vigneto Friuli

 ALLE RADICI DEL VIGNETO FRIULI
"IL VIVAISMO VITICOLO"

     Anche FILIPUTTI (22) lega esplicitamente le fortune del ruolo del cosiddetto "Vigneto Friuli" all'importante ruolo comparto vivaistico viticolo ed osserva che "dal 1950 al 1979 il vigneto specializzato passa dal 27% al 93% (22.235 ettari contro i 1.550 di vigne promiscue). Questo salto di qualità trova anche nello sviluppo del vivaismo in Friuli uno dei momenti più importanti e significativi.
La tragedia della fillossera metterà in evidenza le diversità di strutture pubbliche esistenti tra il Friuli diventato italiano e quello ancora austriaco. Naturalmente a favore di quest'ultimo. Pur essendo in tutt'Europa impotenti, nei primi anni, di fronte a tale flagello, la Contea di Gorizia e Gradisca aveva a disposizione una stazione sperimentale di viticoltura di altissimo livello: quella di Klosterneuburg, nelle vicinanze di Vienna, fondata nel 1860 ed il cui primo direttore fu il barone von Babo. (Conegliano sarebbe sorta nel 1923 mentre Parenzo, in Istria, nel 1931). La borghesia aveva avuto un diverso sviluppo di quello del Friuli occidentale ed anche la classe nobile era dal punto di vista economico, molto più preparata ad affrontare le nuove situazioni che si stavano delineando. Non appena dalla Francia giunsero le prime notizie dei timidi successi sulla fillossera con gli innesti su legno americano, la deputazione centrale della Società Agraria goriziana chiese al governo austriaco, già il 14 aprile del 1881, lo stanziamento di 2.000 fiorini per istituire un vivaio di viti americane resistenti alla fillossera. L'Agro aquileiese gode di un clima molto mite ed ha terreni moribidi e sabbiosi che sono ideali per il vivaismo.
Ai primi del '900 (esattamente nel 1902) risale la creazione di un "Vivaio erariale" di piante madri (legno americano) nei pressi di Monfalcone che produceva 780.000 talee di Rupestris Monticola, cui seguì un nuovo impianto che portò la produzione a 1.500.000 di viti americane. A San Rocco, presso Gorizia, funzionava un vivaio provinciale. Ma fin dal 1889 le autorità austriache incoraggiarono la produzione di piante madri ed in tale epoca risalgono le prime barbatelle di York Madeira di Augusto Burba di Campolongo. Uno dei maggiori produttori di viti americane fu il barone Ritter de Zahoni di Monastero, presso Aquileia: aveva intuito lo sviluppo che il mercato delle piante avrebbe avuto e fin dal 1890 poteva fornire 150.000 talee. La Grande Guerra sommò poi le sue disgrazie a quella della fillossera. Fu dopo il 1920 che i tedeschi e austriaci scoprirono il potenziale che l'Agro aquileiese possedeva. Nei loro climi le viti americane facevano fatica a maturare. Portate invece nella zona di Aquileia, i risultati erano ben diversi. Furono quindi alcuni pionieri che, sotto il controllo delle grandi scuole tedesche e austriache, iniziarono a costruire quello che poi sarebbe diventato il vivaio più grande ed importante del mondo. Giovanni Battista Toppani, vivaista in quel di Ruda fu il primo ad importare in Italia, con la sua azienda Toppani-Cella, il Kober 5BB. Seguito dallo stesso prof. Kober. Dopo il 1934 Bruno Busetti, che si era diplomato all'Istituto di Klosterneuburg, aprì un ufficio commerciale a Gorizia, mettendo in moto tutta una serie di collegamenti che avrebbero proiettato i nostri vivaisti sui mercati di tutta l'Europa del Nord. Negli anni '40, accanto a Toppani, erano arrivati altri vivaisti, come i Cosolo ed i Pinat. Nel 1953 sorge il Consorzio Aquileia vivai, che raggruppa i vivaisti della zona che poi, nel 1965, si trasfermerà nel Consorzio Tullio, presieduto dal senatore Tullio Altan. Quando il Consorzio nasce si esportavano annualmente in Germania dai 25 ai 30 milioni di talee portainnesto, coltivate su oltre 250 ettari, le cui piante erano, ceppo per ceppo, catalogate e numerate. Inoltre tutto il vivaio era dotato di reti antrigrandine: era pura avanguardia. Un fatto è assodato: la nuova viticoltura del Nord-Europa, che come noi si stava leccando le ferite della fillossera e si stava conseguentemente rinnovando , poggia su radici friulane.
Oltre il Tagliamento il seme per la nascita del secondo polo vivaistico era stato gettato, nel 1920, quando la Cattedra Ambulante di Pordenone aveva promosso la costituzione del Vivaio cooperativo di Ronche di Fontanafredda, allo scopo di preparare le viti che sarebbero servite al ripopolamento dei vigneti friulani. Il 4 settembre del 1936 si costituiscono i Vivai di Rauscedo e con loro si aprirà un nuovo, importante capitolo del nostro vivaismo. Rauscedo, infatti divenne protagonista sulla scena italiana e poi mondiale a partire dagli anni Sessanta quando intuì l'enorme mercato che si stava aprendo per le barbatelle innestate con la loro moltitudine di cloni. Seppe occupare gli spazi di mercato che gli si offrivano nell'Italia Centrale e del Sud, dove il rinnovamento viticolo era ancora in gran parte da fare. Infine si proiettò verso i mercati di tutto il mondo. Di fronte ad una sempre maggior richiesta di barbatelle, la struttura cooperativistica, che trovava la sua forza lavoro all'interno delle famiglie ricche di braccia, si dimostrò estremamente elastica e quindi pronta ad assecondare, in tempi reali, la crescente domanda dei mercati, che passarono dai 20 milioni di barbatelle innestate degli anni Sessanta ai 40 milioni di oggi. Oggi il Friuli-Venezia Giulia fornisce il 72% del materiale vivaistico prodotto annualmente in Italia ed il 40% di quello del mondo intero: una vite su quattro, nel mondo, parla friulano."

Erica Busetti Conti (23) sintetizza i momenti più rilevanti dell'evoluzione vivaistico viticola, come segue:

"Fine anni 1800 - inizio 1900 : Ricercatori e sperimentatori d'oltralpe concentrarono nella nostra regione e soprattutto nel Goriziano, per motivi logistici di vicinanza, conoscenza della lingua tedesca, e climatico-ambientali, l'urgente ed impellente lavoro per far fronte ai danni che la fillossera stava provocando alla viticoltura . Risolto con l'innesto della vite europea su portinnesto americano.

Dopo il 1910 : Ricerca e sperimentazione ed applicazione pratica. Alla disponibilità e versatilità della nostra gente si affidò il lavoro in campo che ben presto lo fecero proprio specializzandosi, tanto da provocare che rappresentanze di quei Paesi stranieri potenziali importatori del nostro prodotto aprirono delle sedi distaccate dei loro servizi di controllo della produzione del materiale per la riproduzione della pianta della vite a Gorizia.

Inizio anni '30: A Gorizia la sede distaccata per l'Italia dell'Associazione dei Selezionatori delle Piante - Sezione Viti - (Reichsverband der Pflanzenzucht - Verband der landw Pflanzenzuechter - Dem Reichsnaehrstand angegliedert - Abteilung Reben - Aussenstelle fuer Italien in Gorizia). Affidando all'inizio degli anni '30 il delicato lavoro di coordinamento operativo e controllo ad un italiano (Bruno Busetti di origine istriano-triestina con preparazione tecnico professionale assolta in Austria a Klosterneuburg).

Nel Friuli-Venezia Giulia non solo campi di moltiplicazione del portainnesto ma anche vivai specializzati dove venivano innestate le talee portinnesto riprodotte in Italia e le marze fatte venire dalla Germania e dall'Austria.

Eventi di Guerra: Rischiarono di distruggere quanto si era costruito se gli agricoltori della nostra regione presso i quali si trovavano ancora i campi con i ceppi del portinnesto, stimolati e coordinati dal "Busetti" non avessero fatto proprio il lavoro di moltiplicazione della pianta della vite ed avviato un eccellente lavoro che diede lavoro a molti della Bassa Friulana e risolse in breve il problema delle viticoltura tedesca: possiamo dire che la viticoltura tedesca ha le radici friulane.

1946 : Dapprima consorziati nel CONSORZIO TULLIO di Aquileia, che coinvolsero le famiglie Tullio-Altan, Gerometta, Cosolo, Toppani, i diversi ceppi familiari dei Pinat di Pieris, Begliano, Joannis e Perteole, Economo, Famea e molte altre.

