vigneto Friuli

ENOVAGANDO - DELLE VITI E DEI VINI (*)
di
claudio fabbro 

PREFAZIONE

                        L'impegno del mondo agricolo friulano (Enti Istituzioni Cooperative privati) per la creazione ed il consolidamento di un sistema vivaistico viticolo post-fillosserico forte e duraturo fu complementare a quello della ricerca nel settore vitivinicolo. Accanto ad una consolidata base "autoctona" che l'agronomo e l'enologo si avviavano progressivamente ad affinare nelle vigne e nelle cantine cogliendone il meglio in termini di qualità cresceva l'interesse per vitigni provenienti da altre regioni estere altamente vocate austriache tedesche e soprattutto francesi.
                        Un lavoro davvero monumentale teso a rimettere ordine nelle vicende storiche (o più spesso leggendarie) del "Vigneto Friuli" "ante litteram" fu merito del Consorzio Provinciale tra i Produttori dell'Agricoltura-Sezione Viticoltura di Udine che promosse l'"Atlante Ampelografico" stampato nel 1939 dalle Arti Grafiche di Pordenone.(10)
                        L'opera riuniva una serie di tavole a colori completate con eccezionale precisione dal dott. Guido Poggi cui si deve la descrizione dei vitigni (e relative  uve e vini) sotto il profilo storico ampelografico enologico e tecnico.
                        Il prezioso lavoro venne presentato il 30 novembre 1939 dal prof. Giovanni Dalmasso Direttore della Regia Stazione di Viticoltura e di Enologia di Conegliano Veneto (TV) che ne illustrò i contenuti in questi termini:
                        "L'opera che vede ora la luce è stata a lungo meditata. Essa è frutto d'una fervida tenace passione per la viticoltura d'una delle più nobili terre d'Italia. Ciò è necessario dire subito perchè non possa essere giudicata quasi eccessiva l'audacia di coloro che fortemente vollero fare non solo un'arida ampelografia ma vivificare il loro studio di tecnici riproducendo in tavole a colori gli acquarelli d'un geniale artista che ritrasse dal vero le caratteristiche dei vitigni qui illustrati.
                        E' questo un esempio veramente notevole di ampelografia regionale che è da augurarsi trovi imitatori. Il merito dell'iniziativa spetta indiscutibilmente al Consorzio per la Viticoltura di Udine (prima della trasformazione in "Sezione del Consorzio Provinciale tra i Produttori dell'Agricoltura") così valorosamente presieduto dal Comm. Giuseppe Morelli de Rossi appassionato e competente proprietario viticoltore. Ma è il dott. Guido Poggi - che fin dal 1927 ha retto di fatto se non di nome il Consorzio stesso - che va in modo speciale il nostro compiacimento per aver egli atteso con la più intelligente scrupolosità l'attuazione del lavoro dal punto di vista ampelografico indirizzandolo e assistendo anche l'opera del pittore.
                        I 19 vitigni che figurano in quest'opera sono in parte vecchi taluni vecchissimi vitigni friulani di cui qualcuno ormai appartenente più alla storia della viticoltura prefillosserica che non alla nuova.
                        Ma era bene che in un'ampelografia provinciale come questa essi non fossero dimenticati. Gli altri sono vitigni forestieri introdotti più o meno recentemente nel Friuli. Per la maggior parte essi hanno dimostrato tali doti di adattamento all'ambiente e tali pregi nella loro produzione d'aver ormai conquistato un posto eminente nella viticoltura della provincia.
                        Essi hanno perciò ben meritata la cittadinanza friulana ed è più che giusto che essi figurino accanto a quelli indigeni.
                        Auguriamo che quest'opera sia non solo di utilità per gli agricoltori del Friuli guidandoli nella ricostruzione dei loro vigneti ma - ripetiamo - anche d'incitamento agli studiosi ed ai tecnici di altre nostre provincie.
                        Da un complesso di lavori di questo genere potrebbe finalmente venire realizzata la tanto auspicata Ampelografia Generale Italiana ." (10)
                        La seconda guerra mondiale prima e successivamente l'impegno prioritario teso a ripristinare un benessere materiale e spirituale devastati dalle tristi vicende frenarono alquanto sia la ricerca teorica che quella applicata in agricoltura ed ovviamente in vitivinicoltura.
                        Conseguentemente anche la produzione pubblicistica visse un momento di stasi anche perchè negli anni '50 il "Vigneto Friuli" procedeva confusamente alla ricerca di una propria identità.
                        L'onda lunga delle distruzioni fillosseriche aveva riempito le cantine di vini di modesta qualità poichè dominavano i cosiddetti "ibridi produttori diretti" successivamente messi al bando per legge.
                        Nelle osterie era normale tagliare il prodotto autoctono di scarsa gradazione con vini meridionali molto alcoolici ed i termini "Puglia" e " Tajut" erano molto familiari.
                        Le "OSMIZZE" carsiche ed ancor più le "FRASCHE" proponevano soprattutto vini rossi al netto di una tecnologia che per anni latitò nelle nostre cantine di piccolo/medie dimensioni.
                        Alla metà degli anni '60 il ritrovato generale benessere e l'applicazione della legge sulle D.O.C. (D.P.R. 930/63) segnarono la svolta decisiva dando inizio - come ricorda il FILIPUTTI (7) - al cosiddetto "rinascimento".
                        Il "COLLIO" colse per primo tali felici opportunità (la D.O.C. relativa risale al 24/5/1968) ed il territorio risentì delle iniziative consortili ( condotta enologica promozione ecc.) di valorizzazione di un suggestivo territorio di frontiera che quasi in contemporanea l'"AGRITURIST" regionale contribuì a far conoscere con la "STRADA DEL VINO E DELLE CILIEGIE".
                        Fino alla Prima Guerra mondiale il riferimento del cosiddetto "FRIULI AUSTRIACO" era rivolto all'Istituto di Klosterneuburg (Vienna) e le indicazioni del medesimo nell'ambito del IV° Congresso Enologico Austriaco del 1891 (8) costituiscono una base operativa molto importante. Dopo il 1923 fu l'Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano Veneto a trasferire nella nostra regione il miglior esito delle proprie ricerche e la presenza di tanti validi enologi formatisi alla Scuola veneta incise profondamente nella crescita professionale dei viticoltori.
                        Ed è proprio l'analisi del comparto fatta da CALO' e COSTACURTA nell'ambito d'"EUROVITE 1991" in Gorizia (trasferita nel pregevole "DELLE VITI IN FRIULI") a costituire un documento di grande spessore al riguardo. (4)
                        Personalmente iniziai ad entrare nel vivo del "VIGNETO FRIULI" alla fine degli anni '60 per dare corpo alla mia tesi di laurea che il benemerito "DUCATO DEI VINI FRIULANI" guidato dagli indimenticabili prof. Ottavio VALERIO e dal giornalista Isi BENINI ritennero degna di pubblicazione.
                        Nacque così nel 1977 "VITI E VINI DEL FRIULI" (6).
                       L'avvento dell'Ente Regione stimolò gli imprenditori agricoli a rinnovare le vecchie vigne e ristrutturare cantine obsolete intervenendo sia con contributi che con gli strumenti del Credito Agrario. Parallellamente venne attivato il Centro Regionale Vitivinicolo presieduto nell'ordine dagli Enologi  Orfeo SALVADOR e Piero PITTARO.
                        Si deve al Centro un'intensa attività promozionale ma anche pubblicistica con il periodico "UN VIGNETO CHIAMATO FRIULI" e la guida più volte aggiornata "LA TERRA DELL'ORO". (2)
                        Si deve in particolare a Piero PITTARO se tanti viticoltori e vivaisti viticoli del passato e del presente si sono ritagliati uno spazio nella storia ma anche se le caratteristiche ampelografiche dei vitigni autoctoni o importati e quelle organolettiche dei vini sono state riunite in pubblicazioni tuttora di grande attualità. (9)
                        Un'utile guida alla miglior conoscenza dei vitigni autoctoni oltre che dai lavori di CALO' e  COSTACURTA (4) FABBRO (6) FILIPUTTI (7) PITTARO (9)  e  dal  più volte citato POGGI (10)  è quella curata da FORTI e BULFON nel pregevole "DALLE COLLINE SPILIMBERGHESI NUOVE VITI E NUOVI VINI". (1)
                        Nello stesso libro oltre al notevole spazio riservato ai vitigni "salvati"  di tale area pordenonese vengono riproposte le caratteristiche di altri autoctoni peraltro già a suo tempo studiati dal  POGGI (10).
                        E' ancora una volta PITTARO a curare anche in questo lavoro le schede di degustazione dei vini completando in tal senso l'aspetto ampelografico e scientifico - più affini al pensiero di un addetto ai lavori - con valutazioni accessibili a qualsiasi lettore appassionato al mondo della vite e del vino. (Claudio Fabbro)

