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Ed eccomi pronto a parlarvi de:

La pancetta - il grasso dei depositi sottocutanei della pancia del maiale viene, generalmente, tagliato con la cotenna, messo sotto sale e speziato con le droghe.
Si lascia riposare per un pò di tempo, quindi si arrotola e si lega strettamente con uno spago grosso; la legatura termina con un cappio che serve per appenderlo: questa è la pancetta. Una volta stagionata e talora affumicata, la pancetta si usa per insaporire i più svariati piatti: cruda, cotta, fritta, al NordItalia come condimento di minestre e di frittate, di verdure e di piselli; al Centrosud unita al pomodoro per dar vita a pastasciutte divenute un mito, come "l'amatriciana".Ma anche per avvolgere e picchiettare,. cacciagione, carni arrosto o allo spiedo, come farcia di un semplice panino, da sola o accoppiata a formaggio, uova, verdure o ad una salsa per un sandwich più sofisticato.
In Friuli "vanno" molto i panini di pancetta o anche di lardo, per lo spuntino di mezza mattina o per la merenda. Si sposano con une "mantie" di Tocai. Le "mantie" nel gergo degli intenditori, sarebbe il boccale con il manico che di solito si usa per gustare la birra.

La salsiccia - il nome deriva chiaramente dall' unione di sale e ciccia, quindi sale e carne. I Romani consumavano già la salsiccia; i diversi ripieni da imbudellare erano preparazioni sofisticate, rispetto a quelle usate oggi, prevedevano carni tritate miste a sale e spezie il tutto era legato con le uova.
Marziale in uno dei suoi epigrammi elogia già la salsiccia:" Quel cuoco che con voce rauca, ti serve in strada, su calde casseruole, salsicce di maiale ancor fumanti". Le salsicce abbinate ai legumi costavano davvero poco, ai romani. Come abbiamo visto il prezzo era politico e le classi meno agiate usufruivano di distribuzioni gratuite.
Diocleziano nel suo editto del 300d.C. stabiliva tra l'altro che la salsiccia dovesse costare due danari la libbra, l'equivalente del costo di alcuni ortaggi, un prezzo molto calmierato vista l'inflazione già allora galoppante. Oltre la salsiccia nella Roma antica era apprezzata anche la lucanega, che non era fatta con carne macinata ma con pezzi di carne e di grasso tagliati a pezzi grossi e il tutto era condito con pepe, cumino, santareggia, spezie dolci, ruta, pinoli e, una volta imbudellate, venivano poste ad asciugare al fumo. Esse vanno consumate crude; secondo Varrone questo insaccato era originario della Lucania e venne diffuso a Roma dai legionari che ne facevano uso nelle mense dei loro accampamenti. Ancora dal poema del già citato Lasca leggo questi versi sulla salsiccia

"Carne, sal, pepe,garofani, cannella
Melarance, finocchio in corpo ha dentro.
Ma di busecchie è tutta la gonnella"
e conclude affermando
"Basta che sempre dove sia servita
Sopra un bianco taglier o in bel piatto
La salsiccia ben cotta o stagionata
A tutti i cibi darà scacco matto."

Fra i salumi più importanti devo citare:

Il prosciutto - Le origini del prosciutto sono remote già Omero nella Iliade cita il "pingue e saporoso tergo di ben sagginato porco" in Italia ne troviamo traccia nella pianura padana nel V° secoli a.C.
Nell'antica Roma ci sono due termini per identificare il prosciutto: Derma e Petaso.
Derma, nella mensa latina sarebbe la coscia trattata per la conservazione, quindi il prodotto più pregiato, ma che non sempre era consumato stagionato.
Petaso, era chiamata la spalla fresca da mangiare subito, perchè tende facilmente ad irrancidire. Infatti, anticamente, stagionare il prosciutto poteva rappresentare un rischio, e questo discorso valeva per tutti i salumi, perchè a fine stagionatura il prodotto poteva risultare rancido. Se poi si considera che, allora i maiali ingrassavano 4 volte meno velocemente rispetto a quegli odienni, era più vantaggioso per il contadino monetizzare subito con un prosciutto cotto che rischiare di perdere tutto, con un prosciutto stagionato. A Roma arrivavano prosciutti dalla pianura padana, a conferma che il suo percorso gastronomico è da qui che è partito, ma anche dalla Marsica, mentre da oltre confine, giungevano prosciutti dall'attuale Belgio, dalla Pannonia e dalla Vestfalia. paesi nei quali già si applicava la "salatura" della carne.
I Celti erano rinomati "salumai" già ai tempi dei Romani, i quali consumavano un'infinità di insaccati che, per la maggior parte, importavano dalla Gallia, dove erano maestri nell' arte di preparare salumi e prosciutti. Marco Terenzio Varrone nel De re rustica ricorda appunto che " i Galli sono soliti fare dei prosciutti salati, ottimi e grandi; e che siano ottimi si dimostra col fatto che ogni anno s'importano a Roma."
Secondo i testi fondamentali della cucina latina, i salumi, piuttosto che in cantina a stagionare, finivano in tavola a pochi giorni dalla concia. Lo stesso percorso facevano i prosciutti. Il solito Marziale dedica un sonetto anche a:
Il Prosciutto
Voglio solo il prosciutto cerretano
o quello proveniente dalle terre dei Menati (le Gallie)
il Petasone lo mangino i ricchi
Almeno cinque tipi di prosciutto, fra salati e affumicati, aprivano i banchetti della romanità: si solevano servire sia come antipasti che al termine del convivio per favorire ulteriori libagioni.
Ma per noi friulani il prosciutto ha un solo nome: Prosciutto crudo di S.Daniele.
I Celti, verso il 400 a.C. nella loro trasmigrazione dalla Britannia ai Balcani per cercare territori più caldi e favorevoli all'agricoltura, invasero anche il Friuli; quando poi abbandonarono il territorio friulano, lasciarono una traccia del loro passaggio dando origine ai Carni, ancor oggi un po differenti dagli altri friulani.
Introdussero, però in Friuli due cose delle quali dobbiamo loro essere riconoscenti: un aratro in ferro assai più efficiente di quelli già in uso e, soprattutto, introdussero l'uso della "salatura" per conservare la carne di maiale.
Il piatto del Re o dell'Eroe - Era consuetudine presso i Celti festeggiare le loro vittorie offrendo una coscia di maiale salato al Re, o al loro condottiero vittorioso, in segno di omaggio; questa usanza era denominata "il piatto del Re ".
A San Daniele l' hanno trasformata in un capolavoro destinato a raggiungere l'apice della bontà gastronomica.
Infatti è selezionando e perfezionando nei secoli, l'antica tecnica della salatura che, ancor oggi, viene preparato il prosciutto crudo di San Daniele D.O.P., al quale il particolare microclima del paese conferisce durante la "stagionatura" quel caratteristico sapore "dolce" che lo contraddistingue. E' il segreto dei produttori di San Daniele, il microclima di questo paese, determinato dal rapido alternarsi di umido e secco, generato dallo scontrarsi dell'aria fredda che scende delle Prealpi con l'aria calda che risale dal mare.
Oltre a ciò , a fare del San Daniele un prodotto unico, sono le tecniche di salatura, pressatura e stagionatura, ancor oggi utilizzate nel rispetto dell'antica arte appresa dai Celti. A testimonianza dell'alta qualità, da secoli riconosciuta a questo prosciutto, ci sono i documenti custoditi nella biblioteca Guarneriana di San Daniele, che attestano il viaggio a dorso di mulo, che i prelati del Sant'Uffizio affrontarono nel 1545 per portare ai vescovi riuniti a Trento per il Concilio, trenta squisiti prosciutti.
La tecnica "aurea", eredità secolare degli "scalchi " del paese, fornitori anche dei Patriarchi di Aquileia, prevede che la coscia di maiale rimanga sotto sale un numero di giorni uguale ai chili del suo peso; inoltre prima di passare alla stagionatura viene sottoposta ad una lunga "schiacciatura" che gli coferisce la sua forma caratteristica.
E' questo un procedimento antico riportato anche nel ricettario di Cristoforo di Messisburgo, nobiliumo e "scalco" vissuto alla corte degli Estensi, uno dei primi ricettari a stampa della storia della cucina italiana. Quello descritto da Cristofaro di Messisburgo è il procedimento ancor oggi utilizzato per la "schiacciatura" e l' "essicazione"del prosciutto di San Daniele, tecnica che favorisce una migliore disidratazione delle carni, ottenendo una migliore conservazione del prosciutto: segue poi la "stagionatura" per un anno.
Durante questo periodo gli enzimi del grasso e della carne, subiscono una trasformazione che rende il crudo di San Daniele particolarmente digeribile.
Altra caratteristica di questo prodotto, è quella di sfoggiare la parte finale della coscia, lo zampino (che in altre produzioni viene eliminato) a testimonianza del fatto che per produrre il Prosciutto dolce di San Daniele D.O.P.vengono utilizzate coscie intere. La produzione annua ha ormai superato i tre milioni di prosciutti, affermandosi sia sul mercato europeo che d'oltreoceano. Il 50% dell'export raggiunge la Francia, dove è particolarmente apprezzato l'abbinamento Prosciutto di San Daniele con lo Champagne. Proseguo ora con illustarvi un altro salume:

La mortadella - Sul significato del termine mortadella, denominazione derivata dal latino, si avanzano due ipotesi che, comunque si integrano fra loro: questo nome potrebbe derivare da "mortatum" lo strumento con il quale si "pestava" la carne, oppure da "mirtatum" cioè "insaporito con il mirto".cioè il condimento che la caratterizzava, conferendogli il profumo e l'aroma.
L'origine della mortadella è stata indivuduata nella "Bononia" del 1° secolo d.C, denominazione dell'attuale Bologna, nome con il quale è talvolta denominato questo salume. A Bologna è conservata la prima testimonianza scritta di un " farcitum mirtatum" cioè un insaccato suino aromatizzato con il mirto e preparato nel mortaio. Questo è d'altronde il territorio dell'antica Felcin etrusca, poi Bononia fondata dai Galli Boi, e poi dai romani.
Terra ricca di maiali prima selvatici, poi addomesticati, tanto che i legionari della X egio avevano posto sui loro scudi l'immagine del cinghiale, o maiale selvatico. Ancora nel 1376 la corporazione bolognese dei salaroli aveva nel suo stemma l'immagine del mortaio col suo pestello, a conferma che le carni erano pestate nel mortaio e, solo più tardi, erano sminuzzate col coltello. La ricetta della mortadella preparata nella Bononia romana era forse segreta; i più antichi testi nei quali si parla di questo salume, sono alcuni ricettari del 300 conservati nella Biblioteca Universitaria di Bologna.
Anche il Boccaccio nel Decamerone cita il Mortadello, ma una ricetta per fare la mortadella ce la fornisce Bartolomeo Scarpi, nella sua opera del 1500, nella quale descrive un preparato magro di carne di porco domestico aromatizzata con mirto e pepe, avvolta in una reticella. Cristoforo Messisburgo, scalco alla corte estense di Ferrara nel 500, propone diverse farciture della mortadella: "lavorata con pepe e vino nero oppure con zafferano e pepe. Passo ora a parlarvi de:


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