"PICOLIT", ORO DEL FRIULI
"Da sempre - scrivono BERGAMINI e NOVAJRA - (1) il Friuli è terra di vini. Lo testimoniano le chiare parole dello scrittore "Erodiano" sull'abilità dei coloni latini nel
coltivare la fertile campagna di Aquileia e quelle dello storico "Strabone" che riferisce degli intensi traffici di carri carichi di vino generoso qui prodotto o trasportato
oltralpe. "Pane, vino e ravanelli sono la cena dei poveri" si legge su una lucerna aquileiese del "Primo secolo dopo Cristo".
"Clodoveo", re dei Franchi, vinse i Visigoti grazie a un barile di vino consegnategli a Saint Remy: "finchè avessero bevuto di quel vino, i cavalieri sarebbero stati
invincibili". Dunque vino divino: ed è probabile che quello friulano avesse le stesse virtù, se i Longobardi, entrati in Friuli nel 568, di qui iniziarono la loro conquista
d'Italia. Per tutto il Medioevo il vino costituì un prodotto di uso quotidiano; ne perpetuano il ricordo scritti ed opere d'arte, tra cui una tavoletta trecentesca, che,
raffigurando le opere di carità del Patriarca "Bertrando" non dimentica di illustrare una mescita di vino. D'altronde, come residenza estiva i Patriarchi erano usi
privilegiare le dolci colline friulane coperte di ricchi vigneti. Anche la "Serenissima Repubblica di Venezia" rese omaggio alla vocazione squisitamente enoica della
"Patria del Friuli": non a caso la "Piazza Contarena", la più nobile e importante diUdine, venne chiamata "Plazze dal vin".
Nel Settecento il generale sviluppo dell'agricoltura in Friuli ebbe positivi riflessi anche sulla coltivazione della vite, che venne stesa e regolamenta. La "Patria del
Friuli" venne identificata come terra di vini per eccellenza e raffigurata come una bella donna con la testa turrita, seduta su cornucopie, circondata da tralci di vite
ricchi di grappoli d'uva. La simpatia di cui godevano i vini friulani è bene espressa da "Carlo Goldoni" che ricorda con queste parole il soggiorno presso i Conti
"Lantieri" di Gorizia".
"I vini erano eccellenti; vi era un certo vino rosso, che si chiamava "fa figlioli", e che dava motivo di belle lepidezze. Il giorno di San Carlo, per la festa di Sua Maestà
Imperiale, si presentò a ciascun convitato una "coppa" di foggia del tutto singolare: era un "apparato" di vetro d'altezza di piede, composta da varie palle che andavano
digradando, e che erano separate da tubicini, e finivano con una apertura allungata che comodamente portava alla bocca, e di lì si faceva uscire il liquido; si riempiva il
fondo della "machine" che si chiamava glo-glo; avvicinandone la sommità alla bocca, e alzando il gomito, il vino passava per i tubi e le palle, facendo un suono armonioso;
e tutti i convitati bevendo allo stesso tempo, procuravano un "accordo" del tutto nuovo e piacevolissimo".(1)
IL "PICOLIT"
Grappolo: piccolo, alato, acinellato, talvolta con un'ala come il grappolo. Acino piccolo, trasparente. Buccia pruinosa. Normalmente ogni grappolo porta 15-30 piccoli acini.
Vinaccioli grandi - globosi, in numero di due o tre.
Cenni storici:
il "Picolit" è una gemma viticola ed enologica per il Friuli. E' l'unico vitigno friulano descritto nell'ampelografia del "Gallesio": era in antico coltivato e tenuto in
grandissima considerazione, tanto che lo stesso "Goldoni" ebbe a dire: "il "Picolit" del Tokai germano" (intendendo per "Tokaj" quello di Ungheria fatto con il "Furmint").
Certamente fu merito del Conte"Fabio Asquini", nella seconda metà del 1700 l'aver posto in giusta luce il valore del vitigno, coltivato su larga scala a Fagagna, tanto da poterlo
esportare presso la Corte di Francia, l'Imperatore d'Austria, lo Zar di Russia, la Corte Papale, ecc. Oggi, la coltivazione del "Picolit" è concentrata sulle colline eoceniche del
Cividalese e la ragione della sua ridotta coltivazione va ricercata nell'aborto fiorale, suo malanno fisiologico.
Vino: di finezza straordinaria, è di colore giallo paglierino carico, delicatamente profumato (con i profumi di fiori di campo, di mandorla, pesco, acacia e castagno), amabile, con
infinita gamma di gusti, tra cui emerge un aggraziato mandorlato.
Accostamenti gastronomici: difficile l'accostamento di questo grandissimo vino. Come un brillante, come un quadro d'autore, come una preziosa perla, preferisce la solitudine. E' un
grande vino da "meditazione" sorprendentemente buono su alcuni formaggi piccanti. Va servito fresco ma non freddo.
Sulle origini del vitigno "Picolit" si sa ben poco. Antonio Zanon mostra di credere che si tratti di una provenienza africana trasferita in Francia, dove il suo vino venne
chiamato popolarmente "pique-poulle" da cui sarebbe derivato la versione friulano di "piculìt". Antonio Bartolini, contemporaneo di "Fabio Asquini e lui stesso
coltivatore di "Picolit" a Buttrio, scrive che questo vino si fa con le viti trapiantate dall'Ungheria, dalla colline di "Tokai". Per "Gaetano Perusini", etnografo e
produttore di "Picolit", è invece sicura l'origine friulana del vitigno.
Lo scrive anche il "Gallesio", all'inizio dell'Ottocento in un celebre trattato sugli alberi fruttiferi italiani: "Il Friuli è il paese del "Piccolito". Tutto fa credere
che non vi sia stato trasportato in quel luogo per caso, e che gli abitanti avranno messo in coltura la dolcezza e la fragranza dell'uva che produce". (1)
FABIO ASQUINI (1726 - 1818)
"E' difficile classificare l'attività di "Fabio Asquini", multiforme e poliedrica, tale da renderlo un nobile
illuminato, personaggio di grande spicco anche tra i membri
della sua famiglia, molti dei quali nel Settecento divennero per varie ragioni famosi. Diventato capofamiglia appena all'età di 18 anni, volse la sua principale attività
alla modernizzazione dell'agricoltura, che tentò in tutti i modi nella sua tenuta sperimentale di Fagagna detta(Nuova Olanda). In essa si dedicò all'escavazione e allo
sfruttamento della torba (presente in abbondanza nelle torbiere dell'area collinare) che utilizzò per la produzione di laterizi dando vita al principale impianto per la
produzione di calcina e laterizi del territorio friulano.
Con abile capacità mercantile riuscì a collocare i suoi prodotti presso i principali committenti edili della città di Udine, che allora erano "l'Ospedale civile, il Capitolo
del Duomo, il Monte di Pietà e il Seminario". Impiantò anche una "figulina" per la produzione di "Vasellame di terra a usi bassi e ordinari", maioliche e stufe, per cui dopo
varie trattative riuscì ad assicurarsi nel 1785 l'opera del torinese Giuseppe Antonio Rollet già celebre per la sua attività a Urbino.
Tra i nuovi prodotti agricoli si dedicò allo studio e alla sperimentazione della coltivazione delle patate, del granoturco, del gelso, alle bonifiche delle aree paludose
e alla coltura della vite pregiata per cui divenne soprattutto celebre per "l'invenzione" del "Picolit". Un suo corrispondente, in un a relazione all'Accademia di Padova
del 3 marzo 1800, lo definisce "Promotore e benemerito della semplice medicina...per aver indagato distesamente le facoltà medicinali del santonico". La sua curiosità
e i risultati delle sue ricerche vennero progressivamente proposti nelle sedute della "Società d'Agricoltura Pratica di Udine" nata nel 1762 e rimasta in vita fino al 1797,
come "Sezione dell'Accademia Udinese", di cui egli fu "Segretario perpetuo", ma solo fino al 1780. Essa nacque, non senza resistenze, su proposta di Antonio Zanon e fu
fermamente sostenuta dallo stesso Fabio Asquini con intenti pratici di carattere formativo e sperimentale, applicando, forse senza saperlo quello spirito concreto
dell'"Illuminismo" che in quel torno di tempo spirava nelle parti più moderne della cultura italiana. Il modello era l'analoga "Accademia Svizzera di Berna": in Italia
essa fu seconda solo all'"Accademia dei Georgofili di Firenze. Ci sono rimaste 173 lettere di Antonio Zanon a Fabio Asquini, scritte con cadenza pressochè settimanale
dal 1762 al 1769, che offrono uno straordinario spaccato della società friulana del tempo".(1)
DELL'"INVENZIONE" DEL "PICOLIT"
"La capacità imprenditoriale di "Fabio Asquini" gli fece comprendere come potesse essere apprezzato da una schiera di eletti e raffinati intenditori un vino di grande
pregio, dolce e pertanto esente dalla pericolosa concorrenza francese. La sua prima vendita, di 14 bottiglie, risale al 1758. Negli anni Sessanta le vendite superarono i
millecento litri annui. E' probabile che l'"Asquini" si sia ispirato al "Tokaji d'Ungheria", ben noto in tutto l'Impero Asburgico e allora penalizzato dagli avvenimenti
connessi con la guerra dei "Sette Anni" (1756-1763).
Il "Picolit" è un prodotto completamente nuovo che si afferma esattamente nel momento di crisi delle forniture tradizionali. Fabio Asquini non riuscì a eliminare le
contraffazioni, contro cui inutilmente lottò. Tuttavia vari "Picolit", comunque e da chiunque prodotti, si vendevano dovunque a caro prezzo e ciò favorì di molto l'Asquini,
che stabilì per il suo prodotto un prezzo 37 volte superiore a quello del vino comune. I nobili italiani, in servizio presso le varie Corti europee, ben volentieri
servivano "Picolit" alle loro mense e così diventavano, non del tutto inconsapevolmente, una sorta di agenti commerciali all'estero".(1)
DEL "COLTIVARE" E DEL "FARE" IL "PICOLIT"
"Dagli accurati elenchi, registri e documenti di Fabio Asquini e della sua corrispondenza con Antonio Zanon, suo consigliere e venditore, possiamo trarre informazioni
anche minute sulla coltura del "Picolit" e la lavorazione del vino. Una proprietà di Fagagna (la braida di casa?) nell'anno 1761 produceva le seguenti quantità di vino:
- "Picolit" litri 193, "Candia" litri 28, "Refosco" litri 19, "Marzemin" litri 12.
Più del 70% era vino dolce, il solo che per il suo pregio poteva sopportare gli alti costi di trasporto. L'Asquini progetta pergolati in senso N-S, distanti 18-20 piedi
tra loro, piantati entro un fosso, al cui fondo calcinacci o pietrame assicuravano un buon drenaggio, con terra e letame. Solo dopo sette anni si costruiva il pergolato
definitivo, nel terreno sempre pulito.
La vinificazione ricorda quella del "Vin santo". I grappoli, vendemmiati ben maturi, erano distesi su vinchi o appesi. Dopo la spremitura il liquido si conservava fino a
Pasqua in caratelli, aperti ogni quindici giorni per far esalare gli spiriti del vino. Poi riposava per dodici mesi prima di assaggiarlo e imbottigliarlo, in tempo freddo
e vecchio di luna".(1)
ANTONIO ZANON (1696 - 1770)
"Il grande pensatore udinese coetaneo di "Giambattista Tiepolo" (con cui ha in comune gli anni di nascita e morte), era di trent'anni più vecchio del Conte Fabio Asquini.
Attivo e fortemente impegnato nell'attività imprenditoriale, ebbe una concezione "sociale" della ricchezza come mezzo per aiutare gli altri a emergere dalle loro miserie.
Di origine borghese - era figlio di un commerciante di tessuti di seta - era naturalmente orientato ad analizzare e a risolvere problemi di carattere economico.
Rimasto orfano e trovatosi a essere responsabile di una piccola filanda avviata dal padre, Antonio Zanon, promosse l'allevamento dei bachi da seta e tentò di persuadere i
Friulani del suo tempo. Nel suo stabilimento posto lungo la "roggia di Via Zanon", oltre duecento persone erano impegnate a produrre il filo di seta che tuttavia non
riuscì a trasformare in tessuto a Udine. Forse anche per questo si trasferì con la famiglia a Venezia dove produsse tessuti che vennero subito apprezzati e sbaragliarono
la concorrenza dei capi di importazione. A Venezia istituì una scuola di disegno professionale e tentò nuove sperimentazioni in materia di pigmenti e nei procedimenti di
tintoria. Non per questo tralasciò di avere costanti rapporti con il Friuli del quale constatava, da uomo esperto e attento economista, le condizioni di arretratezza
economica e sociale, come si ricava dalla precise descrizioni che ci ha lasciato nel suo imponente epistolario. Nelle lettere agli "Accademici di Udine" egli descrive i
contadini che non coltivano la patata perchè temono di danneggiare le colture vicine o hanno schifo dei bachi da seta, o le donne che muoiono senza aver assaggiato mai
nemmeno un frutto o un bicchier di vino, che erano tutti del padrone.
Antonio Zanon cercò di ampliare il più possibile il numero dei propri dipendenti, favorendo i fornitori friulani e carcando nuovi mercati. Insieme con Fabio Asquini,
Federico Ottelio, il Conte Beretta, si impegnò a fondo nel rinnovamento dell'agricoltura friulana, raccomandando, specialmente in occasione della carestia di frumento
del 1764, la coltivazione delle patate, suggerendo nuovi fertilizzanti, tentando di eliminare i beni comunali incolti, cercando nuovi clienti al "Picolit" dell'Asquini
o al "Refosco" del Bertoli di cui si vendettero 3000 fiasche nel 1728 a clienti inglesi, olandesi e tedeschi.