 

PICOLIT 
            "E' una gloria ed un vanto della viticoltura friulana ed è la dimostrazione evidente che anche a latitudini elevate alcuni vitigni possono dare dei prodotti di bontà veramente superiore.
            Vitigno certamente antichissimo tantochè il Goldoni lo celebrò chiamandolo "del Tokay germano" riferendosi si intende al Tokay ungherese.
            Il Gallesio lo onorò di una descrizione nella sua Ampelografia riproducendo in una tavola grappolo e foglia. Qualche Autore lo ritenne anche coltivato ai tempi dei Romani.
            Il conte Fabio Asquini nella seconda metà del Settecento lo riproduceva in quel di Fagagna in discreta quantità e si dice che ne esportasse oltre 100 mila bottigliette della capacità di un quarto di litro alle corti di Francia d'Austria e di Russia; anche i Papi tenevano il vino in grande considerazione. (10)
            Nella "Storia della Vite e del Vino" il prof. Giovanni Dalmasso al capitolo XIX-Vol.III scrive a proposito di Picolit: "nel Settecento  per la grandissima fama del vino che se ne otteneva era andato diffondendosi nelle vicine province ed era anche arrivato in Toscana portatovi dal Canonico Andrea Zucchini ed in Emilia (Scandiano)". Ed ancora egli accenna alla memoria di F. M. Malavolti (anno 1772) che scriveva: "il Picolit che non solo anco di recente ha potuto gareggiare alle mense di Forestieri Signori e Sovrani con quelli dei migliori climi ma ha potuto eziandio a nostra gloria riportare la palma". Egli alludeva ad un invio fatto dal conte di Montalbano di Picolit di Conegliano al re di Francia. (10)
            Ed ancora il prof. Dalmasso nella sua pubblicazione: "I vini tipici dei Colli Trevigiani" si sofferma largamente sulla coltura del Picolit nella provincia di Treviso: il vino veniva spedito nei più lontani paesi ed era talmente tenuto in onore che negli Atti dell'Accademia dell'Agraria di Conegliano in data 18 marzo 1778 si legge che fu "deliberato di stampare 2.500 copie del certificato comandato dall'Ecc.mo Senato col suo decreto 10 giugno 1786 di esenzione dei dazi stradali del Picolit di Conegliano siccome pure di eleggere uno del corpo di detta Accademia Deputato a controllare la spedizione di tale vino ed a rilasciare i prescritti certificati". (10)
            "Antonio Zanon insigne agronomo friulano (1767) scriveva che le mense di Germania Inghilterra e Francia venivano allietate da questo delizioso vino. F.M. Malvolti (1772) annotava il grande successo ottenuto dal Picolit alla Corte di Francia.  Lodovico Ottelio (1761) parla della diffusione del Picolit in molte Nazioni per opera del co. Fabio Asquini. Lo descrive quindi Odart (1849) Agazzotti (1867) Di Rovasenda (1877). Stranamente viene dimenticato dal Molon forse perchè all'inizio di questo secolo il vitigno era quasi scomparso. Ma se le tracce circa l'origine di questo vitigno sono incerte altrettanto si può dire dei luoghi di coltivazione.
            La bontà di questo vino ebbe nel secolo diciassettesimo tale fama che il vitigno prese la via di Conegliano Treviso Vicenza Bassano e poi giù fino in Emilia e Toscana. (9)
            Tutti gli Autori che abbiamo citato parlano infatti di Picolit coltivato fuori dal Friuli. Ma se ebbe gran fama in quelle zone in breve tempo sparì a causa prima della degenerazione del fiore e poi dell'invasione fillosserica. Poche migliaia di ceppi rimasero sparsi fra le colline friulane e il nome quasi scomparve. Non a caso il Poggi e gli altri Autori parlano di vinificazione del Picolit con altre uve tanto poca era la sua quantità.
            Attualmente quindi vegeta solo nei terreni eocenici delle province di Udine e Gorizia (marne ed arenarie del Collio e Colli Orientali del Friuli) dove dà il massimo del suo splendore.
            Colore giallo paglierino talvolta carico spesso giallo oro zecchino giallo oro vecchio o quasi ambrato dopo alcuni anni di invecchimento. Profumo che ricorda il favo d'api colmo di miele prodotto con tutti i fiori dei campi. Bouchet ampio di eccezionale eleganza straordinariamente amalgamato che dona in sequenza un'incredibile serie di sfumature aromatiche: i fiori di campo appunto.
            Sapore dolce-non dolce di nobile razza aristocratico lunghissimo nelle sensazioni che variano in continuazione. Non una nota stonata e nemmeno più forte dell'altra. Difficile l'accostamento di questo grandissimo vino da meditazione sorprendentemente buono su alcuni formaggi piccanti. Va servito fresco ma non freddo.(9) 

CABERNET  FRANC
            E' questa una vite che si adatta molto bene a quasi tutti i terreni ma i risultati migliori si ottengono nei terreni sassosi delle grave dei fiumi. Ottimi anche gli impianti di collina. Necessita di una attenta concimazione specie in pre-fioritura per portare la vite in piena vigoria al momento della fecondazione.
            La "Gironda" è quella zona altamente viticola della provincia francese di Bordeaux che è situata tra i fiumi Garonna e Dordogna nel tratto finale dei due fiumi prima cioè dell'oceano. Da qui sono partiti per diverse parti del mondo ed anche l'Italia i vitigni "Cabernet franc" "Cabernet sauvignon" "Merlot" e "Malbech" "Semillon" ecc. L'introduzione in Italia dovrebbe risalire al 1820 per merito del Conte Manfredo di Sambuy il quale effettuò i primi impianti nella sua proprietà di Valmagra nei pressi di Marengo (Alessandria). Nelle tenute del conte Corinaldi a Lispida sui Colli Euganei lo troviamo coltivato nel 1870. Nel 1867 figura nella collezione ampelografica del  ROVASENDA a Verzuolo (Cuneo) mentre alla Reale Scuola di Viticoltura ed Enologia di Conegliano arriva nel 1877. Attualmente ha grande diffusione nel Friuli-Venezia Giulia nel Veneto nel Trentino Alto Adige.
            Certamente il "Cabernet franc" è uno dei più grandi vini del mondo sia che venga vinificato puro sia in uvaggio con una parte di "Sauvignon" o di "Merlot". Selvatico e caratteristico nel suo sapore erbaceo da giovane aggressivo aristocratico pieno di gran corpo. Colore rosso rubino talvolta rosso sangue se vinificato con macerazione prolungata. Scarso di alcool e ricco di acidità e di tannino questo vino si presta ottimamente all'invecchiamento anche di 4-6 anni. Con tale pratica perde ma non del tutto l'erbaceo giovanile si affina diventa  elegante e generoso di gran stoffa guadagnandosi l'alloro di grandissimo vino.
            E' vino da carni fredde della grande cucina arrosti di carni bianche e rosse pollame nobile cacciagione e selvaggina.(9) 

SCHIOPPETTINO
            La "Ribolla nera" chiamata "Schioppettino" nel Comune di Prepotto e dintorni "Pocalza" nelle zone di confine e in territorio Sloveno è uno dei vitigni sicuramente indigeno-friulano originario con ogni probabilità nella zona friulana fra il comprensorio di Prepotto e una parte confinante della vicina Slovenia che a suo tempo era zona italiana.
            Il ROVASENDA (10) cita una "Ribolla nera" a germoglio tomentoso e con foglia glabra quinquelobata proveniente da Udine. Nessuna altra notizia siamo riusciti a trovare nella numerosa bibliografia consultata. Attualmente lo  "Schioppettino" è diffuso in quantità limitata nel Comune di Prepotto e nella frazione di Albana. Qualche raro filare in zone limitrofe. Da poco tempo su interessamento del Consiglio comunale è stato riconosciuto assieme al "Tazzelenghe" e al "Pignolo" come vitigno autorizzato. Non è invece dato a sapere l'origine del nome "Schioppettino" che ha sostituito quello di "Ribolla nera". Con ogni probabilità il vino di contenuto grado alcolico ma di alta acidità fissa imbottigliato giovane completava la fermentazione malolattica in bottiglia. Diventava quindi leggermente frizzante dando l'impressione sia all'udito che in bocca che l'anidride carbonica che sviluppava scoppiettasse in quanto si liberava con rapidità dando piccoli zampilli. Da qui il suono quasi onomatopeico di "Schioppettino".
            Di buon corpo non molto alcolico con buona acidità fissa fresco e citrino. Colore rosso con sfumature e unghia violacea. Profumo che ricorda la mora selvatica il lampone il mirtillo. Con l'invecchiamento si evolve in elegante bouquet di sottobosco muschio legno aromatico. E' vino da piatti rustici della cucina locale friulana. Consigliato con pappardelle al sugo di lepre cinghiale capriolo. Servire a 16-18 gradi. (9) 