1950 : La produzione aumentava, la capacità produttiva raggiunse gli oltre 40 milioni di talee portinnesto, tanto da giustificare la nuova denominazione del gruppo: ITALVIT. Dalla stazione di Cervignano ogni inverno si spedivano decine e decine di vagoni con destinazione le zone viticole della Germania e dell'Austria. Nel 1958 ben 52 vagoni, con ogni vagone dai 700 ai 900 mila spezzoni.

QUALIFICAZIONE:Lentamente scompaiono i vecchi campi di "portinnesto popolazione e tutto diventa clonale. L'inizio della certificazione di oggi.

1960: Inizia la lenta discesa . Il progredire della nostra attività fa ingolosire altri, per cui similari produzioni sono sorte in Toscana, Trentino Alto Adige, Lombardia, Marche, nella vicina Francia. Il prodotto abbonda.

La viticoltura tedesca è praticamente completamente ricostruita. Vigneti sani, tecniche riproduttive migliorate riducono il fabbisogno del portinnesto. Con l'incognita dell'andamento climatico si mantengono gli impianti e molte volte il prodotto non è ritirato e dev'essere distrutto. La crisi, le lotte interne gli scontenti.

1965: Il gruppo Consorzio Tullio ITALVITI si scioglie, si formano due gruppi e riducono le produzioni : FRIULVITI e AQUILEIA.

La coop. Aquileia dopo poco di dissolve.

Ne diviene erede il gruppo che nel 1971 fondò la COOPERATIVA FRIULVITI sempre con il coordinamento del Busetti, figli e nipoti dei fondatori di questa attività, i diversi Pinat, si adeguano alle mutate esigenze riducono ulteriormente il prodotto puntando principalmente alla qualificazione.

1977: La FRIULVITI perde il suo leader improvvisamente. Avendolo fiancheggiato dopo preparazione e studi specifici a Klosterneuburg in Austria, Erica Busetti Conti viene chiamata dal gruppo a continuare "tradizione e lavoro" in un momento molto difficile e delicato.

1995: La FRIULVITI è sempre la riproduttrice contrattuale di portinnesto per i costitutori tedeschi, e per questi è anche riconosciuta a riprodurre il materiale di "Base per Base" destinato alla costituzione di nuovi campi di piante madri dal quale ricavare il prodotto destinato alla commercializzazione".

In occasione del IV° Congresso Enologico Austriaco, tenutosi a Gorizia dal 16 al 20 settembre 1891 al problema fillosserico venne comprensibilmente dedicata attenzione prioritaria, considerato il momento di reale emergenza che in quel momento, gran parte dell'Europa stava vivendo. (24)
Nella seconda seduta del Congresso, tenutasi nel pomeriggio del 16 settembre, il relatore Giovanni Ursic, dirigente i lavori contro la fillossera presso la i. r. Luogotenenza in Trieste, esordì come segue: (25)
"mi sia lecito di considerare quali misure profilattiche convenga ad usare per impedire che il pidocchio invada il territorio. La vite su cui unicamente vive l'insetto, è il primo veicolo del male. Egli è comprovato che nel Litorale la fillossera s'è sempre insinuata coll'impianto di talee e barbatelle ritirate da luoghi infetti in un'epoca quando questi luoghi non passavano ancora per fillosserati. In quelle provincie che passano tuttora per immuni, come a dire in Tirolo e in Dalmazia, anzichè indugiare sino a che siasi scoperta la prima infezione fillosserica, si prendano quei provvedimenti che già sono adottati a tutela del territorio immune nelle province da lunga pezza funestate dalla fillossera, e si sorvegli anch'ivi rigorosamente il commercio in viti, e in ogni comune si faccia almeno una volta all'anno, una perlustrazione di tutte le piantagioni vitifere, prendendo segnatamente di mira i piantamenti recentissimi costituiti di viti venute da fuori.
Ora, per tener d'occhio i vitati e per sorvegliare debitamente l'importazione di quegli oggetti che sono notoriamente veicoli del morbo, si dovrebbero istituire anche nel Tirolo e nella Dalmazia Commissioni locali per la fillossera.
Passando alla questione che cosa convenga fare qualora in un territorio vitifero, riputato immune, venga scoperta un'infezione fillosserica, egli è mestieri procedere alla perlustrazione d'ufficio dell'intero territorio.

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