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Speciale Picolit Ricerca di Claudio Fabbro

Speciale Picolit
Picolit, gloria e vanto...
Picolit, secondo tradizione
Picolit, oro del Friuli
Rilancio o tramonto del picolit

PICOLIT

"Il suo vero nome è Picolit, anche se -scrive il FILIPUTTI- (1), si chiamò Piccolito, Piccolit, Piccolitto friulano. Perchè così si chiami, non si sa esattamente. Due le versioni: l'una del canonico Andrea Zucchini il quale, nel 1790, scriveva che il nome derivava dal fatto che acini e grappoli erano prodotti in piccola quantità. La seconda di Giorgio Gallesio, il quale parla invece della «piccolezza dell'uva che produce».
è uno dei vitigni più antichi e la sua probabile terra di origine pare essere Rosazzo; infatti Enrico Palladio, storico, dice: «Rosacium commendatis poculis fortunatum». Anche Gaetano Perusini afferma nelle sue "Note di viticoltura collinare": « La preferenza data ad un vitigno piuttosto che ad un altro non si deve credere che sia casuale, ma quasi sempre è il frutto di esperienze durate generazioni. Così troviamo a Faedis il "Refosco di Faedis", ad Albana la "Ribolla nera", a Rosazzo il "Picolit" e la "Ribolla gialla". Ma c'è chi sostiene che era già coltivato in epoca romana («lo si intuisce, più che trovarlo citato con nome vero», scrive Piero Pittaro nel suo splendido "L'uva e il vino"). Certamente per la sua malattia congenita, l'aborto floreale e quindi la scarsissima produzione, è vitigno che compare e scompare nella enologia friulana: quando ricompare lo fa sempre da grandissimo re.
Ne scrissero molti autori: il conte Fabio Asquini (che lo rese celeberrimo producendo alla fine del '700 più di centomila bottiglie esportate alle corti di Inghilterra, Francia, Olanda, Austria, Russia, Toscana, Savoia) in una sua memoria inedita del 1761: «Della maniera di piantare e condurre una vite a pergolato; e del modo di fare il vino Piccolit e di schiarirlo».
Lo si trova citato nelle ampelografie del Rovasenda (Saggio di una ampelografia universale); ancora: l'Agarotti (1867 Catalogo dei vitigni); l'Odart (1849) nella "Ampelographie universalle"; il Pulliat (Mille varietées des vignes); il Mouillifert (Les vignobles et le vins de France e de l'etranger); e ancora Antonio Zanon (1767), storico friulano che annotava come « le mense di tutta l'Europa erano allietate da questo delizioso vino. E quanto si glorierebbe l'Inghilterra se avesse le nostre vigne, i nostri Refoschi, i nostri Piccoliti, i nostri Cividini, le nostre Ribolle». Giorgio Gallesio, nel suo "Pomona Italiana" disse:
« Il vino Piccolit è un vino liquore che ha reputazione di gareggiare col Tokai e col Capo». è proprio il Moulliert che dichiara essere la coltivazione del Picolit «già conosciuta dai Romani, che esso era caro a Livia Augusta». Di questo vino tesse le lodi Giorgio Conte di Polcenigo che così cantò: «colava l'oleoso Piccolito / figlio del sole, del Tocai germano». E il Goldoni lo ricorda mentre è alla corte di Luigi XVI ad insegnare italiano alle figlie del re: « Il Piccolit del Tokai germano».
Spetta comunque al conte Fabio Asquini, come dicono il Bertoli, lo Zanon e l'Ottelio ("Memorie sopra la coltivazione delle viti, dei foraggi e delle legna, 1761 ") il merito di «aver reso noto il Piccolit, il quale, prima d'ora non conoscevasi punto da' Forestieri, e che oggidì ha presso tutte le nazioni e nome e prestigio». Interessante rileggere le annotazioni dell' Asquini «del modo di fare il vino Piccolit»: si vendemmiava (è Giacomo Perusini che scrive, nel 1906, sul bollettino dell'Associazione Agraria Friulana) a maturità completa, tagliando non il solo grappolo, ma anche un pezzo di tralcio, e nel fruttaio adagiava il tralcio su regoli di legno, mentre l'uva, restando penzoloni al disotto, era meno esposta agli attacchi delle muffe. La lasciava così fino verso Natale e, dopo diraspata e tolti gli acini ammuffiti, direttamente la torchiava. Riponeva il mosto in piccoli barili della capacità "tra il mezzo e l'intero d'un mastello di misura di Venezia", lasciando "quattro buone dita di vuoto".
Cessata la fermentazione, teneva ben chiusa la botte fino all'autunno successivo, quindi fatto il travaso, "e in tempo di freddo" chiarificava con colla di pesce "della più bianca e più trasparente" ritirandola da Augusta, adoperandone mezz'oncia per mastello e seguendo in questa operazione le norme oggi pure in uso. Se però la prima chiarificazione non riusciva perfettamente, egli non esitava a ripeterla una seconda volta, perchè anzi, come egli stesso avverte, il vino «così messo in bottiglie non deporrà mai più in gran tempo fecci di sorte, nè si abbia a temere che questa operazione pregiudichi niente il vino».
Quanto all'uniformità del tipo, in una lettera al marchese Luigi Trionfi di Ancona scrive: « Il mio piano dunque si è di procurar d'averlo tutti gli anni uguale, (il Piccolit) possibilmente fin dove può arrivare l'industria e l'attenzione non mai interrotta, da una infinità di osservazioni e di esperienze». E dal tenore di alcune ordinazioni a lui indirizzate dai suoi clienti non v'ha dubbio riuscisse nell'intento, e ciò è maggiormente notevole, in quanto che, in una lettera a Francesco Schweizer di Francoforte sul Meno, dice: «Quando mi occorre di farne il saggio (del Piccolit) mi conviene valermi di molti vicini e lontani per farmene la giusta idea, perchè essendo io abstemio di vino a nativitate, sono arrivato agli anni 40 senza aver mai potuto assaggiarne una goccia». Poneva in commercio il vino al secondo anno e, per provarne la resistenza ai viaggi, pensò una volta di spedire una cassetta di bottiglie a Cadice, e farsele quindi rimandare. L'esperienza riuscì perfettamente, quantunque coi mezzi di trasporto di allora la prova indubbiamente fosse severa.
Intraprese il commercio su larga scala nel novembre del 1762, ordinandolo e curandolo bene anche nei suoi particolari. Le bottiglie erano di due dimensioni. La sagoma, o campione, stava sigillata nella vetreria "Alla vera amicizia" dove si fabbricavano, di cui era proprietario Antonio Seguso di Murano, "ed erano di vetro verde ricotto e preso a mezzo vaso, e netto, e soffiato in vigilia di Festa". Egli aveva provvisto anche ad una marca speciale, ed anzi di tale marca speculatori disonesti si erano valsi per vendere a Londra ed in altre città, sotto il suo nome, vino prodotto da altri. Dalla vendita ricavava il prezzo fisso ed invariato di quattro lire venete e dieci soldi la bottiglia grande. Altri produttori friulani però nelle annate migliori vendevano il Piccolit anche ad uno zecchino (lire 11,89) la bottiglia, ma nessuno ne aveva partite così importanti, nè esercitava un commercio così esteso, come l'Asquini. Ed invero egli ne spediva a Londra, a Parigi, ad Amsterdam, in Russia, in molte città della Germania, ed infine a Genova, a Milano, a Napoli, ad Ancona ed in altri luoghi. Ne fornì in varie riprese alla corte di Francia, al re di Sardegna, e l'imperatore d'Austria a Trieste lo dichiarò «migliore di qualunque altro vino».
Anche nella corte papale di Castel Gandolfo pare fosse molto apprezzato, poichè così scriveva all' Asquini mons. Giuseppe de Rinaldis:
Roma, 29 giugno 1765.
«Nella villeggiatura di Castel Gandolfo fu fatto l'assaggio del vostro Piccolitto... Furono lasciati addietro gli altri vini prelibati, al confronto del medesimo, e v'erano de' Personaggi, che hanno il più raffinato gusto in questo genere, fra' quali li Cardinali Torrigiani, Peroni, Gian Francesco Albani e, S.E. il Marchese d'Aubeterre ambasciatore di Francia».
è notevole come spesso sia stato paragonato al Tokai, e come talvolta gli stessi ungheresi l'abbiano dichiarato superiore al loro celebre vino ed il Dougas parlando del Tokai nel "Nuovo Giornale d'Italia" scrisse:...«il solo (vino) che si avvicini è il vino Piccolit del Friuli Veneto».
Sempre grazie a Giacomo Perusini possiamo "toccare con mano", anche se solo attraverso fredde analisi chimiche, il Picolit dei conti Asquini, dallo stesso Perusini raffrontato con quello di propria produzione, che così annota: «Per fortunata combinazione, e per la cortesia dei conti Asquini, ebbi un campione del Piccolit del conte Fabio, prodotto alla fine del secolo XVIII, o certo non più tardi dei primi del XIX. Mi parve interessante far degustare il vino dell' Asquini e due dei nostri del 1827 e del 1903, da autorevole persona affinchè istituisse un giudizio di confronto».
Ma, purtroppo, "l'imperfetta tappatura della vetusta bottiglia dell'Asquini aveva fatto evaporare gran parte dell'alcool e dell'acqua al vino, che erasi ridotto allo stato di un liquido torbido del colore di caramello con odore lieve, con sapore dolce, eccessivamente acido non gradevole" (l'assaggio fu fatto dal prof. Sannino). Il poco liquido dell'Asquini, unitamente ai due altri vini di nostra produzione, fu analizzato nel Laboratorio di Chimica Agraria della R. Scuola di Viticoltura di Conegliano dal dott. Pietro Scarafia.
La seconda resurrezione di questo vitigno è legata proprio alla famiglia Perusini. Dapprima Giacomo - padre di Gaetano, il "professore" - che oltre ad approfondire gli studi sul vitigno stesso, ne incrementa la produzione. Così il figlio Gaetano scrive sulla rivista "Il vino" (diretta da Isi Benini, cui va il sommo merito di aver "costruito la corona" a questo vino attraverso un'opera giornalistica allo stesso tempo impetuosa e attenta) sul numero 4 del 1972: «Mio padre, settanta anni fa, si era proposto la ripresa della produzione dell'autentico Picolit e ne ha data una esatta descrizione ampelografica. Ho ritenuto fosse indispensabile partire, per riprendere la sua opera, e diffondere un Picolit autentico e veramente di qualità superiore, dalle viti da lui studiate e impiantate. Nel 1935 sono stati messi a dimora duemila ceppi che però hanno mostrato, talora in maniera fortissima, una mancata allegagione. Nelle annate con andamento stagionale primaverile sfavorevole (alta umidità e scarsa ventilazione) la maggior parte delle viti portavano pochi grani (ripeto grani, non grappoli) per ceppo. Su queste viti ho iniziato un lavoro di selezione clonale per individuare un clone particolarmente resistente a sfavorevoli condizioni atmosferiche al momento della fioritura. Attualmente, dopo più di trenta anni di lavoro, ho in studio quindici cloni che mostrano una discreta resistenza a sfavorevoli condizioni atmosferiche al momento della fioritura. Da questi quindici cloni dovrà essere scelto quello migliore da diffondere».
Poi lo stesso Gaetano, come s'è visto, incrementerà ancora la produzione a Rocca Bernarda fino a far diventare "quel" Picolit la bandiera del Friuli enologico moderno. La sua prematura scomparsa ha purtroppo vanificato molti degli studi ed esperimenti da lui intrapresi.

NOTIZIA AMPELOGRAFICA

Grappolo piuttosto piccolo, alato, con un'ala grande talvolta come il grappolo. Mediamente compatto se (caso rarissimo) ha avuto una fioritura regolare. Impallinatissimo, per aborto floreale, nella quasi totalità.
Acino piccolo, trasparente, tanto da vedere i vinaccioli. Polpa sciolta, succosa, a sapore neutro. Buccia pruinosa, di colore giallo dorato, leggermente punteggiata.
Normalmente ogni grappolo porta 15-30 piccoli acini (al posto di 150-200 di una vite normale).
La foglia è media, trilobata o pentalobata, pentagonale. Seno peziolare a U aperto, seni laterali a V chiuso, talvolta appena accennati.
Pagina superiore di color verde chiaro con nervature evidenti gialle. Pagina inferiore aracnoidea, con nervature verdi alle punte, rosso violaceo alla base. Dentatura acuta, irregolare. Colorazione autunnale gialla".

PICOLIT

Giù il cappello! Vi parliamo del Picolit, l'araba fenice dell'enologia italiana e di quella friulana in particolare. Oggi se ne discute in tutto il mondo. Dalla California, un giorno di qualche mese fa, è giunto un commerciante di vino con una mazzetta di dollari non svalutati e con il tono sbrigativo dei "business man" d'oltre Oceano. Voleva acquistare il Picolit del Friuli, tutto il Picolit, ed era disposto a pagarlo ventimila lire il litro.
Questa la sua fama. Non usurpata, credeteci. Il mondo dei degustatori e degli intenditori di vino è, oggi, diviso in tre: ci sono quelli che ne hanno sentito parlare, e sono la schiera più fitta, quelli che credono di averlo degustato e quelli, infine, che ne hanno centellinato qualche sorso. E in tutti, in egual misura, è rimasto insoddisfatto il desiderio di poter vantare il possesso di una bottiglia, almeno una, di questo magico, raro e delicato nettare.

Ma cos'è il Picolit?

...La più singolare e simpatica interpretazione che è stata data di questo stupendo vino è contenuta in un detto sbocciato, forse, da quell'inesauribile sorgente che è la arguzia del popolo: «Non offritelo a una signora o a una signorina - precisa la raccomandazione rivolta ai buongustai in'età - perchè potreste correre il rischio di sentirvi dire di sì».
...Ma la polemica divampa sul suo "mariage" gastronomico. è un vino da dessert! giura una fazione di esperti. è un vino che può sposarsi ai formaggi, magari - per contrasto - anche al "gorgonzola"! bestemmiano altri.
Dobbiamo decidere con quali piatti debba essere consigliato! aggiungono i "sommeliers". Nossignori! Nulla di tutto ciò. Il Picolit è il Picolit e basta. Va bevuto a sè, senza altra compagnia che non sia quella di un'attenzione quasi religiosa, in un silenzioso colloquio, che deve essere gelosamente confidenziale, fra il vino da una parte, la vista, l'olfatto e il palato dall'altra.

Isi Benini da "II Vino", anno I, n° 1, Udine 1971

(Da "Osservazioni sopra il Picolit fatto in Buri da me Antonio Bartolini nell'anno 1775": «è stata raccolta l'uva eccezionalmente matura. è stata appesa 6 giorni; indi sgranellata.
Parte dell'uva era vicina alla corruzione. Dopo sgranellata, l'uva è stata nel tino per una notte, ed un giorno».)
Note e riferimenti bibliografici
(1) FILIPUTTI W. :" PICOLIT" in " TERRE, VIGNE, VINI del Friuli V.G.- Gianfranco Angelico Benvenuto Editore-Udine 1983, pp. 33-35

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