SYLVANER  VERDE
            E' un vitigno scarsamente coltivato in Italia ma che ha delle buone caratteristiche di qualità. La provenienza è molto incerta. Il BERGET lo vuole originario della valle del Reno. Altri lo ritengono proveniente dalla Stiria. VIALA' e VERMOREL lo fanno originario dalla Transilvania col cui nome ha una certa analogia. In Italia lo troviamo coltivato in discreta misura nell'Alto Adige nel Trentino nelle colline di Udine e Gorizia nel litorale di Aquileia.
            Giallo paglierino con marcate sfumature verdi. Citrino aromatico secco e molto asciutto molto caratteristico e personalizzato. Profumo netto di pesca matura mela verde e albicocca. Mediamente alcolico corpo snello stoffa elegante. E' vino da cogliere in gioventù.
            E' vino da antipasti all'italiana minestre in brodo e asciutte; arrosti e intingoli di carni bianche (pollame soprattutto). Va servito fresco a circa 10-12 gradi. (9) 

TAZZELENGHE
            Vitigno autenticamente friulano già descritto dal MOLON nella sua Ampelografia citato anche dal MARZOTTO nel volume "UVE da VINO" e descritto dal POGGI nel suo "ATLANTE dei  VINI FRIULANI. (10)
            La zona d'origine sicura è sconosciuta ma si sa con certezza che faceva parte di quella miriade di vitigni sparsi sulle colline friulane ed ora quasi tutti scomparsi. Assieme a pochi compagni di cordata si salvò dalla mannaia devastatrice quando dalla Francia arrivarono i più nobili "Merlot" "Cabernet" e "Pinot". Pochi impianti sono rimasti semi-abbandonati qua e là forse più per far ombra che uva. Così dopo il Medioevo dei vitigni friulani qualcuno sta rifiorendo a nuova gloria. (9)
            Con "Pignolo" e "Schioppettino" è stato salvato da perdita sicura col già citato Regolamento CEE 486 emanato l'8 marzo 1978 col quale si autorizzavano i suddetti vitigni alla coltura in provincia di Udine. Il "Tazzelenghe" è coltivato in poche zone tutte collinari: Buttrio Manzano Rosazzo e Cividale. (7)
            Con vinificazione e macerazione normale il vino risulta di un colore rosso intenso e molto tannico. Con lunga macerazione il colore rosso diventa intenso come il sangue e il tenore in tannino altissimo tanto da guadagnarsi l'appellativo di "Tacelenghe" ossia "Taglia-lingua". A questo dobbiamo poi aggiungere una certa dose di acidità fissa che rafforza l'asperità e l'astringenza del tannino. Vino duro e robusto alla nascita che s'ammorbidisce dopo due tre anni d'invecchiamento per i normali processi di ossidazione del tannino. Il colore rosso violaceo intenso vinoso da giovane si attenua cangiando in rosso mattone e si esprime con l'invecchiamento in bouquet ampio e piacevole. E' vino che va invecchiato in botte di legno e nonostante ciò il tannino domina sempre sugli altri sapori. Ma pulisce e sgrassa la lingua con nettissima personalità. Può non piacere ma è certamente un vino di grande interesse.
            E' vino da piatti rustici della cucina regionale arrosti e intingoli di carni bianche e rosse. Va servito alla temperatura di 18-20 gradi.(9) 

