Il mais in Italia
L'introduzione del mais in Italia avviene verso il 1530 tramite il Veneto, dove presto ottiene successo, tanto che, fra la
fine di quel secolo e gli inizi del Seicento verrà stabilmente coltivato sulla terra ferma, nel Friuli e nel Polesine,
trovandovi un habitat particolarmente adatto.
Circa il nome che assumerà nel linguaggio comune, "granturco", esso è il risultato di un equivoco; infatti nulla esso aveva
di turco, ma cosi fu chiamato perchè a Venezia, nel Cinquecento, si usava denominare "turco" tutto ciò che era forestiero
per la Cristianità. Sempre grazie ai commerci della Serenissima, il mais approda pure nel Levante Mediterraneo e nei Balcani;
mentre contemporaneamente prosegue la sua diffusione in aree sempre più vaste dei paesi europei.
Il mais giunge, assai presto, anche nel Vicereame di Napoli, legato per casato alla Spagna e sperimentatore privilegiato di
tutte le "cose nove" provenienti dal Nuovo Mondo. E' probabile che la polenta pasticciata napoletana, sia nata prima della
polenta"conssa" piemontese, o almeno contemporaneamente alla polenta e "osei" e ai pasticci di polenta veneta, scrive Giuseppe
Mantovano ne " La cucina Italiana".
Dal Vicereame di Napoli, il mais si diffonderà nel vicino Lazio e quindi nell'intero Stato della Chiesa, generalmente sotto
forma di polenta, nel solco delle "pultes" romane tanto apprezzate da Catone il Censore.
Fogolar all'enoteca CHIRRA & DI LENARDA; Mattiussi, primo a sinistra |
Al suo consumo si indirizzeranno, soprattutto, le fasce più povere della popolazione, che ne facevano il nutrimento principale.
Questa alimentazione saziava, ma, essendo povera di elementi nutrizionali come le proteine e le vitamine, predisponeva alla
"pellagra". La malattia si manifestava con arrossamenti della pelle, disturbi intestinali, depressione che facilmente degenerava
in demenza. La pellagra colpiva soprattutto le popolazioni povere del Veneto e della Lombardia che si cibavano principalmente
di polenta di mais. Il noto antropologo e psichiatra Cesare Lombroso decretò "che responsabile della pellagra era un veleno
che si annidava nel granturco che egli chiamò "pellagrosina".
Da allora la polenta venne bandita dalle tavole
I contadini più poveri e i braccianti a giornata che, bene o male, con la polenta si erano levati un pò di fame secolare,
tornarono nella disperazione dell'indigenza più nera.
A nessun studioso del tempo, passò per la mente di osservare che il fenomeno era circoscritto alle zone più povere dell'Alta
Italia e che non esisteva, ad esempio nelle altra aree europee ed americane dove il granturco si consumava ancor più largamente.
A riabilitare il mais e la polenta venne, per fortuna, nel 1912 lo scopritore delle vitamine, il polacco Casimiro Funk, il
quale sostenne che la pellagra era provocata solo da "insufficienza vitaminica senza altri interventi venefici di "
pellagrosina"
La malattia insorgeva in quelle popolazioni che si nutrivano esclusivamente di polenta, Sarebbe bastato,come usavano fare i
popoli precolombiani, accompagnare la polenta con legumi, verdure, carni e pesci.
Tutto qui!!!
"Sua maestà la polenta - scriveva Paolo Monelli- è come certe zitelle acide. Basta maritarla bene, perchè perda tutti i
cattivi umori"
Del resto anche il riso, nelle regioni in cui rappresentava l'unica fonte alimentare, ha determinato la comparsa di una
simile avitaminosi, il beri-beri.
Il primo a dar notizie scritte della presenza del mais in Italia sarà Pietro Andrea Mattioli che, nel 1570, nega decisamente
l'origine asiatica di questo cereale.
