comitato nazionale per la
tutela delle denominazioni di origine dei vini che
in pratica
recepiva
tutte le richieste iniziali per la difesa del Verduzzo prodotto nell'area
storica
stabilendo peraltro che il vino doveva essere chiamato
semplicemente “Ramandolo” senza alcun cenno alla varietà di vite.
“Ma la sorpresa e l'amarezza
furono enormi quando fu finalmente pubblicato nel 1989 il DPR di
modifica del disciplinare: si consentiva infatti l'uso del nome “Ramandolo”
in tutti i Colli Orientali del Friuli
riservando l'aggiunta della
specificazione “Classico” a quello prodotto nella zona
storico-tradizionale di Nimis e parte di Tarcento. Una decisione che
probabilmente voleva essere salomonica ma che si scontrava con le
legittime attese dei viticoltori locali
i quali
oltre a non vedersi
tutelati
intravedevano la possibilità di una grave confusione che
avrebbe danneggiato non solo loro stessi ma anche i consumatori. Logica
quindi
la decisione di puntare i piedi e dire no
presentando immediato
ricorso al Tar del Lazio giovandosi di un efficace patrocinio legale. E
il Tribunale amministrativo non ha esitato a dare ragione ai ricorrenti
ravvisando infondata la decisione romana di allargare l'utilizzo del
nome anche fuori della zona tradizionale. Da qui la nuova riscrittura
del decreto
questa volta ministeriale essendo nel frattempo subentrata
la nuova legge sulle denominazioni di origine
con il quale
appunto nel
giugno 1992
si è definitivamente riconosciuto che il Ramandolo può
essere prodotto soltanto in un'area all'interno dei comuni di Nimis
e di Tarcento. In questo modo si è istituito di fatto il già ricordato
primo e unico cru della regione.”
Ora riportiamo l'attenzione
all'Annuale Esposizione - Fiera dei vini dell'Alto Friuli. Dagli
atti(4) della II edizione
nel 1909
è possibile rilevare una serie di
interessanti indicazioni e valutazioni riguardanti il Ramandolo.
Si legge
tra l'altro:
“Diciamo subito che la Giuria si trovò molto soddisfatta dei vini
bianchi in genere e in particolare di quelli appassiti
che formano la
specialità della regione di Nimis. Non che la Giuria abbia riscontrato
questi vini scevri di difetti
però questi erano superati
e di gran
lunga
dalle buone qualità.
“Tre difetti d'indole
generale ha constatato la Giuria nei campioni di vini bianchi: la
mancanza di limpidezza
l'eccessiva “agrezza” e il fondo
dolciastro.
“La mancanza di
limpidezza
per tutti i vini
ma in specialità per i bianchi
è un
difetto capitale. A parte la difficoltà di conservazione dei vini
torbidi
il colore fosco e la mancanza di brillantezza li rendono poco
accetti ai consumatori. È dote principale di un vino bianco quella di
essere perfettamente limpido e di avere quella brillantezza di colore
che lo fa scintillare nel bicchiere. Ed è facile raggiungere questo
limite di perfezione
introducendo l'uso di buoni filtri.
Paolo
Comelli Presidente consorzio DOGC
“L'eccessiva
asprezza l'abbiamo già segnalata parlando dei vini rossi
e crediamo
dipenda dagli stessi fattori e sia rimediabile cogli stessi mezzi già
da noi indicati a suo tempo.
“L'“agrezza”
dei vini bianchi da noi esaminati
dipende certo da eccesso di acido
tartarico
nonché da acido malico liberi
i quali si trovano in
quantità notevole nei vini bianchi prodotti col Verduzzo. Ci sono tre
mezzi principali per togliere questa asprezza al vino bianco: l'aggiunta
di carbonato di calce (polvere di marmo) o di tartrato neutro di potassa
e il taglio con vini deficienti di acidità. Nel mentre il carbonato di
calce
se non è adoperato con prudenza
può essere nocivo al colore
al sapore
al profumo del vino
il tartrato neutro di potassa è poco
raccomandabile dal lato economico. Resta quindi
il taglio con uve di
minore acidità. E questo taglio si può ottenere facilmente
introducendo
nei nuovi impianti
varietà meno acide in aggiunta al
Verduzzo
nelle debite proporzioni però
così da non togliere quelle
qualità specifiche del vino di Ramandolo che lo rendono apprezzato dai
consumatori. Sarà perciò necessario uno studio ponderato del problema
e saranno più necessarie ancora numerose prove.
“Il fondo
dolciastro del Ramandolo
o meglio
l'agro-dolce caratteristico di
molti campioni
crediamo provenga da una fermentazione mannitica
cioè
da una incompleta decomposizione dello zucchero in alcool
acido
carbonico
ecc. E che il fatto avvenga nel modo da noi accennato
ci
sarebbe provato dall'odore acetico proprio di parecchi di questi vini
che è l'odore caratteristico degli acidi volatili che si sviluppano
con la fermentazione dell'acido acetico. E ci è ancora confermato dal
fatto che questi vini non divengono mai limpidi e
anche se filtrati
tornano
dopo poco tempo
a intorbidare. Molti rimedi furono indicati
per evitare questa malattia del vino
ma tutti di esito poco
soddisfacente. Noi crediamo che il maggior giovamento si possa avere da
un prolungato arieggiamento della massa del mosto. Anche in questo caso
giova l'aggiunta di uve a scarsa acidità.
“Quello che ci ha
invece soddisfatto
è stata la grande uniformità dei vini presentati
i quali non si differenziavano se non per la maggiore o minor entità
dei difetti enunciati e che dipendono in gran parte da deficienze nella
lavorazione del vino. In conseguenza di ciò
siamo naturalmente venuti
alla conclusione che una Cantina sociale per la preparazione del
Ramandolo sarebbe un avvenimento desiderabilissimo e che segnerebbe un
grande progresso. Il vino bianco di Ramandolo ha tutti i requisiti per
aver diritto a essere un apprezzatissimo vino da dessert
e l'applicazione
dei moderni sistemi di enologia
l'introduzione di macchine e attrezzi
moderni e appropriati
lo metterebbe certo in prima linea fra gli altri
vini bianchi da dessert italiani di gran nome. All'intraprendenza
allo spirito di solidarietà
all'intelligenza dei viticultori della
regione
allo zelo dei preposti al Circolo Agricolo di Tarcento
presentiamo dunque il problema e consigliamo loro di studiarlo con
ponderazione
augurandoci che possano in breve risolverlo e attuarlo.
“Concludendo per i
vini bianchi
raccomandiamo:
-
“1°
Incoraggiare la produzione di vini bianchi da dessert e
come sotto
prodotto
di vini bianchi comuni da pasto;
-
“2° Migliorare
la viticoltura
introducendo va-rietà di uve bianche che
diminuiscano l'asprezza caratteristica del Verduzzo che
costituisce la base del vino Ramandolo;
-
“3° Migliorare
la confezione tecnica dei vini coll'introduzione di sistemi e
macchine enologiche moderni
e possibilmente coll'impianto di una
cantina sociale
per ottenere la uniformità e la costanza dei tipi.”
In merito alla
presentazione dei prodotti la Giuria nota che(5) “per quel che
riguarda la disposizione dei banchi d'assaggio
deve rilevarsi la
scarsezza di buon gusto e la eccessiva uniformità
per quanto l'Esposizione
attuale rappresenti
anche sotto questo aspetto
un notevole progresso
su quella del 1908.
Filari
con rete antigrandine
“Anche per la
confezione delle bottiglie dobbiamo constatare un sensibile
miglioramento rispetto al passato
pur trovando a ridire sulla
eccessività dei fregi e contorni di talune etichette e sulla povertà
delle capsule. Né si dica che queste sono superfluità e che quando il
vino è buono
è buono; esso è più apprezzato però se presentato
bene. Anzi
ci si passi il paradosso
anche un vino mediocre
se ben
presentato
può parer buono. E siccome l'essere molto spesso sta nel
parere e per di più
siccome oltre alla bocca
anche gli occhi vogliono
la loro parte
così un'elegante presentazione del vino ha uno
straordinario interesse
principalmente dal lato commerciale. Insistiamo
perciò presso i produttori di Nimis
perché facciano meglio
molto
meglio in questo campo
e consigliamo il massimo rigore nella
compilazione del futuro programma.”
Tornando alla Mostra sopra
citata(6 ) del 1893
dalla relazione possiamo togliere alcune
interessanti note illustrative
riguardanti il Verduzzo: “ ... Quest'uva
bianca
che entra come principale nel vino di Ramandolo e nei migliori
bianchi di Gemona
e si coltiva sui colli di Rosazzo e Brazzacco
di qua
e di là del Tagliamento
all'alta e alla bassa
e da per tutto
presenta un prodotto abbondante e costante; è poco soggetta alla
crittogama
riesce in ogni terreno
e dà vino ottimo; quest'uva
ad
unanimità di voti
venne ritenuta degna del primo posto fra le bianche
nostrane e fra tutte raccomandabilissima.
“A Ramandolo si
distinguono tre varietà: a grappolo serrato
verde; a grappolo serrato
giallo; a grappolo lasso. Deve darsi la preferenza alle due varietà a
grappolo serrato
che hanno l'uva dolcissima e offrono più abbondante
prodotto.”
Risale al 1934 un prezioso
documento pubblicato in “L'Agricoltura Friulana” (n° 51
22
dicembre 1934 - XIII E.F.) del dott. Gaetano Perusini(7)
che così esordisce: “Non c'è chi non conosca in Friuli il
vino di Ramandolo; esso però
pur essendo citato dal Marescalchi nella
sua opera sui vini tipici italiani
non ha finora attirato
come
meritava
l'attenzione degli enologi e dei viticultori.
“I pochi scritti
che ne parlano riportano numerose inesattezze. La principale di queste
inesattezze riguarda la zona di origine di questo vino
poiché
a mio
avviso
il nome di Ramandolo va dato esclusivamente al vino ottenuto dal
Verduzzo
vinificato con metodi particolari e raccolto intorno al paese
di Ramandolo
a un'altitudine variabile fra i 250 e i 370 metri
su di
una ripida costa che beneficia in egual misura delle favorevoli
condizioni di ambiente e terreno. Questa costa infatti è riparata dai
venti freddi dalle rocce del monte Bernadia che si alzano quasi a picco
sopra il paese
inoltre queste rocce riflettono fortemente i raggi
solari e vi mantengono una temperatura leggermente superiore a quella
dei paesi contermini.
“Il terreno
appartiene a formazioni eoceniche
e
secondo il Marinelli (O. Marinelli
Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento
Firenze
Carnesecchi
1902
pag. 55 e seg.) alla zona eocenica inferiore prevalentemente
calcarea; inoltre la sua composizione superiore è modificata dalle
numerose frane precipitate dai sovrastanti calcari del monte Bernadia
che danno così origine a un soprasuolo che non troviamo in nessun'altra
parte del Friuli.
“È difficile
stabilire con precisione l'ampiezza della zona di produzione: però
nei lavori di qualificazione e di classificazione per il nuovo catasto
il perito Riva ha calcolato che il Ramandolo è raccolto su 15-16
ettari
con una produzione complessiva di 1200 ettolitri. Questi dati
non si riferiscono esclusivamente al vero Ramandolo essendo compresi nel
computo terreni investiti a vitigni di uva nera il cui prodotto va in
commercio col solo nome del vitigno.
“Il vero Ramandolo
è ottenuto esclusivamente dal Verduzzo
del quale
in questa zona
si
distinguono tre varietà: 1) gialla a grappolo piccolo serrato
detta
ross; 2) a grappolo semispargolo
detto ras'cie; 3) ordinaria
detta
vert. (La sottovarietà detta ras'cie non consta sia bene definita.
Per ciò che concerne il Verduzzo giallo
possiamo aggiungere che esso
si differenzia dal “verde” per alcuni caratteri ampelografici ben
definiti
non ultimo tra i quali la colorazione del cappuccio fiorale
che è bruno-grigia nel giallo e verde intenso nel verde.) La prima è
la migliore
ma dà scarso prodotto
la seconda e ancor più la terza
sono meno delicate e danno un prodotto assai più abbondante
ma molto
meno fine. Ritengo inutile dare la descrizione particolareggiata del
Verduzzo dopo quanto è già stato scritto in materia; sarebbe però
opportuno che il Consorzio Provinciale per la Viticoltura promuovesse
uno studio comparativo fra tutte e tre le varietà
anche dal punto di
vista economico
stabilendo definitivamente quale sia la più
consigliabile.”
Prosegue Perusini(8) : “La
fillossera
apparsa qui una trentina d'anni fa
in poco tempo
distrusse la maggior parte dei vigneti esistenti imponendo in pieno il
problema della ricostituzione viticola. Il lavoro è lungo
e per quanto
sia stato intrapreso con molta alacrità
la superficie vitata è lungi
dall'aver raggiunto la consistenza dell'anteguerra.
“Nei vecchi
impianti si usarono barbatelle di Rupestris du Lot e di Riparia x
Rupestris 3309: sono però da preferire il Kober 5 BB e la Berlandieri x
Riparia 420 A che hanno mostrato maggior adattamento al terreno e
maggior affinità col Verduzzo.
“Il terreno è
sistemato a terrazze
sostenute da scarpate o da muri a secco
la cui
larghezza varia
a seconda della maggiore o minore pendenza del terreno
e in media si aggira sui tre metri. Sull'orlo esterno di ciascuna
terrazza è sistemato un filare di viti la cui impalcatura è costituita
da pali
normalmente ogni tre metri
e da sostegni vivi
gelsi o piante
da frutto
in genere ciliegi.
“Lo scasso
generalmente si fa a fosse profonde metri 1-1
5 e per la concimazione d'impianto
si usa quasi esclusivamente letame.
“Come abbiamo detto
gli impianti si fanno quasi esclusivamente con barbatelle selvatiche che
vengono innestate dopo un anno.
“La potatura è del
tipo più diffuso in Friuli con qualche caratteristica variante. È
riferibile alla Guyot e più precisamente al tipo detto a capovolto.
“All'epoca della
potatura
fine febbraio - primi di marzo
il vigneto viene vangato e
concimato.
“Negli interfilari
più larghi si coltiva frumento
segala
trifoglio
erba medica; negli
altri
piselli
fagioli nani
cavoli; spesso
specialmente dove c'è
pericolo di smottamenti
il terreno viene lasciato completamente
incolto.
“La vendemmia
avviene dal 15 al 30 di ottobre a seconda del decorso più o meno
favorevole della stagione. L'uva
appena raccolta
viene curata
quindi deposta su graticci dove rimane 8-10 giorni: in seguito si
diraspa e si pigia in assenza dei raspi. Durante l'inverno il mosto
subisce due travasi
dando un vino caratteristico dolce
liquoroso
limpido
giallo ambrato
profumato
di corpo
leggermente tannico. Da un
quintale di uva fresca si ricavano circa 50 litri di vino e da un ettaro
di buon vigneto 100 ettolitri di vino
con una media di 80-85 ettolitri
per ettaro.
“L'anno passato
(1933
n.d.r.) il prezzo del vino si aggirò sulle 3 lire nella cantina
del produttore; prezzo assai alto se si considera che nelle zone
contermini
Verduzzo vinificato con gli stessi metodi spunta prezzi
inferiori di una lira ed anche più.
“Nella zona sono
coltivati anche vitigni ad uva nera: principalmente Refosco dal
peduncolo rosso e Merlot; la loro importanza è però del tutto
secondaria; pur dando un buon prodotto e produzione più abbondante del
Verduzzo
ne è assolutamente sconsigliabile la diffusione. La minore
produttività del Verduzzo è oggigiorno ampiamente compensata dal suo
più alto prezzo; inoltre esso dà
a differenza dei vitigni neri
un
vino tipico assai ricercato e di facile smercio in Friuli.
“Per quanto il
Ramandolo non sia possibile farlo rientrare in nessuna delle comuni
categorie di vini
esso infatti non è un vin santo quale comunemente si
intende e tanto meno un vino da pasto: ha pregi e caratteristiche tali
da farlo ritenere un vero vino tipico.
“Da quanto ho detto
appare chiaro che per località d'origine
vitigno
metodi di
vinificazione
prodotto
esso risponde perfettamente ai requisiti voluti
dalla vigente legislazione sui vini tipici; il R.D. Legge 11 gennaio
1930
n° 62
art. 2
stabilisce infatti “sono considerati vini tipici
i vini genuini prodotti in un paese
zona o regione... i quali
posseggano caratteri organolettici particolari
chiaramente definibili e
costanti
derivanti essenzialmente dal vitigno e dal metodo di
vinificazione” ed ancor più chiaramente il testo definitivo approvato
con Legge 10 luglio 1930
n° 1164
art. 2: “sono considerati vini
tipici i vini genuini pregevoli... i quali avendo origine accertata per
la località di produzione abbiano caratteri organolettici costanti e
tali da conferire loro particolare finezza e bontà”. Concetti con
ancor più precisione specificati nel regolamento approvato con il R.D.