TOCAI  FRIULANO
            Molto si  è discusso su questo vitigno particolarmente  a proposito della grafia inquantochè sino a pochi anni or sono era in uso scrivere "Tokay".
            Tutto ciò poteva ingenerare errore e farlo confondere col celebre vino "Tokay" della non meno celebre regione viticola ungherese. A parte il fatto che il "Tokay" è fatto con uve che portano nomi ben diversi resta pur sempre stabilito che il nostro vitigno "Tocai" (scritto all'italiana così come giustamente propose il Comm. Morelli de Rossi che produce il vino omonimo) nulla ha a che vedere col vino ungherese.
            Il Prof. DALMASSO per definire la questione lo chiamò "Tocai friulano" e questo ritengo varrà a troncare ogni discussione in proposito. (10)
            Quali le origini del vitigno? il Prof. Cosmo nella sua pubblicazione "Rilievi Ampelografici Comparativi su "Vitis vinifera"" scrive: "Sulla origine del "Tocai" in ogni modo nulla di positivo ci è dato di sapere" ed ancora "rimane da chiarire da dove il "Tocai" sia giunto nel Veneto ove è diffuso specialmente nel Distretto di Portogruaro (Prov. di Venezia) con centro a Lison ed in Provincia di Udine soprattutto nella zona collinare orientale.
            Che si tratti di vitigno austro-ungarico attualmente scomparso da quei Paesi importato nel Veneto in seguito ai secolari rapporti politico-economici di questo con quelli? Oppure che si tratti di un vecchio vitigno veneto trapiantato in Ungheria e poi ritornato a noi con il nuovo nome? Che l'Ungheria abbia importato viti dall'Italia non è cosa nuova; si ha notizia che sino dall'undicesimo secolo dei Missionari italiani chiamati in Ungheria dal Re Stefano portarono seco viti i cui nomi più o meno alterati passarono poi ai vitigni oggi ritenuti ungheresi ("Furmint" "Fioremonti" "Bakator" "Baccadoro" ecc.)" ed oltre "per concludere su questo argomento diremo dunque che nelle ampelografie non v'è traccia del vitigno al quale si possa ascrivere il "Tocai friulano". Che di conseguenza continueremo a chiamare con quel nome fin tanto che non se ne sarà svelata la sua vera origine". (10)
            Il Prof. DALMASSO in "La Vite ed il Vino del Settecento"  "Storia della Vite e del Vino in Italia" - ricorda che A. Fappani nel Saggio Storico dell'Agricoltura Trevigiana citava ad onore l'Abate Giacomo Vinciguerra di Collalto il quale avendo nell'anno 1771: "in una deliziosa e ricca vignetta di S. Salvatore (presso Susegana) piantato delle viti di "Tokay" giunse a spremer da quelle nobil vino e generoso al pari dell'ungarico". Se quel "Tokay" era "Tocai friulano" sino da allora il vitigno non smentiva la sua nobilità.
            Certamente è la migliore delle varietà coltivate in provincia; vigorosissimo produttivo ampelograficamente ravvicinantesi al "Sauvignon" di facile adattabilità in tutti gli ambienti dà vino sempre di merito che si stacca nettamente dalla normalità. (10)
            Il "Tocai friulano" sia per vitigno che per vino è diversissimo da quello ungherese. Basti solo ricordare che il nostro è un vino secco con spiccato sapore di mandorla. Quello ungherese è liquoroso di colore ambra con circa 15 gradi di alcool e 5 di zuccheri.
            Ogni polemica comunque può assopirsi con un semplice ragionamento. Supponiamo che in origine in una zona qualsiasi si coltivasse il "Tocai". In oltre due secoli e mezzo (data alla quale si riferiscono le prime tracce) la selezione clonale in terreni e habitat tanto diversi ha portato a noi due vitigni assolutamente diversi con perdita di ogni parentela. In Italia il "Tocai" è diffusissimo specie nel Friuli nel Veneto in Emilia ma anche in altre zone come il Lazio. E' molto diffuso in Francia nella zona del Midì col nome di "Furmint" quindi logicamente in Ungheria col nome di "Furmint" nella zona geografica del "Tokay".
            Il vino è fine delicato con sapore di mandorla amara fruttato pieno e grasso anche nella lavorazione in bianco. Molto rotondo specie per il suo basso tenore in acidità fissa e la gran quantità di glicerina. Alcool medio alto. Colore giallo paglierino con riflessi verdognoli. Vino da bersi giovane. Nel caso lo si debba destinare all'invecchiamento è bene anticipare di qualche giorno la vendemmia. E' una delle gemme del Friuli.
            E' vino da aperitivo e da antipasti magri (prosciutto crudo) e all'italiana minestre in brodo e asciutte; piatti di pesce salsati. Va servito alla temperatura di 12 gradi. (9) 

VERDUZZO  VERDE
             E' un vitigno tipicamente friulano. Se il "Piccolit" (Poggi (10) scrive sempre tale vino con la doppia "c" - n.d.A.) rappresenta una nobiltà enologica il "Verduzzo" all'opposto costituisce una salda base ed il vino ruvido finchè si vuole ma richiesto ed apprezzato dal consumatore ben si accomuna al vigore ed alla laboriosità del lavoratore friulano.
            Il "Verduzzo" più che ogni altro vitigno è caro al viticoltore che lo richiede lo pianta e lo coltiva con vera affezione. Se è ben vero che esitono località in provincia dove il "Verduzzo" trova il suo optimum di ambiente (Ramandolo Nimis Torlano Faedis Colli di Rosazzo e di Buttrio) dove si producono tipi dolci apprezzatissimi anche in pianura riesce bene e dà vino ottimo come base per la confezione di tipi da pasto un po' aspri per eccesso di tannicità ma sempre ben pagati e ricercati.
            Nella coltura il vitigno preferisce terreni non molto compatti ma tuttavia nelle località collinari meglio esposte matura assai bene i grappoli che si arricchiscono fortemente di zuccheri. (10)
            Il "Verduzzo" si deve vinificare in bianco che altrimenti la ricchezza in tannino della buccia e dei raspi passa nel vino che diventa aspro e di eccessivo colore: ragion per cui opportuni tagli con altri tipi quali il "Tocai" ed il "Riesling Italico" se ben fatti mitigano tale asprezza e lo rendono bene accetto. I tipi dolci liquorosi o semi liquorosi sono poi ricercatissimi: peccato però che nelle zone dove si producono in maggior copia non si tengano nel dovuto conto i buoni dettami della tecnica enologica: che se ciò fosse ben si potrebbero ottenere vini di non elevata tannicità di giusta alcoolicità e ottimo tenore zuccherino in grado di venire apprezzati anche fuori dei confini della provincia. Vero è che il consumatore nostrano non bada per il sottile: paga beve....ed apprezza talvolta anche dei veri vituperi enologici. (10)
            Alcune buone aziende di avanguardia stanno però mutando rotta ed oggi degli ottimi "Verduzzi dolci" si possono trovare e degustare. Se la produzione salirà a quantitativi cospicui come è da augurarsi dato il fervore ricostruttivo una lavorazione in comune delle uve di "Verduzzo" sarebbe auspicabile.
            Il vino di "Verduzzo" illimpidisce rapidamente data la sua tannicità si mantiene robusto si conserva e ben sopporta un invecchiamento non eccessivamente prolungato. Poggi (10) descrive infine i caratteri del vino (tipo dolce detto anche "Ramandolo"). Di colore giallo dorato profumato in modo caratteristico dolce fresco abbastanza alcoolico pieno tannico ma se ben lavorato non eccessivo. Alcolicità: media gradi 11 5 massima gradi 13 minima gradi 9 5 (in volume al Malligand). Zuccheri riduttori 4-5%. Acidità totale media: grammi 7 per litro (in acido tartarico). (10) Tali valori trovano solo parziale riscontro nell'attuale "Ramandolo" (n.d.A) 

VERDUZZO  GIALLO
            E' un'ipotesi che arrischio - scrive Poggi (10) - a somiglianza di quanto si dice per il "Refoschi" affermando che il vitigno possa essere una derivazione di "Verduzzo verde".
            Tra le due varietà vi è infatti molta affinità e la caratteristica principale inconfondibile è il colore del cappuccio fiorale che nel "Verduzzo verde" è verde mentre nel "Verduzzo giallo" è di colore bruno. Il vitigno non è certamente coltivato su scala così vasta come il "verde"; alcuni agricoltori lo richiedono perchè hanno la convinzione che sia in grado di dare mosto più ricco di zuccheri e di conseguenza più alcoolico.
            I risultati delle analisi del prodotto di diverse annate del vigneto ampelografico di Buttrio non mi hanno confermato tale fatto. Il "Verduzzo giallo" ha grappoli meno voluminosi ed è anch'esso di ottimo vigore.
            Non ho dati sufficienti - conclude Poggi (10) - per consigliarne la diffusione in sostituzione della varietà verde.
            Secondo l'Autore (10) il vino "è di colore giallo dorato profumato discretamente alcoolico piuttosto tannico sapido. Buon vino da pasto". 

MERLOT
            Il vitigno è stato introdotto in Friuli dalle Amministrazioni PECILE di San Giorgio della Richinvelda e CONTI di BRAZZA' di Mereto di Capitolo nella seconda metà del secolo scorso col preciso intendimento di tentarne la diffusione  per una sostituzione dei vitigni nostrani certamente di minor merito.(10) Nello stesso periodo il Conte de LA TOUR lo impiantò a Villa Russiz di Capriva del Friuli (n. d.A.).
            In Francia il "Merlot" è coltivato nel LOT e GARONNE nella DORDOGNA e nella GIRONDA dove coi "Cabernet" forma  i celebri vini di MÉDOC. (10)
            Altro notevole sviluppo ebbe per merito dell'Accademico della Vite e del Vino Comm. G. Morelli de Rossi. Nella collezione ampelografica della Reale Scuola di Viticoltura ed Enologia di Conegliano lo ritroviamo intorno al 1880.
            Da queste zone il "Merlot " si è diffuso nel vicino Veneto. L'abbondante produzione la buona qualità del vino la rusticità del vitigno hanno spianato la via alla diffusione un po' generale su tutto il territorio nazionale tantochè lo stesso Mondini nel 1903 lo cita coltivato in Piemonte Lombardia Veneto Friuli Emilia Toscana Lazio e Meridione. (9)
            E' certamente un gran vino pieno robusto ricco di colore profumo e sapore leggermente erbaceo. Vinoso con profumo netto di lampone da giovane.  Dopo due-tre anni si affina notevolmente acquista un sapore asciutto con piacevole fondo amarognolo mentre sviluppa un notevole bouquet. E' vino da arrosti e umidi di carni bianche e rosse (in particolare coniglio e pollame). (9) 

FRANCONIA (BLAUFRÄNKISCH)
            E' certamente il "LIMBERGER"; l'origine però non è molto chiara. E' coltivato in Austria ed in Croazia (esiste in quest'ultima regione la "Città di Lemberg" donde forse il nome). Viene anche chiamato "Franconien bleu" da cui il nome di "Franconia" col quale lo si designa comunemente anche il Friuli. (10)
            In provincia di Udine si è diffuso negli anni '30 dapprima nei mandamenti di Cervignano e Palmanova ed ora è coltivato un po' dappertutto .  A titolo informativo il Poggi (10) osserva che la Commissione Internazionale Ampelografica al Congresso di Colmar nel 1875 ammise per il vitigno il nome principale di "Blaufränkisch".
            In Francia il vino lo si giudica forse superiore al "Gamay": in Friuli-Venezia Giulia ha incontrato il favore dei viticoltori friulani perchè matura assai presto ed è quindi prontamente commerciabile; fatto questo di  considerevole importanza in Friuli dove le richieste di vini sono sensibili subito dopo la vendemmia per l'esaurimento dei prodotti dell'annata precedente. (10)
            Il vino se ben fatto si presenta brillante con un leggero speciale profumo ed è bene accetto dai consumatori. Ciò non deve però far credere che una larga diffusione del "Blaufränkisch" sia raccomandabile a scapito di altre varietà di merito come il "Merlot" ed il "Cabernet". E gli stessi viticoltori che del resto sono sempre buoni giudici non lo pongono certamente ai primi posti nella ricostituzione viticola sempre in atto: ragione per la quale il vitigno se in talune località ha particolare e preminente importanza per la produzione di tipi da tavola si ritiene però che verrà sempre coltivato su scala molto limitata. (10)
            E' un vino di colore rosso rubino vivo odore vinoso commisto a leggere profumo caratteristico asciutto tannico fresco sapido non molto alcoolico mediamente di corpo abbastanza armonico. Si sposa bene con grigliate di carne e salvaggina. (10) 