Nel 1580 il romagnolo Costanzo Felici afferma che: "questo "grano indiano", giacchè turco malamente si può dire, ancora
piace ai nostri paesi facendolo assai bianco e dolce pane. Se poi sia atto in altre vivande io non so".
"Quello che interessa però", afferma nel 1582 il botanico belga Braudel, "è il momento in cui, lasciati gli orti botanici e
i terreni di esperimento, il mais conquisterà il suo posto nei campi e sui mercati delle città"
E questa fase fondamentale, in Italia si verifica soltanto verso la fine del Seicento contemporaneamente all'arrivo dei
nuovi fagioli americani, capaci di ricostituire la fertilità del suolo.
Fagioli e granturco, dunque, si diffondono insieme in Italia, agevolati anche dalle norme ecclesiastiche che, a seguito del
Concilio di Trento, affermando la necessità di un ritorno a costumi più austeri e rigorosi, ribadiscono i giorni di
astinenza dalle carni, i venerdì di magro e le quaresime. Un ruolo tutto particolare nella cucina quaresimale è svolto
proprio dalle "cose nove" cioè il mais, i nuovi fagioli, e più tardi, le patate e i pomodori, tutti prodotti di magro che
verranno adottati nelle cucine povere dei conventi, dove possono essere utilizzati anche nei giorni di astinenza dalle
carni.
Riguardo alla "pellagra" che colpiva soprattutto chi era costretto a cibarsi esclusivamente di polenta, oramai era noto come
combatterla, accompagnando alla polenta carni, verdure, formaggi e al leggendario baccalà. Ma sarà, comunque, una lunga
strada; la malattia costituirà una piaga fino alla fine dell'800- giacchè frutta e verdure e carni erano, allora, considerate
un consumo non necessario, specie dalle classi meno agiate. Ma fortunatamente nel '900, le migliorate condizioni economiche,
anche delle classi più povere, e dei contadini, danno origine nelle regioni italiane, a quegli abbinamenti entrati ora fra
i piatti classici delle cucine regionali.
L'Accademia Italiana della Cucina nel suo valido"Ricettario delle Cucine Regionali" ha censito ben 25 piatti a base di
polenta, che i buongustai chiamano"traviata"perchè si accompagna facilmente con tutti i "companatici" Mi limito a
ricordarne solo alcuni:
- La polenta "consaa" cioè condita con burro e formaggio Fontina fuso, in Val d'Aosta
- La polenta con i porri e le acciughe del novarese.
- La polenta "taragna" con farina di mais e grano saraceno, con brasato, in Valtellina
- La polenta con funghi, gruviera e un pò di tartufo grattugiato, in Brianza.
- Polenta e stracotto di capriolo o di cinghiale, nelle valli trentine.
- Polenta e baccalà, nel vicentino e nel Veneto
- Polenta e "osei", nel trevigiano.
- Polenta "pastizada" a Venezia.
- Polenta arrostita con fette di lardo in Toscana.
- Polenta di "neccio" a base di farina di castagne, nella Lucchesia.
Ma anche al Centro e al Sud, la polenta è apprezzata e popolare, e cito:
- Polenta condita con fagioli, maiale e salsicce, in Abruzzo e Marche.
- Polenta con spuntature di maiale, nel Lazio.
- Polenta "infasulata"con fagioli, zucca e pepe, in Campania.
- Polenta alla Calabrese con carne di maiale salata o con pomodori verdi salati.
- Polenta "frascatula" alla Siciliana fatta con farina di semola, con carne di maiale salata.
Se sulla mensa dei poveri la polenta era il quotidiano, massiccio riempitivo dello stomaco, su quelle dei benestanti, essa,
diventava "ghiottoneria" allorchè sposata alla cacciagione, generava un piatto tanto squisito da ispirare, al poeta Lorenzo
Stecchetti, questa bella quartina:
i tordi, più di trenta
in suprema maestà
a seder, sulla polenta
come turchi sul sofà
Un capitolo particolare, sento di doverlo dedicare per affetto, al binomio mais - Friuli: