vigneto Friuli

LA "MALVASIA ISTRIANA" (2)
Storia provenienza diffusione

Il nome generico di "Malvasia" sta a indicare una grandissima famiglia il cui vitigno capostipite ha originato una enorme discendenza. Sono parecchie decine le "Malvasie" che per distinguersi portano anche il titolo nobiliare ossia "Malvasia di..." In questa nostra scheda parleremo della nostra "Malvasia" della "Malvasia d'Istria" e "Malvasia friulana". Prima però di entrare nel vivo della trattazione diamo uno sguardo all'origine di questo strano nome di vitigno. Nella regione greca del Peloponneso un tempo chiamata Morea esisteva una città chiamata Monembasia. Zona celebre per i suoi vini terra di conquista per l'importante posizione strategica fu anche dominio della "Serenissima". Sembra appunto che i veneziani abbiano diffuso questo vitigno prima a Creta poi in Italia. La diffusione continuò poi in Spagna Portogallo Francia fino alle isole Canarie. Italianizzato il vitigno di "Monembasia" o "Monemvasia" divenne "Malvasia".
Le prime tracce di impianti di vini "Malvasia d'Istria" risalgono al 1300 circa. Le zone di coltivazione salivano da Rovigno Parenzo Cittanova fino al Carso triestino e goriziano. Lentamente poi passarono alla bassa friulana alla zona trevigiana al Trentino. Ancora oggi la "Malvasia" ha una certa diffusione nel Friuli-Venezia Giulia trovandola come vitigno raccomandato dalla CEE nelle province di Gorizia Trieste Udine e Pordenone. In tutta la regione insomma. A differenza delle altre "Malvasie" (esistono "Malvasie bianche" "gialle" "rosate" "nere") la "Malvasia d'Istria" non ha sapore marcatamente di moscato. Il frutto è quasi neutro o solo poco aromatico.

TERRENI
Vista l'enorme diffusione di questo vitigno nelle sue innumerevoli famiglie possiamo dire che ogni terreno è adatto a questo vitigno. Dobbiamo però altrettanto categoricamente affermare che ogni terreno dà una "Malvasia" diversa.
Certamente le colline che da Tarcento arrivano al "Collio" con la marna eocenica o l'avaro roccioso secchissimo del "Carso" sono il grembo ideale di questo vitigno che deve essere contenuto nella produzione per dare una qualità superiore. In queste zone la produzione è scarsa ma in proporzione inversa la qualità del vino. In pianura il vino riesce di inferiore qualità per la grande vigoria la forte produzione.

LA VITE
Vitigno di notevole vigoria con tralci a frutto spesso difettosi per cecità delle gemme centrali. Buona la resistenza alle malattie anche se teme l'oidio. Data la leggera consistenza della buccia succede spesso che nelle stagioni piovose gli acini scoppiano con conseguente marciume (Botrite).

IL VINO
Con lo stesso vitigno coltivato in collina o in pianura troviamo due vini completamente diversi. La "Malvasia" di pianura specie quella prodotta in terreni sabbiosi o comunque abbastanza fertili è un vino di colore giallo paglierino scarico con riflessi verdognoli leggermente profumato con bouquet che ricorda la limoncella? Sapore secco citrino poco caldo. E' un vino beverino non impegnativo leggero corpo e di alcool facilmente digeribile anche se bevuto in cospicua quantità. Non stanca accompagna cicisbeo discreto la cucina anche un po' grassa mai soverchiando con la sua personalità quella del cibo. Il discorso cambia notevolmente quando l'altitudine aumenta. Non più discreto ma con prorompente personalità spicca tra i migliori vini friulani. Di colore giallo paglierino tendente al giallo oro alcolico grasso per abbondante glicerina pur conservando innata una certa dose di aggressività citrina bouquet leggermente aromatico e personalizzato il "Malvasia del Colli" o del "Carso" è un vino particolare. Attenti quindi amici dell'arte della buona tavola a studiare bene gli accostamenti. Perchè? Perchè ogni paese della pianura friulana della collina goriziana o del Carso triestino ha una « sua » "Malvasia".