PIGNŌLO
            Di tutta l'antica viticoltura il "Pignòlo" è certamente l'esemplare degno di maggior rilievo e forse anche di una nuova diffusione. E che il vitigno sia vecchio e fosse quotato lo provano le numerose citazioni di antichi scrittori non ultima quella dell'Abate Giobatta Michieli che nel suo ditirambo "Bacco in Friuli" pubblicato sul finire del XVII secolo così si esprimeva:
            "Del bel Turro (torrente Torre) sulla sponda
            il buon vin alligna e abbonda
            che del dolce Berzamino
            ne berrei per poco un tino
            e vorrei sempre esser solo
            nel ber a tazze piene il buon Pignòlo".
Strano vitigno di aspetto cespuglioso e rustico ma sofferente ed al quale nessuna cura colturale riesce ad imprimere un maggior vigore. Diffuso qua e là con sparuti ceppi lo ritroviamo principalmente sulle colline eoceniche di Rosazzo Buttrio e di Rocca Bernarda dove dà prodotti eccellenti di pregio indiscutibile e con caratteri particolari inconfondibili. (10)
            "A Rosazzo quasi all'ombra della secolare Abbazia un vecchio colono dell'Amministrazione di Brazzà dalla fluente barba bianca e dalla mente lucidissima mi tesseva anni or sono gli elogi del "Pignòlo" e accanto ad un vecchio ceppo dagli esili tralci e dalle innumerevoli foglioline assai piccole mi facevano ambedue l'impressione di esistenze stanche per troppa lunga vita: ed infatti il buon Zamò (così si chiamava il colono) ora non è più è più è nemmeno il vecchio ceppo di "Pignòlo". Ne tolsi allora delle marze le innestai  nel "Vigneto Ampelografico" di Buttrio (Consorzio Per la Viticoltura oggi Sezione della Viticoltura del Consorzio Provinciale tra i Produttori dell'Agricoltura) ne seguii lo sviluppo ed i vini prodotti nelle diverse annate vennero analizzati e degustati". (Poggi 1939) (10)
            Vi è certamente della "stoffa" nel prodotto che è sempre di ottima alcoolicità di acidità non eccessiva di profumo gradevole e caratteristico resistente all'invecchiamento.  Il vitigno è però sensibilissimo all'oidio ed il POGGI (10) ritiene sia questa una delle ragioni della sua scomparsa.; tuttavia una reintroduzione nelle migliori località collinari e pedecollinari e nelle aziende viticole di avanguardia potrebbe riuscire utile dal lato enologico ed il vino che ha caratteri suoi particolari inconfondibili contribuirebbe quasi certamente a creare tipi fini e superiori. (10)
            Il Poggi (1939) ricorda una annotazione  fatta dal Prof. Dalmasso in una scheda di degustazione del "Pignòlo" prodotto nel 1930 che diceva: "tipo singolare di vino: di lusso?". Ritengo egli abbia colpito nel segno ed ancor oggi dopo aver degustato il vino del 1939 mi convinco vieppiù che il "Pignòlo" se non può gareggiare con il "Merlot" e col "Cabernet" per vigore e produttività merita però una nuova e più attenta considerazione". (10)
            Il "Pignòlo" come la vite è un vino tutto particolare. Contenuto e misterioso nel gusto timido quasi esitasse a farsi scoprire. Colore rosso rubino chiaro però vivace e affascinante. Buona acidità fissa e alcoolica. Elegante di corpo e morbido in tannicità. Profumo vinoso fruttato riservato che si apre con bouquet invitante. E' insomma un vino tutto da scoprire.(9)
            E' vino da piatti di carne delle cucina friulana e formaggi stagionati. Va servito alla temperatura di 18-20 gradi. (9) 

FUMĀT
            Vitigno appartenente alla serie numerosa di quelle varietà diffuse un tempo in Friuli quali ad esempio il "Corvino" il "Vinoso" la "Corvinese" il "Negruz" il "Negrat" ecc. ed entrati ormai definitivamente nel campo di una viticoltura decisamente sorpassata.
            Il Sannino avanza l'ipotesi che fossero tutte varietà provenienti da seme. Il perchè del nome "Fumàt" non è ben chiaro: tra le tante congetture si potrebbe accettare quella che fa risalire il nome al vino che al palato ricorda leggermente il sapore del fumo. Il vitigno in modo particolare era coltivato nel territorio di Palmanova ed ora lo si ritrova ancora in collina franco di piede a ceppi isolati; (10)
            Di colore rosso violaceo odore vinoso con caratteristico profumo tannico amarognolo asciutto. (10) 

REFOSCO nostrano
            Nella grande famiglia dei "Refoschi" il "Refosco nostrano" occupa un posto abbastanza importante. Come grappolo e foglia assomiglia molto al "Refosco di Faedis" e al "Refoscone" tanto che gli ampelografi (Marzottto e Poggi) lo considerano lo stesso vitigno. La stessa cosa si può dire del "Refosco d'Istria" e del "Terrano" che in effetti sono lo stesso vitigno.
            Diffuso da sempre in tutto il Friuli ma specialmente in provincia di Udine dopo l'arrivo dei vitigni nobili "Cabernet" e "Merlot" è andato quasi scomparendo. Impossibile trovare non solo la data ma anche il secolo in cui è stato coltivato per la prima volta in Friuli. Pochissimo descritto dagli ampelografi scarsa la bibliografia non è possibile dare dati certi sulla sua origine. Le prime tracce si hanno in Comune di Torreano e Faedis in provincia di Udine.
            Il vino ha colore rosso rubino intenso odore vinoso poco caratteristico leggermente erbaceo con debole sentore di prugna secca e mora selvatica. Alcool piuttosto basso corpo robusto acidulo e astringente sapido talvolta aggressivo. E' vino di poco superiore a un normale vino da pasto. Da consumarsi  giovane o con uno-due anni d'invecchiamento.
            E' un rosso da pasto campagnolo e ruspante da bersi senza impegno alcuno a temperatura ambiente. (9) 