10-11-1930 n° 1836
art. 1: “I vini tipici si distinguono in vini
speciali
vini superiori e vini fini... Sono considerati vini superiori
quelli che hanno speciali caratteristiche tipiche costanti e che hanno
acquistato particolare pregio in seguito all'invecchiamento
naturale... Sono considerati vini fini quelli che
pur non avendo il
pregio dei vini superiori
hanno caratteristiche costanti tali da
renderli meritevoli di tutela”. (Che il Ramandolo possa piacere ad una
categoria di consumatori
è cosa indiscutibile; che possa essere
desiderabile una tutela
sono d'accordo. Devesi però riconoscere che
così come è il vino
dal lato enologico
lascia molto a desiderare; un
perfezionamento tecnico che attenui l'insanabile contrasto tra la
tannicità eccessiva e la ricchezza in glucosio
e lo avvicini ai tipi
liquorosi
sarebbe veramente utile.)
“È indiscutibile
che il Ramandolo rientra in quest'ultima categoria; unico appunto che
può farsi
è la limitata ampiezza del territorio di produzione; per
dissipare ogni dubbio in proposito basterà però ricordare come in
Francia assai numerosi sono i vini
legalmente protetti
raccolti su
superfici inferiori alla nostra; per non dilungarci citeremo solo il “Montrachet”
da molti ritenuto il miglior vino bianco di Francia
prodotto su 7
ettari e 50 are delimitate legalmente nel 1920. Resta a vedere se
pur
avendo il Ramandolo tutti i requisiti per essere dichiarato vino tipico
sia economicamente conveniente la costituzione di un consorzio di
difesa.
“Certamente assai
gravoso riuscirebbe per i produttori
tutti piccoli proprietari
il
pagamento del contributo necessario al funzionamento del consorzio; in
compenso però essi vedrebbero difeso il loro prodotto da volgari
falsificazioni a base di vini scadenti malamente zuccherati e anche
dalla produzione delle zone limitrofe che
acquistata da commercianti
poco onesti
troppo spesso passa come “autentico Ramandolo”. Le
difficoltà finanziarie sarebbero eliminate qualora in Friuli sorgesse
un consorzio provinciale per la difesa dei vini migliori
con la
suddivisione delle spese generali fra un gran numero di interessati e l'adozione
dei sottomarchi previsti dalla legge si otterrebbe la protezione della
produzione genuina con una spesa relativamente modica.”
Come vedremo in
seguito
i viticoltori di Ramandolo o
più in generale
di Nimis e
Tarcento
seppero far tesoro delle preziose osservazioni del Perusini
considerato giustamente uno dei padri storici del Vigneto Friuli.
Nel 1939 venne dato alle stampe l'Atlante ampelografico curato
dal dott. Guido Poggi
Capo dell'Ispettorato agrario provinciale dell'agricoltura
di Udine il quale
rifacendosi al Verduzzo
distinse le varietà in
giallo e verde(9).
Il lavoro del Poggi
venne ripreso e approfondito
nel 1982
dall'enologo Piero Pittaro
imprenditore privato di rilevante interesse pubblico (fu
tra l'altro
presidente
regionale
nazionale e mondiale dell'Associazione enologi
- enotecnici
del Centro regionale vitivinicolo e dell'Istituto
sperimentale per l'enologia di Asti) che
nelle pieghe di un impegno
professionale non comune
trovò anche il momento per scrivere a più
riprese
a vari e sempre elevati livelli
del suo amato Vigneto Friuli.
Egli preferì distinguere il vitigno Verduzzo in trevigiano e friulano
descrivendoli come segue(10): “Mentre per il Verduzzo friulano si
hanno notizie abbastanza precise
sul Verduzzo trevigiano non si hanno
dati circa l'origine. I due vitigni comunque non sono confondibili
avendo caratteristiche molto diverse. Sembra che il Verduzzo trevigiano
sia originario dalla Sardegna. In provincia di Treviso
sulla riva
sinistra del Piave
si sarebbe diffuso ai primi di questo secolo.
Attualmente lo troviamo in tutta la provincia di Treviso
ma
particolarmente nella zona di Motta di Livenza
Oderzo e riva sinistra
del Piave. Colore giallo paglierino
talvolta con riflessi verdognoli.
Leggermente tannico
di corpo snello
nervoso e asciutto
ha profumo
fruttato anche se poco caratteristico. Viene vinificato sia in purezza
sia in uvaggio per la preparazione dei vini bianchi da pasto del Piave.
“Il Verduzzo
friulano è
come il Refosco
un vitigno indigeno del Friuli. Certamente
antichissimo e molto diffuso un tempo
lo troviamo descritto dall'Acerbi
nel suo Viti friulane ne' contorni di Udine. Esistono due varietà di
Verduzzo
o meglio due cloni principali: il Verduzzo verde e il Verduzzo
giallo o di Ramandolo. Il Verduzzo verde è maggiormente coltivato in
pianura e dà un vino secco
mentre il giallo
coltivato in collina
nelle zone di Ramandolo
Nimis
Faedis
Torlano dà un vino amabile
da
dessert.
“Il Verduzzo è
diffuso un po' in tutto il territorio friulano
dove è coltivato sia
in pianura che in collina. C'è però la tendenza all'aumento degli
impianti in collina perché i risultati qualitativi sono decisamente
migliori.
“Dobbiamo qui
distinguere il vino prodotto dalle due uve: gialla e verde. Il Verduzzo
giallo
detto anche di Ramandolo perché coltivato con i migliori
risultati in una piccola conca collinare
dà un vino color oro
leggermente tannico
di corpo
amabile
con profumo di acacia e sapore
di miele
equilibrato e piacevole.
“Il Verduzzo verde
dà un vino secco
citrino
di color giallo con trasparenza verdognola.
Profumo ampio e fresco
con bouquet che ricorda molto la mela
la pera
la pesca-noce
l'albicocca. Sono vini da bersi giovani
perché
fruttato è il loro maggior pregio.”
Il decreto presidenziale n°
930/63 (DPR 12-7-1963) emanato al fine di disciplinare e tutelare la
tipologia dei vini D.O.C. trovò
in Friuli - Venezia Giulia
terreno
fertile e disponibile a rivedere le proprie strategie
puntando
decisamente alla qualità. Il 20.7.1970 venne emanato il decreto di
riconoscimento della D.O.C. dei vini dei Colli Orientali del Friuli in
cui
tra gli altri
venne giustamente inserito il vitigno Verduzzo
(friulano) per esso prevedendo (art. 6) le seguenti caratteristiche all'atto
dell'immissione al consumo: colore giallo dorato
odore vinoso e
caratteristico di fruttato particolarmente nel tipo dolce (Ramandolo)
sempre asciutto
oppure amabile-dolce
fruttato
di corpo
lievemente
tannico
gradazione alcolica minima complessiva 12°
acidità totale
minima 5 per mille
estratto secco netto minimo 17 per mille.
Come vedremo in
seguito
la possibilità d'utilizzare la specificazione Ramandolo nell'intero
territorio collinare della provincia di Udine incontrò una
comprensibile e crescente insoddisfazione fra i produttori dell'area
omonima
poco propensi a cederne il nome d'origine a favore di un “metodo
di vinificazione”.
A occuparsi
fra i primi
del Ramandolo nel giornalismo di
settore che
all'epoca
faceva eccezionale opinione
fu il mai
dimenticato Isi Benini11
creatore e direttore della rivista “Il Vino”
che divenne un punto di riferimento pun-tuale e importante per il mondo
vitivinicolo regionale. Benini seppe coglierne le ansie e le
aspettative
contribuendo ad amplificarne il pensiero a vari livelli
anche istituzionali. Collaboratore di “Il Vino” e penna
particolarmente graffiante e documentata sulle vicende del Ramandolo era
– allora come ora – il giornalista
sommelier e wine maker Walter
Filiputti
cui si deve un editoriale forte che contribuì un poco a
scaldare animi già in fermento da tempo.
Non fu tenero
nell'occasione
il Filiputti
che colse reali o presunte responsabilità di Enti e
Associazioni varie
stimolando la revisione di quel disciplinare che
dopo sette anni
palesava primi e significativi aspetti d'ossidazione.
“Quando questo
fascicolo sarà in edicola
l'Assessorato all'Agricoltura
il
Consorzio dei Colli Orientali
e il Centro regionale per la
vitivinicoltura avranno già ricevuto la seguente lettera – così
esordì il Filiputti(12) –:
“Noi sottoscritti vignaioli di Ramandolo (Nimis) visto l'art. 6 del
disciplinare dei Colli Orientali del Friuli alla voce Verduzzo e
constatato che per tipo dolce si intende Ramandolo; che il nome e la
fama di Ramandolo sono meriti solo ed unicamente dei produttori di tale
frazione; constatato anche che tale denominazione di località viene
usata da produttori che nulla hanno a che fare con Ramandolo; constatato
ancora come la speculazione commerciale abbia sfruttato e sfrutti tale
nome attraverso prodotti che ne declassano la fama
in base a tutto ciò
chiediamo a tale organo competente di adoperarsi affinché la dizione
‘Ramandolo' possa essere usata solo per il Verduzzo prodotto in tale
località. Località che ha per confini
guardando la collina da Nimis:
la centrale a destra e da qui
con una linea immaginaria che passa sopra
la chiesetta fino al bivio per Tarcento-Sedilis
segnato da una colonna
di pietra bianca. E la collina di fronte disposta ad anfiteatro
che
guarda verso la chiesa. Aggiungiamo che il Ramandolo lo si ottiene solo
da vigne in collina. Firmato: i produttori in Ramandolo. In data 6
novembre 1977”.
“Devi sapere –
proseguì Filiputti(13) –
che Ramandolo è località collinare in comune di Nimis
ove si produce
in maggioranza Verduzzo. Bene. Tale vino si ottiene
come spesso da
queste parti
dopo lungo e attento appassimento delle uve
che ciò
permettono con facilità. E
dato anche il microclima
altezza dai 300
ai 400 metri e la posizione perfettamente a mezzodì della riviera –
così qui chiamano il costone – ne esce un vino splendido e
personalissimo. Dal colore oro netto che poi va
con l'invecchiamento
verso sfumature ambrate
si presenta
al profumo
su toni precisi e
consistenti dove cogli pesca e albicocca mature e
con insistenza
la
mela. Dolce non dolce al palato
mantiene precisa persistenza aromatica
a chiudere
in grande equilibrio
asciutto e invitante. E tale vino –
anche per fattori esterni alla sua alta qualità
il panorama che dal
piazzale della chiesetta godi e la chiesetta stessa
ora rabberciata per
il terremoto – è diventato famoso. E il disciplinare dei Colli
Orientali del Friuli
nella cui zona è compreso Ramandolo
ammette la
coltivazione del Verduzzo friulano. Bene. All'articolo 6
descrivendo
le caratteristiche di ogni vino ammesso
recita per il Verduzzo: “colore:
giallo oro; odore: vinoso e caratteristico di fruttato particolarmente
nel tipo dolce (Ramandolo); sapore: asciutto
oppure amabile-dolce
fruttato
di corpo
lievemente tannico”. Rileggi quanto relativo all'odore
e scopri che si cita Ramandolo
denominazione precisa di località
per
definire il Verduzzo dolce. E hai che puoi chiamare Verduzzo Ramandolo
tutto il Verduzzo dolce prodotto sui Colli Orientali del Friuli
da
Nimis a Cividale
da Ipplis a Manzano e Buttrio. Come puntualmente
avviene.
“I vignaioli di
Ramandolo
che producono sì e no 30 ettolitri-ettaro
vendono tale vino
a mille lire il litro. Hanno dovuto costituirsi in cooperativa
che ora
gestisce l'osteria accanto la chiesetta
a garantire il proprio vino.
Mentre hai che altrove
sempre in collina ma con produzioni che
rasentano gli 80 ettolitri/ha (110 q.li uva/ha)
si vende da mille lire
la bottiglia in poi. Il mercato
zeppo di Verduzzi di Ramandolo
inflaziona il nome e ne fa abbassare il prezzo. Di peggio: spesso in
nome di tale cru eccelso si vendono autentiche porcherie
che hanno
portato agli attuali risultati. Se vogliamo che i massimi cru abbiano a
esistere si faccia in modo che chi vi lavora tragga giusto guadagno. La
collina
e chi vi abita
non ha alternative: o vigna o andarsene. Come
fare
allora. Ve lo dico. Sono salito a Ramandolo e ho parlato con molti
vignaioli. Gli ho spiegato la situazione. Ho loro chiesto quanto
Verduzzo si produca
a Ramandolo: non più di settecento ettolitri. E da
qui la lettera citata. Con essi ho percorso i confini del cru.
“E oltre tali
confini il Verduzzo non è più... Ramandolo. Sia ben chiaro: non sto
dicendo gli altri essere Verduzzi migliori o peggiori. No: dico solo che
non sono di Ramandolo. Ma la legge offre una puntuale scappatoia
a
confondere le carte. Puoi usare il di Ramandolo solo se il vino proviene
da vigne sopra descritte: in quanto si fa riferimento a indicazione
geografica. Quindi il gioco si fa su quella di: se c'è significa
prodotto da uve Ramandolo
altrimenti può essere prodotto su tutti i
Colli Orientali
purché dolce. Ora le cose si debbono chiarire. Per i
produttori e per i consumatori. Ammesso e non concesso che la colpa sia
dei vignaioli
ora tali vignaioli esprimono una precisa richiesta:
difendere in maniera esatta il loro vino. Chiedono agli organi
competenti di far sì che Ramandolo
con o senza di
sia usato solo da
loro.”
Conclude Filiputti(14):
“E viene proprio da Cividale
città simbolo dei Colli Orientali. In
tale centro
fin dal 1661 si emanarono Capitoli a difendere i vini
locali da introduzioni di vini da zone più scadenti. Constatato che
nonostante tali leggi – i Capitoli – i “tagli” dei vini locali
continuavano
in data 9 luglio 1771 si decide – e ti trascrivo
testuale – “di divenire alla creazione di tre Magnifici Signori
Deputati
due Nobili
ed uno Popolare
e di demandare alli medesimi la
facoltà di stabilire quanto credessero essere di necessità in vista de'
presenti pregiudizi
in consonanza però sempre
ed esecuzione delli
sopra decretati Capitoli
e di levare qualunque equivoco degli
attestati
che devono rassegnare li Proprietari delli Vini per
assicurare essere li medesimi di loro ragione
e fatti sopra li loro
propri beni... Restano a tale oggetto per la inviolabile osservanza
delli medesimi qui sotto registrate le Formule degli attestati delli
Vini tutti
che dagli Osti della Città
e territorio dovranno essere
prima di metter a spina cadauna Botte di Vino rassegnati alli Giurati
respettivi a' quali incombe la vigilanza per la esecuzione de'
Capitoli sopradetti
e per tener lontana ogni machinata contrafazione
delli medesimi
le quali formule sono state da Noi qui sottoscritti
concepite”
e ti cito una formula: “Attesto io sottoscritto con mio
Giuramento
che tutto il vino contenuto nella Botte in oggi consegnata a
N. N. Osto di questa Città
o Territorio è di mia particolare ragione
e tutto raccolto sopra li miei propri Beni
in Fede...”.
Già allora i
contraffattori dei cru migliori esistevano. E si ricorreva ai ripari.
Come occorre fare oggi.”
L'11 ottobre 1982 il
Comune di Nimis approvò un ordine del giorno sulla situazione
vitivinicola locale. In particolare il Consiglio comunale(15)
“ ... esaminata la situazione vitivinicola locale
con
particolare riferimento alla realtà produttiva e alle prospettive di
sviluppo del settore; accertata l'alta vocazione viticola del
territorio comunale e in particolare delle zone collinari; considerate
le ottime caratteristiche qualitative dei prodotti ottenibili in zona
date anche le limitate rese unitarie e di trasformazione; considerata l'alta
tipicità dei prodotti
particolarmente accentuata nel vino Ramandolo
ottenuto con uve di Verduzzo friulano nei vigneti dell'omonima
frazione e delle zone collinari contermini; constatati gli elevatissimi
costi imposti dalla ricerca qualitativa e dalla particolare
configurazione geografica e geologica dei vigneti; considerata la
tradizionalità della coltura della vite e la sua importanza primaria
per l'economia locale; rileva l'uso illecito e indiscriminato del
nome Ramandolo per vini di dubbia provenienza e di incerta qualità che
danneggia gli interessi dei viticoltori della zona e compromette
commercialmente un'immagine di serietà e tipicità consolidata da una
dedizione secolare alla coltura della vite e alla produzione del vino
Ramandolo; rileva inoltre che le norme contenute nel disciplinare di
produzione dei vini a denominazione di origine controllata Colli
Orientali del Friuli
nella zona in cui è incluso il Comune di Nimis
sono insufficienti per tutelare e rimarcare la tipicità del vino
Ramandolo
prestandosi altresì a facili interpretazioni che non
salvaguardano il consumatore e che danneggiano il produttore; fa voti
affinché si adottino quelle iniziative ritenute idonee alla tutela
della tipicità e delle caratteristiche organolettiche del vino
Ramandolo con l'individuazione dell'area più vocata alla sua
produzione all'interno della zona D.O.C. dei Colli Orientali del
Friuli e dei caratteri di tipicità
al fine di specificare e rafforzare
la sua immagine sul mercato e di difendere il reddito dei viticoltori e
quindi l'economia della zona”.
Il 22-11-1982 la Cooperativa agricola “Ramandolo” s.c.a.r.l.
di Nimis – a firma del Presidente Dario Coos – avanzò formale
richiesta al Ministero dell'Agricoltura e Foreste – tramite l'Assessorato
all'agricoltura di Udine – di modifica e integrazione del
disciplinare di produzione dei vini D.O.C. “Colli Orientali del Friuli”
al fine di maggiormente tutelare e qualificare la produzione e il
commercio del vino “Ramandolo”.
L'iter dell'istanza
ebbe una procedura particolarmente articolata e complessa
caratterizzata da un'infinita serie di riunioni
incontri tecnici
ulteriori richieste
controdeduzioni
sopralluoghi ecc.
I produttori di
Ramandolo
anche per rafforzare giuridicamente la propria posizione
si
riunirono in omonimo Consorzio nel 1988
affidandone la presidenza al
citato Dario Coos.
Il disciplinare
modificato nel 1989 introdusse
nella generale sorpresa dei più
una
nuova e “originale” denominazione: “Ramandolo Classico” (a
valere per la ristretta area di Nimis e Tarcento) e “Ramandolo” (per
l'intera zona dei Colli Orientali).
Tale soluzione
probabilmente ritenuta “salomonica”
riaccese comprensibilmente gli
animi e il ricorso al T.A.R. del Lazio ne fu logica conseguenza.
Così come il decreto
di ulteriore (e definitiva) modifica del già modificato disciplinare
fu
nel 1992
un atto dovuto ai produttori di Raman-dolo che
da allora
pensarono bene di dedicare tutte le proprie energie non più a un
logorante contenzioso giuridico-amministrativo bensì alla sola
valorizzazione del proprio vino e del proprio territorio.
Per affrancare il
Ramandolo dall'originaria sudditanza al Verduzzo (DPR 20-7-1970) e
intraprendere un percorso nuovo e autonomo ci sono voluti ben 22 anni.
L'accelerazione impressa dal Consorzio in questi ultimi cinque
anni è evidente e il nuovo corso saprà senz'altro dare una svolta
positiva in termini socio-economici in tutto il territorio.
L'obiettivo 5B ha
trovato in Nimis un terreno fertile
aprendo anche nei meno giovani idee
e prospettive nuove per un ragionamento in chiave comunitaria. Le azioni
più incisive già si notano nella riconversione delle vigne dissodate
in cui
rispettando le caratteristiche ambientali
si cerca di
sperimentare nuove forme di allevamento più consone ai nuovi colori di
Verduzzo (“giallo”
alias “Ramandolo”) destinati alla bottiglia
di classe.
Tutto ciò rientra in
una filosofia più generale
legata al recente ottenimento della
D.O.C.G.
che ha
tra l'altro
comportato una serie di convegni ad
alto livello sulle procedure amministrative (Niederbacher et al.
1998)
ma anche tecniche (Di Stefano et al.
1999)
per la realizzazione e la
produzione dei grandi passiti.
Con frequenti viaggi
di studio i vignaioli locali hanno toccato con mano realtà nazionali ed
estere famose per tale tipologia
maturando progressivamente la
decisione di realizzare un aggiornato Centro di appassimento
la
società cooperativa Ca' del Torre
che corona oggi lo sforzo sin qui
intrapreso.
Le vicende del Ramandolo – per quanto traspare dagli scritti
che si è ritenuto consultare e citare in questo lavoro e che
rappresentano una minima parte di quanto è stato detto e annotato in un
secolo d'osservazione – sono intimamente legate a quelle del “Vigneto
Friuli”.
Quando oggi si parla
del Friuli è impossibile non collegare il nome a quello di un grande
vino bianco; quando si vuol scendere nello specifico
passando cioè a
un approfondimento delle tipo-logie “speciali” (amabili
dolci
passiti
ecc.) il pensiero corre automaticamente al Picolit e al
Ramandolo.
Tuttavia
se al primo
viene riconosciuto il ruolo storico di “vino dei re”
al secondo si
guarda con orgoglio quale capofila di una filosofia nuova e importante
che tende sempre di più a legare il vino (e non il vitigno!) al
territorio. Il Ramandolo è il primo vino D.O.C. e
ora
D.O.C.G.
friulano che si identifica con l'area di produzione e non con un
metodo di lavorazione o una varietà di vite.
Sembrano concetti
elementari eppure il percorso non è stato dei più semplici
sviluppandosi nelle vigne e nelle cantine
negli uffici regionali e nei
ministeri
nelle osterie e nei tribunali.
Se il Ramandolo non
aveva segreti per il contadino e l'oste friulano
in questi ultimi
venti anni hanno imparato a conoscerlo il giornalista e il magistrato
l'enologo
e l'uomo della strada. La carta bollata
più che il ragionamento
è
servita a riportare dignità nelle colline di Ramandolo e dintorni e il
vignaiolo di queste parti
poco incline al protagonismo e all'esternazione
per difendere il suo vino ha dovuto e saputo mostrare i muscoli.