Riferimento bibliografico : ( Piero Pittaro LA "MALVASIA ISTRIANA" Storia provenienza diffusione dalla rivista IL VINO 1982)

MALVASIA (1)

"Se dovessimo anche solo elencare tutti i vitigni che più o meno legittimamente portano il nome di "Malvasia"- e quindi cercare di stabilire quali hanno ragione di conservare questo nome e quali no - dovremmo occupare varie pagine senza sperare di riuscire nell'intento. Lo stesso Giuseppe DI ROVASENDA malgrado la sua straordinaria perizia e consumata esperienza nel districare garbugli del genere dopo aver dedicato cinque lunghe colonne del suo «Saggio» per elencare i diversi vitigni che a lui risultavano sotto questo nome confessava : "Io non ho fatto altro che mettere ordinatamente sott'occhio ai viticoltori dei diversi paesi le molte varietà di "Malvasie" che si trovano citate negli autori. Il decifrarne le identità o le differenze porterebbe ad esami e discussioni che non potrebbero aver luogo in questo elenco e d'altronde nello stato attuale delle mie cognizioni e delle mie esperienze io temerei di non riuscirvi". E tanto meno noi !
Anche nel vol. VII della grande "AMPÉLOGRAPHIE" di P. VIALA et VERMOREL l'elenco delle "Malvasie" occupa quasi 2 colonne ed è preceduto da questa avvertenza: "il nome di "Malvasia" "Malvasier" "Malvoisie" e applicato a una quantità di vitigni diversissimi e i qualificativi che seguono questi nomi non hanno nella maggior parte dei casi nessun significato determinativo; quelli che accoppiati ai nomi sotto elencati designano un vero vitigno saranno indicati più sotto; gli altri non si sono potuti riferire ad un vero vitigno."
Altri lunghi elenchi di nomi di "Malvasie" figurano nell'eccellente AMPELOGRAFIA di G. MOLON (e alle varie Malvasie descritte sono dedicate complessivamente 16 fittissime pagine). Ci limitiamo a ricordare queste tre opere fondamentali perchè la bibliografia riguardante i vitigni di questo nome ben si può dire sterminata. Ma a differenza dei Moscati che pure rappresentano una famiglia quanto mai numerosa e complessa di vitigni nel caso delle "Malvasie" ci si trova subito di fronte ad una difficoltà che ha dato luogo in passato a lunghe discussioni fra gli ampelografi. Per i Moscati v'è un carattere comune che costituisce la condizione sine qua non perchè un vitigno possa portare questo nome: quello del caratteristico "aroma di Moscato" dell'uva. Come abbiamo avvertito nel paragrafo della monografia dei "Moscati bianchi" (da vino) sin dai primi tentativi di tassonomia ampelografica si ravvisò anzi la necessità di far posto a uno o più gruppi di vitigni con uva "a sapore di moscato". Nel sistema di classificazione del DI ROVASENDA tale carattere figura anzi al 2° posto subito dopo quello del colore dell'uva.
Ma nel caso delle "MALVASIE" le cose sono ben più complicate perché accanto ad un numeroso gruppo di "Malvasie" con uva a sapore aromatico ve n'è un altro non meno numeroso di uve a sapore semplice !
Non ci sembra il caso d'indugiare qui a discutere se o meno le seconde abbiamo diritto a portare questo nome. Per quanto gli ampelografi del secolo scorso propendessero piuttosto per escludere tale diritto oggi nessuno più s'arbitrerebbe di farlo. E ancora una volta il pensiero del DI ROVASENDA al riguardo - che risale a quasi novant'anni fa - può essere a ragione ricordato:
"A mio avviso - egli scrisse nel suo «Saggio» - dovrebbero dirsi Malvasie solo quelle uve profumate (noi oggi diciamo: aromatiche) che hanno il sapore speciale di Moscato un po' amarognolo. Sono però troppe le uve a sapore semplice chiamate Malvasie perchè si possa sperare di spogliarle del nome che portano benchè indebitamente". Per spiegare il motivo che faceva considerare come "Malvasie legittime" solo quelle a sapore aromatico ( e lo stesso Molon propendeva per questa tesi) bisogna ricorre alla storia. Perciò tralasciando di continuare il discorso sui sinonimi o nomi errati cerchiamo piuttosto di sintetizzare brevemente la storia di questi vitigni.
A differenza dei Moscati - per i quali tutti gli ampelografi antichi o moderni concordano nel ritenere che almeno alcuni di questi vitigni (specialmente i Moscati bianchi da vino) dovevano essere già ben noti e coltivati sin dall'antichità classica forse già fin dai tempi di Catone cioè almeno due secoli a.C. quasi certamente sotto il nome di "Apiciae" (VARRONE COMUMELLA PLINIO) di "Apianae" - per le Malvasie non si possono addurre serie testimonianze che permettano un'analoga affermazione. Questa è pure l'autorevole opinione di uno dei più valenti studiosi greci di questi vitigni: il prof. B. KRIMBAS Vice-Rettore della Scuola di Alti Studi di Agronomia di Atene e docente di Viticoltura presso detta Scuola al quale dobbiamo un'eccellente monografia (del 1943) sul "VINO E I VITIGNI MALVASIA". Taluno egli osserva ha creduto di poter trovare allusioni a questi vitigni là dove gli Autori greci o latini parlano di vini che noi oggi diremmo "passiti" o anche più genericamente liquorosi o dolci ma è un'ipotesi gratuita.
Anche i più recenti accurati studi del prof. B. LOGOTHETIS esimio Docente di Viticoltura nell'Università di Salonicco che a quest'argomento s'è dedicato con particolare competenza e passione (tenendo anche una conferenza su di esso presso la Facoltà di Scienze Agrarie di Napoli il 14 giugno 1963 di cui ci ha cortesemente favorito il testo) portano alla stessa conclusione: neppure gli scritti di ESIODO DIOSCORIDE DEMOCRITO o nelle GEOPINICHE di CASSIANO BASSO si può rintracciare alcun nome che possa ricordare quello della Malvasia. Qual'è dunque l'origine del nome (e del vitigno) ?
Si può oggi sicuramente affermare che il nome non si rintraccia in documenti che risalgano più in là del Trecento. Anche nella "GRANDE STORIA DELLA VITE E DEL VINO IN ITALIA" le numerosissime citazioni di questo nome cominciano precisamente dai primi decenni di quel secolo. Riguardano però quasi sempre i "vini" noti con questo nome (o con quello di "Malvagia" ): non le uve o i vitigni . Ed è singolare che molte di tali citazioni si riferiscono a documenti riguardanti la Repubblica Veneta.
Qui è subito da mettere in chiaro i motivi di questo fatto. Ormai è fuor di dubbio che il nome "Malvasia" deriva da quello d'una città greca - della Morea oggi Peloponneso - : "Monembasia" o "Monemvasia" o "Monovaxia" il cui significato letterale è: ( «porto» che ha una sola entrata) degenerato poi in "Malfasia" e italianizzato in "Malvasia". Secondo quanto dimostrato ha dimostrato il nostro glottologo Prof. G. ALESSIO in una breve interessante nota d'etimologia viticola la voce italiana di "Malvasia" passò allo spagnolo "Malvagia" al portoghese "Malvasia" al francese "Malvoisie" (non il contrario come suppone il LOGOTHETIS) all'inglese "Malvesie" e "Malmsey" al croato "Malvasije" allo sloveno "Malvelzevec" .

Già nel 13° secolo (come ricorda il LOGOTETHIS) Demetrio PEPOGOMENOX e Niceforo CHOUMNOS parlavano in modo esplicito del "vino di Monobasia o Monembasia" come di vino prodotto nel territorio alle spalle della piccola città la quale era soprattutto una formidabile fortezza per la sua posizione strategica (su d'un'alta roccia con porto naturale come dice il nome avente un'unica ristretta entrata). Nel 1248 i Veneziani (che avevano aiutato Guglielmo di VILLEHARDUNIN a impadronirsi di Monembasia) penetrarono più addentro nella regione produttrice di tale vino; e ne trasportarono i vitigni nell'isola di Creta (che occupavano fin dal 1204 all'epoca delle Crociate) mentre la città Monembasia passava in loro dominio più tardi (nel 1419). Il dominio dei Veneziani su Creta e altre isole dell'Egeo continuò fino alla seconda metà del XVIII secolo e durante questo periodo la produzione e il commercio del vino di Malvasia divenne attivissimo per poi decadere fino a praticamente cessare sotto la dominazione turca.
Se e fino a che punto il vino che si produceva a Creta fosse eguale a quello originario di Monembasia sarebbe azzardato voler oggi precisare. Secondo quanto scriveva nel Quattrocento un viaggiatore svizzero Felix FABER che aveva visitato la Grecia e l'Oriente esso sarebbe stato anche migliore ! Pietro BELON nel 1589 (cita ancora il LOGOTETHIS) scriveva che nell'isola di Creta si producevano due tipi di Malvasie: l'uno dolce l'altro asciutto (chiamata dai veneziani "Malvasia garba" cioè acidula). La prima liquorosa ed assai più adatta ai trasporti (mentre probabilmente la seconda durante il viaggio inacetiva !).
Può essere interessante avvertire (col LOGOTETHIS) che fin d'allora si cercava di giocare sulle denominazioni d'origine. Una ducale del Senato della Repubblica veneta del 2 luglio 1342 disponeva infatti che "siccome il vino di Monobasia all'esportazione paga 10 libbre per ogni anfora il vino di Creta solo 6 e molta Malvasia vien fatta venire da Creta ed è esportata a Venezia pagando il dazio del vino di Creta e da questo Comune subisce un forte danno; visto che la Malvasia si Monobasia può essere trasportata pure come Malvasia di Creta dato che non è possibile distinguere l'una dall'altra (!) per evitare quest'abuso si delibera che d'ora innanzi qualunque vino malvasia di qualsiasi provenienza paghi all'esportazione per Venezia libbre 8 su ogni anfora....". Saggia decisione ! Altre ducali veneziane che nominano la Malvasia sono datate 9 ottobre 1326 24 settembre 1381.
Certo che sotto il nome di Malvasia molto vino (specialmente di tipo liquoroso) doveva giungere a Venezia e nei dominii di terraferma della Repubblica di San Marco. E ne giungeva certamente anche dall'isola di Chio erroneamente ritenuta da taluni la vera terra d'origine del vitigno. Come già ebbe a dimostrare KRIMBAS la confusione può essere derivata dal fatto che in tale isola si produceva da tempo un'eccellente vino liquoroso del tipo Malaga e i suoi vini erano anzi considerati anche più fini della Malvasia di Creta. Certo si è è che questi vini a Venezia s'erano diffusi a tal punto che verso il '600 invalse l'uso di chiamare "Malvasie" i locali i cui si vendevano vini importati dall'oriente o come si chiamavano "vini navigati" o "vini greci".
Sotto una bella stampa del '700 che rappresenta l'interno di una di queste osterie (forse originariamente "per i signori") si legge: "Ad ogni ordine davano ricette di Malvasie ed era invero bellissimo a vedersi quel quadro di varietà che esse offrivano e piacevole eziandio l'andare e venire continuo che in quella specie di botteghe aveva luogo".
Ma con i vini vennero certamente esportati anche i vitigni: quindi la Malvasia originaria ed altri che ad essa s'aggiunsero al fine di aumentare la produzione di fronte alla crescente richiesta. E i vitigni si diffusero in Italia Francia Spagna e Portogallo... e persino nelle isole Canarie e si frammischiarono a quelli locali. Se si aggiunge che non di rado essi venivano importati e diffusi sotto il nome di "Greci" ed evidentemente almeno una parte di essi producevano uva a sapore semplice si può facilmente spiegare quale caos sia derivato dal punto di vista ampelografico e come sia oggi impossibile discriminare i legittimi dagli spurii.
Troppo lungi ci trarrebbe voler anche sommariamente qui ricordare tutti gli Autori italiani che dal Trecento in poi parlarono o almeno nominarono la "Malvasia" o "Malvagia". Rimandiamo chi lo desideri alla sovracitata "STORIA DELLA VITE E DEL VINO IN ITALIA". Qui ci limitiamo ad accennare che oltre a Venezia fin dal Trecento i vini di questo nome erano ben noti e apprezzati nel Friuli come ripetutamente appare negli "ANNALI DEL FRIULI" del MANZANO e se ne facevano omaggio agli illustri visitatori della città di Udine. Si vuole anzi che l'Austria agognasse d'avere (fin d'allora) Trieste anche per la fama dei suoi vini (fra i quali la "Malvasia" ! ). I vini di "Malvasia" non erano men noti in Toscana come ne dà più d'una prova il trecentesco novelliero FRANCESCO SACCHETTI; anzi secondo il Prof. P. MICHELI pare che nel Trecento la "Malvasia" avesse tolto il primato alla "Vernaccia" toscana. Ma le "Malvasie" vanno moltiplicandosi in Italia come risulta dalla monumentale "DE NATURALI VINORUM HISTORIA ecc." del dotto medico di Sisto V ANDREA BACCI (Roma 1596) il quale ripetutamente nomina vini fatti con uva di "Malvasia" in varie parti d'Italia: da Ascoli Piceno a Fano Todi Pistoia. E il vino di "Malvagia" figura in testa a un elenco dei vini che la cantina da una Corte cinquecentesca doveva possedere per essere sempre pronta "alla venuta di ogni gran Principe..." come dice un competente in materia cioè messer CRISTOFORO di MESSISBURGO capocuoco di Casa d'Este a Ferrara in un suo curioso "LIBRO NUOVO nel qual s'insegna il modo d'ordinar Banchetti ecc." pubblicato a Venezia nel 1552.
Di Malvasie bianche dolcissime ma il cui vino era "differente in bontà da quel di Candia" (ossia da quelli di Creta di cui abbiamo più sopra parlato) famose "DIECI GIORNATE DELLA VERA AGRICOLTURA" pubblicate la prima volta a Brescia nel 1550 (e divenute poi Venti). E un cenno non meno curioso ne fa G.V. SODERINI nella non meno famosa sua "COLTIVAZIONE TOSCANA DELLE VITI".

(1) riferimento bibliografico DALMASSO G. : "Malvasie" - Rivista di viticoltura e di Enologia Anno XVI - N° 12 Conegliano (TV) dicembre 1963