REFOSCO dal Peduncolo rosso
            Di tutta l'estesa gamma dei "Refoschi" coltivati e diffusi in Friuli principali tra i quali il "Refosco dal peduncolo rosso" il "Refoscone" o "Refosco grosso" o "Refosco di Faedis" il "Refosco dal peduncolo rosso" è certamente il migliore ed è l'unico che meriti una buona considerazione.
            Vitigno certamente antichissimo tanto che l'udinese Canciani nelle "Memorie edite nel 1773" così scriveva: "il "Picolit" il "Refosco" la "Candia il "Cividino" il "Pignòlo" sono le uve nostre proprie per i liquori". Non so quale liquore si potesse trarre dal "Cividino" ma comunque la citazione stabilisce l'esistenza e la coltivazione di un "Refosco" senza però indicare quale. (10)
            L'Agron. friulano Antonio Zanon nel 1767 scriveva: "quanto si gioverebbe l'Inghilterra se avesse le nostre vigne i nostri "Refoschi" i nostri  "Piccolit" i nostri "Cividini" le nostre "Ribuole"? Lo Zanon non specifica quali "Refoschi" ed esalta a torto "Cividino" e "Ribolle".
            Il Comm. Agron. Giuseppe Morelli de Rossi Presidente della Sezione della Viticoltura del Consorzio Provinciale tra i Produttori dell'Agricoltura di Udine dopo aver effettuato studi comparativi sui "Refoschi" si fece tenace assertore della necessità di coltivare il "Refosco dal peduncolo rosso" sostituendolo a tutti gli altri assolutamente di secondo o terzo merito.
            Negli anni '30 i viticoltori si erano orientati verso tale vitigno che dopo il "Merlot" era il più richiesto per uva nera da vino. Alcune aziende come ad esempio quella di Chiozza di Scodovacca (Cervignano) ne hanno estesa la coltivazione. (10)
            Le uve normalmente vinificate danno in collina ed in piano un prodotto di corpo ricco di quella acidità che è sempre bene accetta e ricercata dai bevitori nostrani; il vino poi è una base ottima per la preparazione di tipi da pasto.  Nelle terre argillose collinari e pedecollinari le uve appassite si prestano alla confezione di tipi liquorosi e semi liquorosi veramente eccellenti e di pregio assai resistenti all'invecchiamento pratica che li migliora enormemente rendendoli fini e squisiti. (10)
            Negli "Annali del Friuli" di F. Da Manzano già nel 1930 troviamo scritto scritto che: "Gli ambasciatori romani offrirono 20 "ingastariis" (fiasche di terracotta o vetro contenente oltre un litro di vino) al Generale dei Dominicani" di vino "Refosco". (9)
            Grande famiglia quella dei "Refoschi" ne citiamo qualcuno: "Refosco di Faedis" "Refosco d'Istria" "Refosco di Rauscedo" "Refosco magnacan" "Refoscone" "Refosco del Carso". Gli stessi "Terrano del Carso" e "Refosco d'Istria" altro non sono che "Refoschi".
            Attualmente tutti questi vitigni sono poco diffusi sostituiti dal "Refosco dal Peduncolo Rosso" coltivatissimo in Friuli dove è salito agli onori della denominazione di origine controllata. (9)
            Il vino ha colore rosso rubino intenso tannico poco alcoolico nervoso da giovane. Profumo vinoso-fruttato con netto sentore di lampone e mora selvatica leggermente erbaceo personalizzato. Con un giusto invecchiamento s'affina s'ingentilisce assume un sapore piacevolmente amarognolo con bouquet ampio su base goudronata. (9)
            E' vino da pasto escluso il pesce. E' particolarmente indicato coi piatti tipici regionali friulani. Va servito a temperatura ambiente. 

TERRANO
             Vecchio vitigno poco coltivato in Friuli. Il "Refosco d'Istria" o "Refosco del Carso" è diffuso nei territori delle province di Gorizia e Trieste ed il vino che se ne produce e che prende il nome di "Terrano" è tuttora ricercato e apprezzato. (10)
            Certamente nei secoli scorsi il vino era assai quotato: nel 1689 ad esempio un certo  "VALVASOR" in una pubblicazione fatta a Lubiana dal titolo "DIE EHRE DES HERZOGTHUMS" esalta i vini del Goriziano ed in ispecie  il "Terrano" assai ricercato nei Paesi tedeschi. Nella "STORIA DELLA VITE E DEL VINO" vol. IIII° il prof. Dalmasso accenna a cronisti e poeti tedeschi che parlando della terra triestina ne decantarono il "RAINFALD" ("Ribolla") il "TERANT" ("Terrano") e la "MALVASIA".(10)
            In una pubblicazione edita a Gorizia nel 1910 a cura di M. Ritter e dal titolo "DER KARSTER TERRANO" o "Terrano del Carso" l'Autore esalta le virtù del vino con una poesia che così incomincia:
           
"Der Terran nicht schwer und dick
            er ist nicht herb und fett
            er ist nicht weich und schlaff"
           
Egli descrive il vino come denso pieno forte profumato come un fiore duro come l'acciaio di gran classe fresco frizzante fortemente colorato con riflessi rosso rubino e che si distingue per il suo profumo caratteristico che ricorda quello del fiore di fragola (??). E quindi un vero inno al "Terrano"(10)
            Indubbiamente è un "Refosco" quantomeno uno stretto parente di questa numerosissima famiglia. Taluno pensò che "Terrano" e "Pùcino" fossero la stessa cosa. Altri sostengono che il "Pùcino" è il vino bianco noto ai tempi dei Romani derivato dall'uva "Prosecco". Il dilemma non è mai stato risolto.(9) Dice Plinio nel libro 14 cap. 6: "Augusta che giunse all'e