Antonio Zanon si decise solo in tarda età, quando aveva ormai toccato la settantina, di dare alle stampe i suoi scritti, alcuni dei quali sono rimasti ancora inediti,
scritti che tuttavia circolavano in copie già al suo tempo tra amici e autorità. Diede il meglio di sé nelle "Lettere agli Ill.mi Accademici di Udine", che gli fruttarono
una fama anche al di fuori dell'ambito esclusivamente locale".(1)
IL VESTITO DEL "PICOLIT"
"La cura del marketing del "Picolit" si estendeva alla confezione.
Fabio Asquini fornì un campione di bottiglie a una vetreria di Murano, fornendo istruzioni sullo spessore. Il modello divenne tipico del "Picolit friulano" e quando un importante
cliente parigino chiese bottiglie diverse egli negò, perchè le sue resistevano a qualunque viaggio.
Fino a sessanta bottiglie, della capacità di mezzo boccale (litri 0,6 circa) erano spedite in casse, riempite di paglia. I tappi, di gran qualità, erano ordinati a Londra.
La confezione in bottiglie chiuse era allora una vera rarità e costituiva un forte segno di riconoscimento per il prodotto. Altra novità era l'etichetta applicata al
turacciolo, quasi un sigillo di garanzia. Altra etichetta rettangolare fu poi applicata sul fianco della bottiglia. Forse per un certo ritegno non vi compare il nome
"Asquini", mentre il luogo di produzione (Fagagna) ad esempio a Londra era da taluni interpretato come il nome del produttore o del venditore.
Nonostante queste cautele non mancarono casi di concorrenza sleale, per cui "Fabio Asquini" invitava ad acquistare il prodotto direttamente da lui o dalla ditta di "Antonio
Zanon"."(1)
ANCORA "AUREA MAGIA...."
"Fu assai difficile arrivare al castello di "Rocca Bernarda", abbagliato dal paesaggio mirabile di verde e di colline ...Qui conobbi l'Autrice di questo libro: vive in
questo castello che ella ha ripetutamente sistemato nei suoi mobili e quadri...Il figlio Gaetano, che mi aveva accolto all'arrivo, stava mostrandomi l'interno di una
torricella internamente foderato da scaffali di libri ben rilegati, tra piccole finestre, quandi ella sopraggiunse....
Era al centro di quella Rocca, di quella casa, come il focolare friulano è al centro della cucina, ma appariva come la grande madre dalla quale dipende ogni ordine. Con un gesto
lievemente autoritario della sua mano scarna indicò la sala da pranzo; in tavola era già servita la zuppa di fagioli alla friulana....La graduazione dei lunghi bicchieri, come canne
di un organo, richiedeva per ogni pietanza il vino corrispondente e complementare, che la terra dei suoi colli attorno dava come un'esuberante mammella.
Ma quando venne il dolce, un antico dolce di pasta sfogliata, ripieno di marmellate, pretese quel vino fatto per la "Messa del Papa" che si chiama "Picolit" e che in quella
Rocca ancora si distilla. E' un vino che non fa pensare all'uva, ma al polline dei fiori diluito nella rugiada". (1)
(Dalla Prefazione di G. Comisso a "Mangiare e bere Friulano", di Giuseppina Perusini Antonini, Franco Angeli Editore, Milano 1970).
"Dopo la devastante infestazione fillosserica della fine dell' Ottocento, poche viti di "Picolit" vennero salvate in una tenuta dei Perusini a Cormons. Giacomo Perusini,
all'inizio del secolo, e poi il figlio Gaetano portarono le vite del "Picolit" sulla "Rocca Bernarda" e, con la collaborazione dell'Istituto Sperimentale per la
Viticoltura di Conegliano, selezionarono i migliori ceppi che si diffusero poi in tutti i "Colli Orientali del Friuli" e nel "Collio", oggi diventate prestigiose zone a
"Denominazione d'Origine Controllata. E dall'eco dei "Perusini della Rocca", cui vanno idealmente ad affiancarsi quanti, per similari accenti, producono "l'aureo Picolitto"
continua a riverberarsi quell'affascinante motivo che con lui, nel Settecento, ha fatto vibrare una nota di nobiltà per la sapienza e per la tradizione enoica del Friuli".(1)
(1) BERGAMINI G., NOVAJRA P.: "PICOLIT, ORO DEL FRIULI", IN "VINO E TERRITORIO", FRIULI VENEZIA GIULIA, 2000.
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