Eppure
per
scrollarsi di dosso l'aggancio al Verduzzo
il Ramandolo ha dovuto
sudare parecchio. Rileggendo le note tecniche del prof. Gaetano Perusini
ma anche gli atti delle esposizioni
quasi sempre predomina il
riferimento al Verduzzo (friulano e non); lo stesso Benini
pur “pensando”
Ramandolo scriveva Verduzzo. E parliamo di un giornalista serio e
impegnato in una crociata “a vita” contro i “falsi osti”.
Il motivo va
ricercato nell'impostazione originaria del “Vigneto Friuli” che
nel suo primo approccio alle denominazioni di origine conseguente all'emanazione
del DPR 930/63 (legge sulle D.O.C.
appunto)
riconobbe al vitigno
(prima ancora che al territorio
alle sottozone
ai crùs) un ruolo
dominante
sposando una scelta più di tipo “tedesco” che “francese”.
Già il Filiputti
nel suo contributo del 1977 che – in parte – si riporta in questo
lavoro
ribalta il modo di intendere la viticoltura e accentua il peso
del terroir e dell'uomo rispetto a quello del vitigno e del clone.
Una nuova generazione
di viticoltori riprese
negli anni '80
un discorso controcorrente e
diverso in termini di elevazione della terra d'origine
ricercando
nelle proprie radici le peculiarità e rifiutando l'omologazione. A
Ramandolo tale spirito fu probabilmente più forte che altrove e i
giovani produttori trovarono nell'ente pubblico locale (comune
comunità montana) e regionale un interlocutore disponibile e convinto
tanto da costituire insieme una “forza d'urto” che
nel tempo
ripagò gli sforzi compiuti.
Bussava intanto alle
porte una nuova legge sulle D.O.C. (Legge 164/92) che avrebbe rafforzato
i concetti di qualità e origine
ponendo al vertice la vigna e la
sottozona. Se il nome era stato salvato in extremis bisognava ora
riprendere per mano la riconversione delle vigne obsolete
le tecniche
agronomiche ed enologiche
la ricerca di immagine e di marketing.
Osservatore attento e
garante dell'evoluzione armonica fra passato e futuro del Ramandolo fu
l'enologo Orfeo Salvador
che si era appassionato alquanto alle
vicende del territorio grazie anche alla frequentazione di un grande
personaggio
l'avvocato Antonio Comelli.
L'insigne uomo
politico non aveva mai dimenticato le sue radici rurali in quel di Nimis
ricordandosene sia quale primo assessore regionale all'agricoltura sia
quale presidente della giunta regionale in seguito.
A Salvador fu
affidata la presidenza dell'allora Centro regionale per il
potenziamento della viticoltura (poi Centro regionale vitivinicolo
presidente Piero Pittaro) e in tale veste egli fu vicino a Comelli che
volle fortemente (legge 29-67 sulle colture pregiate) il rilancio della
viticoltura collinare
altrimenti destinata all'abbandono
causa l'esodo
fisiologico di tante forze giovani attratte dal miraggio dell'industria
e del “triangolo della sedia”.
Salvador guardò al
Ramandolo con quel rispetto e quelle motivazioni che il “grande
Maestro” aveva più volte rappresentato e di tale esperienza fece
tesoro anche quale presidente della “Commissione Friuli” in seno al
Comitato nazionale vini D.O.C.; sopralluoghi e pubbliche audizioni lo
videro sempre in prima linea
anche per limare incomprensioni e
aggressività (verbali
s'intende) fra contrapposte correnti di
pensiero.
Fu sempre Salvador a
proporre quei corretti collegamenti fra consorzio
enti e studi
professionali
chiamati a gestire la fase più delicata del rilancio
territoriale in applicazione al cosiddetto “Progetto 5B”
strumento
comunitario destinato a segnare – in positivo – le fortune della
zona.
Un consorzio giovane
rinnovato e dinamico
seppe cogliere al volo
alla metà degli anni '90
le tante opportunità offerte dalla legislazione e dai provvedimenti per
aree di particolare interesse.
Non caddero allora
nel vuoto quelle indicazioni che Piero Pittaro
nella sua “diagnosi e
terapia” per un “Ramandolo fra passato e futuro”
già nel 1993
aveva dato ai più giovani colleghi.
All'alba del terzo
millennio
si stanno riconvertendo i vigneti con sistemazioni
intelligenti e barbatelle selezionate; si sta ripensando a una
metodologia di vinificazione che passa attraverso il nuovo impianto d'appassimento
cooperativo.
Al Ramandolo
che ha
ottenuto in questi giorni la D.O.C.G. – primo nel Friuli
avendone i
numeri per quantità
qualità e immagine – si vuole ora dedicare una
bottiglia unica e suggestiva
pronta ad affrontare una ristorazione di
nicchia che già lo guarda con deferenza
riconoscendogli “attributi”
particolari e la capacità di uscire dal coro
distinguendosi dalle
imitazioni.
1. G. Longo
La conquista del Ramandolo; una prospettiva per i
giovani
“Il Ramandolo gioiello del Friuli - Realtà
problemi e
prospettive”
pp. 7-12
Nimis 1993.
2. Ibidem
p. 8.
3. Ibidem
p. 8.
4. Atti II Annuale Esposizione - Fiera dei Vini dell'Alto
Friuli in Nimis
Novembre 1909
Circolo agricolo di Tarcento
Tipografia
del Patronato
Udine 1910.
5. Ibidem
pp. 10-11.
6. Leggasi “Mostra di prodotti agrari”
Associazione Agraria
Friulana
Udine 20-23 aprile 1893.
7. G. Perusini
La viticoltura nella zona di Ramandolo
estratto
da “L'Agricoltura Friulana”
n°
51 del 22 dicembre 1934
XIII E.F.
Cattedra ambulante di agricoltura
per la provincia di Udine
Tipografia D. Del Bianco e Figlio
Udine
1934.